Chi mette Isis e Iran sullo stesso piano e chi invece imputa la crisi attuale all’Arabia Saudita e alla diffusione del wahabismo. Tre articoli da tre diversi giornali arabi mostrano quanto è accesso lo scontro che sta dividendo (e distruggendo) il Medio Oriente

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:09:06

La lettura del testo e la riforma religiosa Di Ridwan al-Sayyid, al-Ittihâd, 17 gennaio 2016 Sebbene le azioni di Daesh e degli iraniani non abbiano alcuna relazione con la religione, nemmeno per chi le commette in nome di quest’ultima, esse ci pongono ogni giorno di fronte a problematicità con cui dobbiamo fare i conti. Quando, cinque mesi fa, gli ufficiali iraniani hanno iniziato a cadere ad Aleppo e nel nord della Siria, gli sciiti, e tra loro Khamenei, nei loro discorsi commemorativi affermavano come questi fossero morti solo per proteggere i luoghi di pellegrinaggio degli Al al-Bayt e combattere quanti lanciavano anatemi. Quando poi il fronte di Riyadh si è mosso contro Teheran, Ja‘afari, capo della Guardia della rivoluzione, ha dichiarato che la Guardia aveva addestrato duecentomila combattenti dispiegandoli in cinque Paesi arabi per diffondere i valori della rivoluzione islamica e difendere gli interessi della Repubblica! Dopo tutto ciò c’è ancora bisogno di spiegare i due pretesti dell’ingerenza iraniana, vale a dire difendere i luoghi di pellegrinaggio e combattere chi accusa gli sciiti di miscredenza? Noi siamo tenuti a considerare queste cose seriamente non perché vi siano dei dubbi sulle due questioni, ma perché dobbiamo parlare ai cittadini arabi – musulmani, cristiani e non solo. Molti di loro credono a ciò che dicono gli iraniani, non perché abbiano una buona opinione dell’Iran, ma per la cattiva opinione che al-Qaida e Daesh hanno diffuso degli arabi e dell’Islam. Daesh ha attaccato alcuni luoghi di pellegrinaggio, la maggior parte dei quali sono dedicati a personalità sufi e storiche sunnite. I santuari e le tombe che offrono loro sepoltura, che siano dedicati agli Al al-bayt o ad altri, sono edifici dei sunniti, non degli sciiti – com’è il caso del mausoleo di Sayyida Zeynab nelle vicinanze di Damasco – e perciò difendere questo patrimonio religioso non spetta né agli iraniani né a Hezbollah. Non si è mai sentito che un Paese occupi un altro Paese perché una tomba che gli appartiene è oggetto di attacchi. Così come non si è mai sentito che i musulmani sunniti nel mondo abbiano il diritto di andare a proteggere i musulmani in Siria e in Iraq le cui moschee sono distrutte a migliaia dall’artiglieria, dai bombardamenti aerei e dalle esplosioni […]. [Per leggere tutto l’articolo clicca qui] Daesh e il daeshismo del regime saudita Di Sâmir al-Marâhî, al-Akhbâr, 9 febbraio 2016 Chi legge in maniera scientifica e oggettiva la situazione in cui versano le nostre società e molti Paesi arabi e islamici per la diffusione del takfîr (anatema) criminale e la violenza daeshita [Daesh è l’acronimo arabo per Isis. Daeshita si riferisce all’ideologia di Daesh, ndt], percepirà come il fattore intellettuale e ideologico sia la causa principale di ciò che affligge le nostre società e i nostri Paesi. Questo fattore può essere sintetizzato nel salafismo wahabita e nella sua cultura. È evidente che il salafismo wahabita non si sarebbe diffuso in molti Paesi arabi e occidentali se il regime saudita non lo avesse fatto proprio e non gli avesse garantito il sostegno materiale, mediatico e politico. Il salafismo è riuscito ad attrarre molti seguaci fino a diventare un movimento mondiale il cui riferimento è il wahabismo saudita. La natura delle dottrine adottate dal salafismo wahabita non è un segreto. Esso include la peggior specie di sciovinismo religioso, l’accusa di miscredenza e l’annientamento dell’altro; il salafismo invita chiaramente a praticare la violenza, è incline alla persecuzione e alla repressione, lede i diritti dell’uomo, della donna, delle minoranze religiose e confessionali, e distrugge la libertà in tutte le sue forme ed espressioni. È altrettanto noto che il regime saudita sostiene il salafismo wahabita e contribuisce a diffondere la da‘wa [predicazione] e divulgare le sue dottrine, incitando al terrorismo, invitando a lanciare accuse di miscredenza, incitando a praticare la violenza, diffondendo la cultura dell’odio, fomentando la divisione e il razzismo, e incoraggiando l’uccisione e il crimine […] Gli arabi devono ricorrere al soft power nella lotta contro l’Iran Di Karîm ‘Abdiyân Sa‘îd, Al-Sharq al-Awsat, 11 febbraio 2016 Non è più un segreto che il regime teocratico oggi in carica in Iran sia un’estensione del movimento anti-arabo della shu‘ûbiyya [movimento che già durante l’espansione islamica contestava la preminenza degli arabi], e che si ammanti dello sciismo per servire i propri interessi e conseguire i propri obiettivi di espansione nella regione araba. Al fine di raggiungere questi obiettivi il regime ricorre a tutti i mezzi disponibili – umani, materiali e mediatici in particolare, per uscire vittorioso dalla lotta manifesta con gli arabi. Rispetto all’ascesa della minaccia iraniana, noi riteniamo che i Paesi arabi in generale e il Consiglio di Cooperazione del Golfo in particolare debbano bloccare questa espansione e affrontarla direttamente, senza rimandare, e lavorare alla creazione di un equilibrio strategico con questo Stato apostata, che si intromette negli affari dei suoi vicini e destabilizza la loro sicurezza e stabilità. Vale la pena ricordare che, da ben tre decenni, gli attivisti arabi ahwazi [da Ahwaz, capitale della provincia iraniana del Khuzestan, ndt] mettono in guardia dal pericolo di incursioni del regime iraniano nella regione, in virtù della conoscenza che ne hanno avuto e di cui sono stati vittime. All’epoca però il conflitto presentava una natura diversa rispetto a quella di oggi, perciò i loro avvertimenti non furono presi sul serio. Oggi però la lotta tra gli arabi e l’Iran è diventata una lotta esistenziale, che esige un approccio globale che preveda l’uso della forza per scongiurare questo pericolo imminente. Ma di quale forza stiamo parlando? Io vedo due tipi di forze, l’“hard power” […] e il “soft power”. Io ritengo che il secondo sia più efficace […].