Vi è una certa difficoltà a comprendere il valore che la dimensione religiosa ha nel processo di integrazione

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 08:54:36

Non tinc por” (No ho paura). Così hanno spontaneamente urlato le centinaia di persone che si sono radunate in Piazza de Catalunya a Barcellona, a poche ore dagli attentati che hanno colpito la città e la cittadina costiera di Cambrils. Ancor prima che prendesse forma questa risposta civile, molti residenti della città avevano già dato prova di grande solidarietà, offrendo cure alle vittime dell’incidente. 

Sono stati molti i volontari anonimi che, sfidando lo sgomento e la paura seminati dai terroristi, hanno prestato soccorso ai feriti, offerto un rifugio in albergo e abitazioni private a chi era rimasto senza riparo in una città sotto attacco. Decine di traduttori si sono messi a disposizione. È stata una prima e non scontata risposta. Una risposta che, di fronte alla volontà dei terroristi di provocare un male irreparabile, mettendo a disposizione il proprio tempo e la propria incolumità, ha limitato in qualche modo la prima spregevole spirale di nichilismo. "Sono rimasto sorpreso per i gesti di carità e solidarietà con i quali i cittadini di Barcellona hanno risposto all'attacco; vi è stata una grande umanità in essi", ha affermato il cardinale di Barcellona, Juan José Omella.

Tredici mesi dopo l'attacco di Nizza, con il quale è iniziato il jihadismo low cost in Europa, è stata colpita la Spagna, come prima accaduto in Francia, Regno Unito, Germania e Svezia. Anche se sembra che vi siano alcune differenze rispetto ai casi precedenti. Non siamo di fronte al jihadismo di lupi solitari che agiscono in modo spontaneo. Secondo le prime indagini, l’attacco con il furgone e l'accoltellamento si sono verificati in seguito al fallimento dei piani terroristici che prevedevano un danno maggiore con esplosivi e bombole di butano. Solo lo scoppio accidentale avvenuto nell’abitazione che si trovava nel villaggio di Alcanar (Tarragona), dove un gruppo di giovani di origine marocchina stava preparando l'attacco, ha fatto sì che questi decidessero di utilizzare il furgone. Ci troviamo di fronte a una cellula organizzata come quelle di al-Qaeda, legata in forma gerarchica ai vertici dello Stato islamico? Si tratta di un attentato simile a quello che ha subito la Spagna l’11 marzo 2004? 

È ancora troppo presto per rispondere alle molte domande sorte in merito a questo attacco. Secondo recenti indagini, l'attentato del 2004 ha avuto come responsabile Amer Azizi, un uomo direttamente legato ai vertici di al-Qaeda. Vi sono, senza dubbio, analogie con quanto avvenuto pochi giorni fa. Azizi agì come agente di radicalizzazione di un gruppo di persone di origine magrebina, come in questo caso è avvenuto con l'imam Abdelbaki Es Satty. Ma quest'ultimo non sembra avere legami con i vertici di Isis né disporre di una infrastruttura finanziaria. 

In ogni caso, quello che cambia è il profilo dei jihadisti, un profilo che è si radicalmente trasformato. Dietro quanto accaduto in Catalogna vi è una dozzina di giovani, quasi adolescenti in qualche caso, di origine marocchina, in apparenza perfettamente integrati. Di fatto, erano noti ai servizi di integrazione del governo catalano. L'assistente sociale che aveva lavorato con questi ragazzi non ha parole. Che cosa è accaduto loro? E quando? Che cosa stiamo facendo per permettere che accadano queste cose!", ha scritto. 

