Paul Yonnet, Le recul de la mort. L’avènement de l’individu contemporain, Gallimard, Paris 2005

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:22

«Il declino della mortalità infantile e nei primi anni di vita, il declino del rischio di morte che minacciava le donne al momento del parto […] e la sua riduzione nella società raggiunte dalla rivoluzione pasteuriana e dalla rivoluzione demografica […] sono senza dubbio il fenomeno più importante di tutta la storia dell’umanità» (p. 465). È questa, in sintesi, la tesi principale di un libro che si presenta come un esercizio multidisciplinare di più di 500 pagine. L’autore vi sviluppa uno studio della dinamica dell’individualizzazione moderna come esito della ristrutturazione radicale della famiglia, conseguenza a sua volta del declino della morte. Il corpo principale di riflessioni sociologiche sulla famiglia (fecondità, riorganizzazione dei ruoli familiari, nascita di una nuova psicologia dell’adolescente) è accompagnato da capitoli che affrontano le conseguenze del declino della morte dal punto di vita giuridico (cap. 1), della letteratura o della storia (cap. 5) e della filosofia politica (cap. 8). Benché più a suo agio nell’ambito che gli è proprio, Yonnet offre un quadro d’insieme molto ricco. Richiama positivamente l’attenzione, sin dalle prime pagine, sulla dimensione antropologica implicata nelle interpretazioni sociologiche: un’oasi in mezzo al deserto dell’odierna sociologia cosiddetta scientifica. Ma la virtù più grande dell’autore è la sua capacità di portare alla luce alcune contraddizioni della società contemporanea. Alla supposta libertà promessa dalla critica moderna al concetto di autorità Yonnet risponde che «tale liberazione dell’io non è una liberazione [dal momento che] l’io non esiste e non può costruirsi al di fuori della filiazione e della trasmissione, contro le quali l’adolescente potrà naturalmente ribellarsi» (p. 312). «La società ha idealizzato l’individuo perennemente immaturo, imponendo agli adolescenti di non uscire mai da questo stadio» (p. 339), scrive acutamente l’autore. Esponendo la dinamica del «figlio desiderato» – il figlio esclusivamente frutto del desiderio dei genitori, «realizzazione di una precisa volontà di avere questo figlio, questo e non un altro» (p. 240) – Yonnet si chiede come sarà possibile non trasformare quel figlio in una specie di divinità. E a proposito della crisi della proibizione, l’autore si chiede con quale diritto sia possibile pretendere qualcosa da una persona che potrà sempre rispondere: «Se mi hai desiderato, perché ti opponi al mio desiderio?» (p. 360). Un altro filo conduttore del libro è l’analisi della scomparsa delle coscienza della morte nelle società occidentali. Il calo della mortalità infantile e l’allungamento della vita hanno tolto di scena un personaggio che durante tutto il corso della storia aveva fatto parte del dramma umano. «Nell’oblio della morte l’uomo dimentica la propria umanità» (p. 459), scrive con chiarezza Yonnet. Ed è evidente a chiunque che la possibilità della morte e la convivenza con la sua realtà non fanno più parte dell’immaginario sociale. L’analisi del sociologo francese a tal riguardo è molto penetrante: l’apparente dominio sulla morte nell’età infantile e nella giovinezza ha dato luogo a un «sentimento di potere assoluto tra i giovani», a un «egocentrismo della gioventù». Ma la realtà inevitabile della morte nelle età più avanzate ha condotto all’estremo contrario, a un clima quasi generalizzato di «depressione durante la vecchiaia» (p. 231). Come affrontare allora questa contraddizione dell’individuo contemporaneo […] che intende essere allo stesso tempo oggetto del desiderio degli altri e soggetto autonomo» (p. 467)? Come superare la «fragilità costitutiva [che fa dell’uomo] una facile preda delle depressione, del suicidio, di atteggiamenti di dipendenza e di surrogati di questa dipendenza primordiale» (p. 469)? Il declino della morte illustra magistralmente le contraddizioni, molte delle quali «insolubili» secondo l’autore, dell’uomo moderno nell’era dell’individualizzazione.

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