Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:42:41

Non è facile proporre una riflessione sul tema dell’educazione che sfugga ai due rischi contrari di essere troppo generale o troppo settoriale. Perciò qui propongo non un discorso articolato, ma piuttosto alcune tesi, brevemente commentate, in cui il concetto di educazione verrà inteso contemporaneamente nel senso latino di formazione globale della persona e in quello anglosassone (education) di istruzione strutturata: due aspetti che ritengo inseparabili. 1. Il problema educativo racchiude in sé tanto la questione morale, quanto la questione dell’identità di una civiltà Nella cultura occidentale degli ultimi decenni è sempre più frequente considerare l’educazione un problema essenzialmente tecnico: l’attenzione è cioè concentrata sulle metodologie e gli strumenti per trasmettere alcune competenze e valutare i risultati conseguiti. È evidente che in questo modo viene messo sempre più in ombra la questione fondamentale: quali debbano essere i contenuti e le finalità del processo educativo. Dall’altra parte, è più antico e ugualmente problematico il processo con il quale il discorso morale si è reso autonomo dalle preoccupazioni pedagogiche: l’etica così s’interroga astrattamente su valori e disvalori, su bene e male, su giusto e ingiusto, prescindendo quasi completamente dal fatto che la persona in rapporto a cui tutto ciò ha senso può giungere solo tramite un processo educativo a maturare coscienza e capacità di azione; tale processo anzi è destinato a durare per tutta la vita. Ma prescindere da tutto questo vuol dire sostanzialmente basare il discorso morale su una finzione: quella di aver a che fare con esseri razionali e liberi (per esempio), in cui razionalità e libertà sono semplicemente «presupposti» ideologici, e non faticose mete. Ma una volta che questo reciproco divorzio venga ricomposto, il problema educativo viene ad identificarsi con quello morale: si tratta infatti in entrambi i casi, forse appena con sfumature diverse, di considerare il modo in cui possano sviluppare e maturare la loro capacità di bene gli esseri umani: esseri per i quali il nascere e il crescere (nel corpo, nella mente e negli affetti) non sono accidenti, ma la forma stessa che in loro assume il vivere. Ma il problema educativo è a sua volta quello cruciale di ogni civiltà. È nell’educazione nei confronti dei propri figli che una società proietta la propria idea di moralità, e in ultima analisi la sua identità. In questo concetto di moralità rientra ovviamente tutta la formazione culturale, come ben sapevano gli antichi che ponevano le virtù intellettuali come vertice della vita morale: forse un’esagerazione intellettualistica, ma senza dubbio meno pericolosa dell’esagerazione contraria che consiste nel cancellare dal discorso morale la preoccupazione per la formazione intellettuale. 2. La sanità di una civiltà è direttamente correlata all’investimento che essa effettua nel campo educativo Se una civiltà può durare più del lasso di una generazione è soltanto perché essa è capace di ri-generarsi dal punto di vista anzitutto biologico e poi morale. Questa è la conferma maggiore del fatto che il problema educativo s’identifica con quella dell’identità di una civiltà. Una civiltà che non è più in grado (o che crede di non essere più in grado) di trasmettere i suoi contenuti fondamentali è una civiltà al tramonto. L’energia e le risorse che una civiltà pone nell’educazione sono l’indice più sicuro della sua vitalità, e al contrario il disinteresse al riguardo è il segno più sicuro del fatto che essa non crede più, o non crede abbastanza, nel proprio futuro. Ciò non significa automaticamente che un’educazione in crisi sia il segno di un disinteresse sul proprio futuro: per esempio, molte difficoltà nel processo educativo possono nascere dalla reciproca interferenza di preoccupazioni parimenti lecite, quali la ricerca dell’eccellenza e quella della maggiore diffusione possibile, o quali l’attenzione ai contenuti e quella alle metodologie, o ancora la volontà di trasmettere la ricchezza del passato e quella di suscitare la creatività individuale. Rimane però vero che errori evidenti in merito e incapacità di porre con onestà intellettuale il problema del rimedio sono il segno di un malfunzionamento non del «settore» educativo, ma in ultima analisi della civiltà che lo esprime. Molte riflessioni che al riguardo si stanno facendo nel mondo occidentale riguardano questo aspetto (per esempio, il tasso di analfabetismo che in Francia ha raggiunto nei giovani il 10%, il fatto che nelle facoltà scientifiche nordamericane gli studenti provenienti dall’Asia vengano ammessi molto più facilmente dei loro coetanei del luogo, l’arrivo nelle Università italiane di giovani che il più delle volte sono incapaci di scrivere correttamente ecc.). 3. I conflitti tra modelli educativi devono essere affrontati con una riflessione sulla propria storia Se nel campo dell’educazione ogni civiltà rispecchia ciò che pensa di sé stessa, il problema del conflitto tra itinerari educativi appare contemporaneamente più difficile e più facile da affrontare. È più difficile: perché esso non si lascia risolvere, se non illusoriamente, con semplici bilanciamenti tecnici o compromessi pragmatici, giacché il campo educativo non è il semplice strumento a servizio di qualcosa che possa essere deciso altrove e indipendentemente. È più facile: perché per risolverlo basta che una civiltà rifletta ai suoi valori, ai motivi della convivenza tra componenti differenti, in una parola alla sua storia, e rispecchi questa sua storia (comprese le sue sfaccettature e le sue parzialità) in un progetto educativo. Da questo punto di vista c’è un paradosso curioso ma cruciale da mettere in luce. Il fatto che l’impegno educativo sia quello che determina il futuro di una civiltà non significa affatto che esso debba essere determinato da un’idea di quel futuro. In realtà, sono solo i regimi totalitari che pretendono di insegnare il futuro, di proporre un’«umanità nuova» (che ciò appaia sotto l’apparenza di un’utopia politico-economica, di un ritorno ad origini reali o fantastiche, di un albeggiare di «nuovi diritti», e così via). Le civiltà creative non pretendono mai d’insegnare il futuro, ma solo il passato.