Cairo dicembre 2005

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:51:52

Dal 29 settembre 2005 un gruppo di sudanesi aveva iniziato un sit in permanente in un giardino pubblico appena fuori gli uffici della UNHCR, l'alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Col passare del tempo più di mille persone si erano installate stabilmente nel giardino e migliaia di altre si univano occasionalmente. La domanda chiave dei dimostranti sudanesi era di essere "riassegnati" ad un paese occidentale, perché i sudanesi in Egitto «sono ogni giorno oggetto di discriminazione, violenza e violazioni dei diritti umani». Dopo che i negoziati si erano arenati il 30 dicembre la polizia ha deciso di intervenire per sfollare i dimostranti. L'azione della polizia è stata molto violenta, nonostante la presenza nel giardino di molti bambini, e si è conclusa con la morte di almeno 27 persone, molti di loro bambini al di sotto dei dieci anni. I dimostranti sono stati tutti condotti a quattro commissariati di polizia per l'identificazione. Molti sono stati rilasciati il giorno successivo, ma oltre seicento persone senza documenti sono state portate in tre differenti prigioni. Tra sabato 31 dicembre, quando più di un migliaio di persone sono state rilasciate, e martedì 3 gennaio, la chiesa del Sacro Cuore di Sakakini si è trovata a fronteggiare un'emergenza umanitaria. Centinaia di persone continuavano ad affluire cercando cibo, alloggio e cure mediche. Un appello è stato lanciato a tutte le comunità religiose in Egitto e prontamente si è manifestata concreta solidarietà con le vittime. Settecento persone con fratture e ferite di diverso tipo sono state curate alla chiesa o nel vicino ospedale italiano. La UNHCR ha offerto 1200 coperte e medicine. Gli edifici parrocchiali erano affollati di persone che si consolavano a vicenda e cercavano di avere notizie dei cari dispersi e per tre giorni più di 200 persone (più della metà musulmani) sono state ospitate nella chiesa. Gli incidenti del 30 dicembre hanno lasciato una ferita molto profonda nella comunità sudanese e gettano un'ombra inquietante circa il suo futuro in Egitto.