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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:52:50

Il numero sempre crescente di processi di interdipendenza tra gli Stati e le molteplici realtà sociali esistenti sul pianeta Terra, l'aumentata fragilità degli accordi internazionali conseguenti alla fine del bipolarismo, le nuove ondate migratorie, tendono a collocare la sovrapposizione e la convivenza di più culture in un contesto completamente nuovo. Il multiculturalismo inoltre sembra caratterizzarsi attualmente tanto per l'assenza di un modello specifico di cultura dominante, che sovrintenda e regoli le sovrapposizioni e le convivenze tra le singole culture, quanto per la particolare ascesa dei regionalismi culturali e delle culture locali. In un mondo che diventa sempre più piccolo l'incontro ed il dialogo tra le varie religioni e le differenti culture si pongono in un modo diverso dal passato. Di fatto fino all'epoca contemporanea le culture maggioritarie si ponevano solamente il problema di come gestire e "tollerare" le minoranze. Nessuno e da nessuna parte si poneva il problema dell'integrazione e del pluralismo o, almeno, non se lo poneva come oggi. E ciò perché attualmente la mescolanza delle culture si manifesta anche all'interno di uno stesso paese e perché le varie culture e religioni presenti in una medesima area geografica rivendicano la pari dignità non accettano che vi sia l'egemonia di una cultura o di una religione sulle altre. In questo mutato contesto, è molto importante comprendere le ragioni che hanno portato alla nascita della Dichiarazione Universale sulla Diversità Culturale, adottata dalla trentunesima sessione della Conferenza Generale dell'Unesco il 2 novembre 2001. Essa ha stabilito chiaramente il valore della diversità culturale e l'importanza della sua protezione. Nel prossimo ottobre si svolgerà a Parigi la trentatreesima sessione della Conferenza Generale, un appuntamento particolarmente significativo, che ha come obbiettivo l'approvazione di uno strumento giuridicamente vincolante che renda operativa la Dichiarazione e che ha come titolo: Convenzione sulla protezione della diversità dei contenuti culturali e delle espressioni artistiche. Lo scopo principale della Convenzione è di garantire sul piano internazionale la legittimità di politiche economiche nazionali a sostegno della diversità culturale. Il problema è che le norme sul commercio internazionale volte a favorire la concorrenza e la libera circolazione delle merci e della forza lavoro rappresentano un reale ostacolo giuridico alla possibilità di intervento finanziario statale nel campo dell'industria culturale. Il principio che si vuole sostenere nell'ambito della Conferenza è la specificità del valore della produzione culturale nel contesto dei rapporti commerciali: ciò si basa sul riconoscimento della intrinseca doppia natura, economica e commerciale, delle espressioni culturali, e si traduce concretamente, ad esempio, nella possibilità per uno Stato di finanziare direttamente la produzione culturale nazionale (senza che ciò sia considerato come distorsione della libera concorrenza) oppure di imporre che siano riservate alla produzione nazionale determinate quote nella diffusione dei prodotti dell'industria culturale (cinema, teatro, televisione, editoria). La tesi sostenuta è che un intervento regolatore da parte dello Stato sia indispensabile alla sopravvivenza della diversità culturale, dal momento che la "competizione" attuale tra le culture non avviene affatto ad armi pari: il rischio è quello di una progressiva omologazione e di una perdita di parte del patrimonio culturale dell'umanità. Tre Elementi Il contributo della Santa Sede in questa Convenzione è quello di difendere e promuovere l'unità nella diversità, soprattutto a livello culturale ed etico-religioso. A mio parere ci sono tre elementi fondamentali da tenere in considerazione. Il primo è che l'unità e la pluralità non sono antitetiche, come il diamante non è antitetico alle sue molteplici sfaccettature; anzi, la varietà ed il luccichio di queste rendono bella l'intera pietra preziosa. Il secondo è che la pluralità ha come vocazione l'unità, che nasce dalla verità. Essa (la verità) unisce ogni uomo alla vita di amore di Dio, perché solo la verità è vita, conduce tutti lungo la sola via capace di trasformare l'amore umano in carità, la quale sa e può accogliere l'altro e il totalmente altro. Il terzo è la libertà come riconoscimento e affermazione dei molti che sono diversi da noi, ma in realtà, secondo una più giusta espressione, "prossimi" in Colui che si è fatto "prossimo". E ciò non vale solo per i cristiani. Un proverbio della Cabila (Algeria) dice: «Dio ha diversificato le teste degli uomini per permettere la pace». A quale condizione? Gesù ha detto: «Fate agli altri tutto quello che voi volete facciano a voi». Si tratta della celebre «regola d'oro», che si trova nel Vangelo, ma anche in tante altre religioni. È una regola trasversale ed indica anche il metodo di lavoro necessario per quel rapporto di scambio vitale che ha come fine la salvaguardia delle culture. Non solo, ma anche la spinta a che ciascuna cultura dia il meglio di sé senza perdersi. Quindi il problema non è la diversità culturale in quanto tale la diversità è un fatto, un dato ma l'interculturalità, che è da costruire giorno dopo giorno. La diversità culturale è una ricchezza effettiva se diviene una diversità feconda e creatrice, come è già scritto nel Documento Unesco del 1997. In questo senso occorre sostenere tutto ciò che promuove la solidarietà e la cooperazione. Tutte le culture e tutte le religioni devono riconoscere il principio di interculturalità così come quello della reciprocità. Come si può raggiungere questo obbiettivo? Io credo che sia indispensabile parlare di educazione. Come giustamente farà la Convenzione di Parigi. Il mio auspicio è che nel documento il tema dell'educazione sia considerato secondo due prospettive distinte ma complementari: 1] Educazione come veicolo di conoscenza della diversità culturale, come trasmissione di differenti saperi: si rispetta veramente ciò che si conosce e ciò che si conosce cessa di essere considerato "barbaro"; l'educazione alla diversità culturale è dunque educazione alla pace, al riconoscimento ed alla riconoscenza, al rispetto fino all'accoglienza dell'altro, che è "prossimo". 2] Educazione nel senso del diritto della singola persona e della comunità a ricevere o a impartire un'educazione secondo la propria appartenenza culturale, linguistica e religiosa: non si può andare verso l'altro se non si parte da casa propria, dalla propria identità, se non si ha la possibilità di formare una propria identità culturale, secondo le proprie convinzioni ed i propri valori.

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