Il crollo o l’indebolimento dei regimi mediorientali ha portato all’emergere di diverse forze ideologiche, etniche e settarie sempre più rappresentate da movimenti paramilitari

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:08:41

L’onda lunga delle Primavere arabe ha generato conflitti etnici, locali e settari. Lo Stato Islamico ha virtualmente cancellato antichi confini. In questo nuovo “disordine” prevale ogni giorno di più la regola delle milizie armate. È difficile immaginarsi come sarà il Medio Oriente fra un decennio. Tuttavia, è possibile individuare elementi e dinamiche che daranno forma ai futuri scenari. È da evidenziare come in Medio Oriente si assista a una profonda crisi teorica e pratica dello Stato-nazione, inteso sia come entità politica sovrana sia come insieme di istituzioni. Le ragioni sono diverse, di natura politica, economica e sociale: dittatura, corruzione, disoccupazione, violazioni dei diritti umani... Sono da segnalare due problematiche di fondo: l’assenza di una effettiva legittimazione – democratica, religiosa o politica – del potere, nonché le difficoltà a comporre in una sintesi funzionale diversi elementi etnici e settari della nazione. Stati senza nazioni Il Medio Oriente è un sistema di instabili Stati senza nazioni, la cui forma attuale nasce alla fine della Prima Guerra mondiale, con Stati artificiali imposti e controllati dall’Occidente, che grosso modo alla fine della Seconda Guerra mondiale ottengono effettiva indipendenza. Tra gli anni ‘50 e ‘60, una serie di colpi di Stato ha portato all’instaurazione di regimi militari, che si sono stabilizzati negli anni ‘70. Persa ogni legittimazione ideologica legata al panarabismo, alla “rivoluzione” o al baathismo, questi regimi si sono trasformati in autocrazie fondate su una concezione dinastica e patrimoniale dello Stato. Prima con l’intervento americano in Iraq, poi con le Primavere arabe, questi regimi sono entrati in crisi, e soltanto le monarchie, sia nel Golfo sia Marocco e Giordania, sono riuscite a sopravvivere agli eventi. L’attuale crisi di regimi, governi e Stati mediorientali ha portato all’emergere di diverse forze ideologiche, etniche e settarie. Ogni Paese ha una sua peculiare traiettoria storica, con dinamiche più o meno conflittuali e forze differenti. Ad esempio, tra le forze ideologiche, per lo più su base religiosa, ricordiamo in Egitto i Fratelli musulmani e altri movimenti salafiti, o il partito islamista Ennahda in Tunisia; tra le componenti etniche troviamo il governo regionale curdo in Iraq e il Rojava in Siria, mentre tra quelle settarie ci sono le milizie sciite dell’Hashd al-Sahaabi, milizie sciite irachene prevalentemente usate in funzione anti Stato Islamico, o Jabhat al-Nusra in Siria. Lo Stato Islamico e altri movimenti fondamentalisti sono forze sia ideologiche - in quanto islamisti - sia settarie, in quanto sunniti. A seguito dell’indebolimento dei regimi o del loro collasso, le differenti comunità tribali, politiche, etniche o religiose che compongono le società dei diversi Paesi sono rientrate in gioco e, spesso, in competizione fra loro. Questo spiega perché oggi, in Medio Oriente, sia fondamentale il ruolo dei cosiddetti Non State Actors (attori non statali) spesso violenti e transnazionali. La forma organizzativa peculiare con cui si manifestano queste forze è quella della milizia. In realtà, milizia armata, partito politico e movimento sociale in moltissimi casi coincidono. I precedenti non mancano: Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza o Fatah in Cisgiordania. Di certo però, negli ultimi anni, Paesi come Iraq, Siria e Libia hanno visto l’affermazione di milizie e gruppi paramilitari espressione di determinate identità comunitarie, il tutto a discapito delle tradizionali forze armate. Anzi, gli eserciti regolari si dividono su base comunitaria o sono esautorati o diventano espressione del predominio di una comunità. Le guerre per procura Le attuali dinamiche geopolitiche mediorientali interessano anche Paesi come Arabia Saudita, Iran, Qatar, Turchia, che trasformano conflitti e rivolte locali in proxy war (guerre per procura), ciascuno creando o appoggiando milizie alleate. Inoltre, nel corso delle guerre civili, sono i regimi stessi ad affidarsi a gruppi paramilitari come gli Shabiha in Siria o le milizie della Sahwa in Iraq (risveglio, in arabo – gruppi armati sunniti che si coalizzarono nel 2007 con gli americani per cacciare al-Qaeda). Peraltro, lo stesso Iran ha fatto di Hezbollah e dei Basij – forza paramilitare iraniana – un modello “esportato” con successo, ieri in Libano e oggi in Iraq con l’Hashd al-Shaabi. In molti casi, le milizie nascono come forze di autodifesa di comunità minacciate o sono espressione di spinte autonomiste: basti pensare a molte delle formazioni sorte localmente a protezione di villaggi e città in Siria, Libia e, in passato, Iraq, oppure alle milizie YPG (Unità di Protezione Popolare) curde siriane. La questione di fondo è che queste milizie nascono come forze armate, in un contesto di debolezza del potere politico e di guerra civile, diventandone ben presto attori primari. I politici, sia del regime sia dell’opposizione, sono costretti ad appoggiarsi a tali forze, con pesanti condizionamenti. Molti capi milizia cercano poi di ottenere loro stessi un ruolo politico. Il passo successivo è quello della legittimazione, da parte dello Stato, delle milizie stesse. A questa dinamica di affermazione politica e legittimazione corrisponde anche una trasformazione delle milizie che diventano partito politico e movimento sociale radicato nella popolazione. Se, invece, si tratta di una milizia che è sconfitta nel corso della guerra, allora si assiste a una trasformazione differente: movimento clandestino dedito ad attività terroristiche, come accaduto con vari gruppi sunniti baathisti e jihadisti iracheni, e/o criminali, come al-Qaeda nel Maghreb. Dunque l’attuale crisi dei regimi o la debolezza dei governi mediorientali, in un contesto di spinte particolariste, favorisce l’affermazione delle milizie. Questa dinamica, oltre a imporre le milizie stesse come futuri attori politici primari, ieri in Libano e Iraq domani in Siria e Libia, favorirà una sorta di “balcanizzazione” territoriale e sociale del Medio Oriente, dove, come il Libano insegna, equilibri politici interni saranno fragili e precari.