I jihadisti di Ripoll, come già noto, rispondono al prototipo di terrorista islamista arrestato negli ultimi anni in Spagna. Il Real Instituto Elcano ne ha tracciato il profilo, studiano 178 detenuti tra 2013 e 2016. Sono uomini, ma anche donne, che rientrano fra 25 e 29 anni. Un 40 per cento è di nazionalità marocchina, mentre il 60 spagnola. La metà di questi sono immigrati di seconda generazione. Negli ultimi anni il numero di jihadisti detenuti di origine spagnola è aumentato di otto volte. Circa il 28 percento risiede a Barcellona, assieme alla periferia di Madrid e le città africane di Ceuta e Melilla maggior covo di questo tipo di terroristi. Un altro dato di rilievo è che solo il 18 per cento conosce l’Islam o la sharī‘a. Non sono persone che soffrono l'esclusione economica, possiedono un tasso di disoccupazione simile a quello che si registra tra i giovani della medesima età. Mentre un numero elevato di essi, il 20 per cento, è stato in prigione prima di essere arrestato. 

È in prigione, o attraverso il rapporto con una persona radicalizzata, in questo caso l’imam Abdelbaki Es Satty, che si radicalizzano. Non solo attraverso Internet. In ogni caso, questi dati mostrano che il profilo del jihadista è molto cambiato: è sempre più quello di uno spagnolo che, senza molta conoscenza dell'Islam, abbraccia l'ideologia della distruzione. La stessa comunità islamica riconosce di avere difficoltà nel controllarlo. In questi giorni, Mohamed el-Ghaidouni, presidente Unión de Comunidades Islámicas de Cataluña (Unione delle comunità islamiche della Catalogna), dopo avere condannato gli attentati, ha chiesto aiuto "perché da soli non possiamo controllare questi estremisti. Non possiamo controllare gli imam radicali, abbiamo bisogno che lo Stato ci aiuti, in particolare per fare lezione di religione con buoni imam". 

Non si può stabilire un nesso facile fra la comparsa di questo jihadismo e il fallimento del modello di integrazione della popolazione immigrata. Di fatto, Alejandro Portes, esperto mondiale in materia di migrazione, ha assicurato recentemente che il modello di integrazione in Spagna, in linea generale, è riuscito e può essere di riferimento per altri Paesi. Secondo Portes, in Spagna non vi è stato un modello di integrazione imposto dall'alto, "a differenza di altri Paesi europei che hanno tentato di imporre l’integrazione anche con modelli politici; in Spagna è stato un processo naturale". Non sono state identificate categorie etniche, l’80 per cento degli immigrati si definisce spagnolo. Ha fallito questo modello in alcune zone della Catalogna? Può essere. Di fatto il fenomeno dei ghetti di immigrati musulmani, che non si sono creati in nessun altro luogo, si riscontrano in località come Can Anglada, Terrasa, Sabadell o Mataró (comuni in provincia di Barcellona, ndr). E vi sono, secondo alcune stime 70mila alunni musulmani scolarizzati che non ricevono lezioni di religione islamica. La Catalogna, insieme con i Paesi Baschi, è una delle Comunità Autonome più secolarizzate. 

Non solo in Catalogna, ma in tutta la Spagna vi è una certa difficoltà a comprendere il valore che la dimensione religiosa ha nel processo di integrazione. Il sociologo della Universidad Pontificia de Comillas, Fernando Vidal, in un contributo dedicato al capitale sociale e al capitale simbolico, ha messo in evidenza che gli stessi immigrati danno molta importanza al fattore religioso come dimensione necessaria all’integrazione. Tuttavia, solo il 14 per cento di coloro che operano nel sociale ritengono tale fattore importante. È una risorsa invisibile. Questa frattura tra l'identità religiosa del migrante e come concepiscono l'integrazione gli specialisti di settore è molto rilevante. A ragione, el-Ghaidouni ha chiesto aiuto affinché l'Islam, l'Islam veramente religioso, sia considerato una risorsa per far fronte al jihadismo; abbiamo già visto gli scarsi risultati di un modello di integrazione ispirato alla laicità francese. 

Se l'elemento religioso si arresta, la trasmissione di quella risorsa che permette di far fronte al nichilismo si interrompe. 
L’educazione necessaria per far fronte al terrore richiede una gratuità come quella che si è manifestata nelle prime ore dagli attacchi, convertita in metodo e formazione. 

Articolo tradotto dallo spagnolo