Secolarizzazione, domanda antropologica e nuove forme di religiosità: da dove prende le mosse il lavoro di questo ambito del progetto? Nella scheda preparatoria elaborata dal professor Salmeri si evidenzia l’originale punto di partenza dei lavori e si forniscono alcune indicazioni bibliografiche.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:24

La «secolarizzazione» è molto più un concetto per riassumere processi ritenuti analoghi che il nome di una realtà univoca. Ciò significa che un utile lavoro di analisi deve anzitutto cercare di distinguere le accezioni e problematizzare un accostamento di fenomeni che a volte può essere chiarificatore, a volte può contribuire a creare fantasmi che non aiutano a comprendere la realtà. Il fatto stesso che si senta spesso il bisogno di distinguere una «buona secolarizzazione» da un «cattivo secolarismo» (non sempre facili da distinguere) è l’indice di un problema concettuale che dovrebbe essere risolto. Medesima cautela, se non maggiore, va esercitata con il concetto speculare, oggi sempre più in uso, di post-secolare. Tutte le accezioni possibili, che hanno un evidente rapporto con il fenomeno religioso, considerato nel suo regresso o nel suo ritorno sulla scena, hanno comunque un rapporto essenziale con la questione dell’uomo e del modo in cui gli uomini percepiscono sé stessi, la propria posizione nella società e nel mondo. Ciò significa che la questione antropologica non è una variabile da aggiungere alla riflessione sulla secolarizzazione, ma piuttosto il sottofondo (evidente o nascosto) sul quale l’intera vicenda appare significativa e degna di studio. Un’attenzione particolare va rivolta al problema del rapporto tra cristianesimo e «secolarizzazione». È quasi un luogo comune supporre che il primo è l’origine della seconda, da molti punti di vista: il dogma della creazione separa il mondo da Dio e dunque desacralizza il primo, la separazione tra le cose che spettano a Dio e quelle che spettano a Cesare sarebbe all’origine della distinzione tra religione e politica, e così via. In realtà le diverse definizioni della secolarizzazione implicano processi genetici molto differenti. Un punto cruciale per esempio consiste nella definizione della fede e del posto dell’esperienza religiosa del credente: a seconda di come queste siano pensate i paradigmi mutano considerevolmente. Per esempio: come intende Bonhoeffer l’esperienza cristiana per poter intendere la «maggiore età» dell’uomo quale un beneficio per la fede? Essenziale anche è risolvere alcune ambiguità storiografiche che affondano nell’interpretazione della teologia medievale e moderna dei suoi esiti: è interessante per esempio che molta parte del discorso di Charles Taylor in proposito in fin dei conti poggia su una certa interpretazione dello scotismo (discutibilissima e derivata dalla Radical Orthodoxy) e della Riforma luterana (forse più condivisibile, ma altrettanto da precisare e contestualizzare). Se la comprensione più generica della «secolarizzazione» fa riferimento ad un regresso del religioso dalla scena pubblica, si aprono un ventaglio di questioni rilevanti. Per esempio può essere discussa la stessa comprensione «moderna» del concetto di religione: è noto che per tutta l’antichità e il Medioevo non esisteva neppure un termine corrispondente esattamente a «religione» nel suo senso attuale. È solo l’età moderna che definisce (e quindi in parte crea) un fenomeno sociale-antropologico centrato sul problema (individuale) della salvezza e concepito come un certo ambito dell’esperienza umana nettamente distinguibile dagli altri e organizzato in sistemi coerenti (le varie «religioni»). La stessa nozione elementare di secolarizzazione porta dunque con sé i problemi derivanti da un concetto che, più che aver descritto la realtà, la ha reinterpretata e modificata. Parimenti decisivo è prendere in esame il fenomeno della crisi dei fondamenti della vita pubblica contemporaneo al regresso del religioso: se una delle funzioni tipiche di quest’ultimo nella cultura umana è stata stabilire, in correlazione con le grandi e fondanti esperienze umane della vita e della morte, un insieme di prassi e valori indiscussi, il suo tramonto nella scena pubblica implica la necessità di dover rifondare, spesso in maniera angosciosa (almeno parlando di un’angoscia strutturale e collettiva) gli elementi essenziali della vita pubblica. Su che cosa si fonda l’autorità del potere e della legge? donde traggono forza i diritti umani «universali»? Si tratta di domande che in un’epoca secolare risuonano con una tonalità particolare. Benché il rapporto tra immagine del mondo e fede non venga sempre rubricato nel campo dei problemi della secolarizzazione, in realtà ne costituisce un ulteriore alimento fondamentale. Anche se da questo punto di vista vengono in mente soprattutto le grandi trasformazioni dell’immagine del mondo legate alla rivoluzione scientifica, nell’età moderna il problema diventa ancora più decisivo nella misura in cui la «scienza» (cioè la scienza naturale) diventa nell’immaginario collettivo non soltanto un’istanza di verità, ma spesso l’unica simile (il che significa che senza il sostegno delle scienze naturali sarebbe oggi praticamente impossibile parlare di verità). Nella misura in cui le vicende della secolarizzazione sono strettamente connesse al cristianesimo, le vicende della teologia cristiana contemporanea sono quindi molto interessanti. Tipico dell’età contemporanea è per esempio il fatto che risposte opposte (peraltro già presenti nella storia) vengono esasperate e parimenti ritenute segno di modernità: è moderno tagliare ogni legame tra le due cose (p.es. Rudolf Bultmann), è moderno unirle in maniera inseparabile (p.es. Pierre Teilhard de Chardin). Poco moderno pare solo mantenere vie mediane. Si tratta di un rifiuto delle mediazioni difficili o piuttosto il segno di un problema più profondo che va affrontato? Il capitolo della nuove forme di religiosità è complesso e scivoloso, perché dipende sia da slittamenti nel concetto del religioso (interpretato in modo sempre più di scelta e convinzione personale e sempre meno di adesione ad una credenza o ad un costume collettivo), sia da un mutamento delle domande in cui tradizionali sostegni educativi o sociali vengono percepiti più incerti o discutibili. Sicuramente la discussione dev’essere connessa anche a quella sul «ritorno del sacro» o alla varie forme di «post-secolare»: fermo restando che le vecchie profezie sulla scomparsa della religione si sono dimostrate alquanto frettolose, davvero si può parlare di un’inversione di tendenza? o piuttosto di una ricomposizione di ingredienti rimasti costanti (come per esempio ritiene Olivier Roy, che ritiene che secolarizzazione e ritorno del sacro sono solo le due facce di una crescente separazione tra religioni e culture)? In che misura insomma le nuove forme di religiosità testimoniano una permanenza del religioso e in quale misura ne testimoniano inversamente il tramonto? Anche se una discussione completa va sicuramente oltre i limiti del progetto, sarebbe importante almeno riflettere sui presupposti antropologici che permettono il successo da una parte del «Dio personale» (nel senso del Dio ricostruito liberamente da ogni singola persona), dall’altra di forme in cui l’aspetto comunitario è ancora più forte che nella tradizione, fino a configurare la nascita di «quasi-popoli» che si riconoscono per una comunanza di linguaggio e di riti, anche all’interno delle religioni tradizionali. Per leggere la bibliografia proposta e vedere chi sono i ricercatori che fanno parte di questo gruppo di lavoro clicca qui