Impregnato di retorica anti-occidentale e carico di riferimenti ai testi sacri, il comunicato di Isis dopo l’attacco terroristico al Bardo permette di entrare nella logica dei terroristi, comprendere il movente e il loro obiettivo finale.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:01

A poche ore dall’attentato di Tunisi Isis ne ha rivendicato la paternità in un testo, diffuso su tutti i maggiori siti jihadisti, dalla forte valenza simbolica e che vale la pena analizzare nel dettaglio. Saturo di retorica anti-occidentale e disprezzo per il modello islamico tunisino, il documento rivendica con fierezza il colpo messo a segno il 18 marzo al museo del Bardo, un’azione contro «gli infedeli e gli apostati» commessa «nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso». A garanzia della santità e liceità dell’attentato – poiché nell’ottica jihadista il successo dei militanti è sempre riconducibile a Dio – segue nella rivendicazione la citazione di un versetto coranico emblematico tratto dalla sura del Bando: «Ed essi pensavano che le loro fortezze li avrebbero protetti da Dio; ma Dio li ha afferrati da dove meno si aspettavano, ha gettato nei loro cuori lo spavento» (59,2). Il passo fa riferimento a una vicenda accaduta ai tempi del Profeta dell’Islam, quando Muhammad sconfisse e mise al bando la tribù ebraica medinese dei Banû Nadîr, rea di essere passata al nemico dopo aver inizialmente stretto un patto di alleanza col Profeta. I Banû Nadîr, dopo essersi rifugiati nelle loro fortezze, furono assediati e sconfitti dopo sei mesi. Ma letto alla luce dell’attualità e nel contesto della rivendicazione, questo versetto suona come un monito, come a voler ricordare che anche questa volta Dio avrebbe mantenuto la sua promessa, aiutando i “veri musulmani”, vale a dire gli attentatori, a espugnare i miscredenti, cioè i turisti in visita al museo, certi di trovarsi in luoghi sicuri – in «fortezze» protette dalla sicurezza – e ignari di quello che stava per accadere. Un’abitudine diffusa in tutti gli ambienti islamisti e jihadisti quella di estrapolare dal Corano versetti per l’uso e consumo del momento, una manovra utile ai fini della propaganda, per giustificare e santificare i progetti del Califfato, il lancio di accuse di apostasia e miscredenza o, come in questo caso, vili atti terroristici. Nel loro comunicato l’attentato «benedetto da Dio, signore dei mondi» viene presentato come opera di due «cavalieri dello Stato islamico», indicati con i loro nomi di battaglia, contro i «sudditi degli Stati crociati», cioè i turisti, e gli apostati, cioè i tunisini – nella fattispecie le guide turistiche accusate di offrire un’immagine distorta della Tunisia come Stato dissoluto e immorale, in cui attecchiscono facilmente «l’empietà e l’immoralità» occidentali: «Dio si rallegra per l’attacco benedetto diretto a uno dei covi della miscredenza e del vizio nella Tunisia musulmana. I due cavalieri dello stato del califfato, Abû Zakariyâ al-Tûnisî e Abû Anas al-Tûnisî, sono partiti armati di tutto punto, di mitragliatrice e bombe a mano e si sono diretti al museo (Bardo), situato nel quadrato di sicurezza del Parlamento tunisino. Allora Dio ha suscitato il terrore nei cuori dei miscredenti e i fratelli sono riusciti a prendere sotto assedio un gruppo malvagio di sudditi degli Stati crociati, che gli apostati hanno indotto in errore dipingendo loro la terra tunisina come fertile terreno per la loro empietà e immoralità». L’obiettivo, prosegue gelidamente il comunicato, è stato raggiunto, e gli autori invocano Dio, perché spalanchi le porte del paradiso ai due «eroi» suicidi e conceda loro di abitarvi nei livelli più alti che, secondo la tradizione islamica, sono destinati a coloro che nella vita terrena hanno raggiunto i più alti livelli di perfezione e la morte in battaglia: «L’operazione suicida benedetta ha portato all’uccisione e al ferimento di decine di crociati e apostati, e le forze di sicurezza fallimentari non hanno osato avvicinarsi se non dopo che i due eroi avevano esaurito le munizioni. Noi chiediamo a Dio di accogliere i due eroi tra i martiri, donare loro il paradiso più alto del Giardino e unire noi a loro». È evidente dunque che la retorica jihadista non solo non prevede il rimorso, ma di fatto glorifica la violenza trasformandola nel tramite per la santificazione dei “martiri”. La retorica dello Stato islamico opera inoltre una distinzione tra i puri e gli impuri. Puro è chi aderisce fedelmente all’“ortodossia” imposta dal califfato, impuro è chi sostiene altri modelli politici e culturali. Impuri sono, per esempio, i cittadini tunisini che vivono in uno Stato governato dai laici di Nida’ Tunis e boicottano il progetto del califfato. Ed è a questi «apostati» a cui è rivolto l’ultimo agghiacciante avvertimento della rivendicazione: «Agli apostati nascosti nel cuore della Tunisia musulmana noi diciamo: o gente impura, rallegratevi per ciò che vi affligge. Se Dio vuole, ciò che avete visto oggi è solo la prima goccia della pioggia. Non avrete sicurezza né pace. Nello Stato islamico ci sono [molti] uomini come quelli, che non dimenticano le offese. Dio è il più grande». Mitomani e visionari, i don Chisciotte dello Stato islamico sono rimasti prigionieri del mito dell’età dell’Oro di cui fanno l’apologia, e del disprezzo per l’Occidente. Ma se i nemici a cui faceva la guerra don Chisciotte erano mulini a vento, le vittime in carne e ossa del delirio jihadista sono turisti scambiati per crociati e cittadini tunisini la cui apostasia consiste nell’accompagnare dei pensionati nella visita di un museo.