Con la sua vita nel Sud dell’Algeria, Charles de Foucauld ha anticipato temi e visioni che sono poi diventati patrimonio di tutta la Chiesa, fino alla straordinaria sintonia con il Magistero di Papa Francesco

Ultimo aggiornamento: 15/03/2024 10:49:26

Nel 1963, il grande teologo francese Yves Congar affermò che «i fari accesi dalla mano di Dio sulla soglia dell’era atomica si chiamano Teresa di Lisieux e Charles de Foucauld». All’epoca, Teresina, morta nel 1897, era già stata canonizzata da quasi quarant’anni. Ucciso nel 1916 da una banda di predoni, l’apostolo del Sahara era invece figura ancora troppo controversa per essere innalzato subito agli onori degli altari. Solo qualche anno prima, i Vescovi del Nord Africa avevano chiesto l’interruzione del suo processo di beatificazione, che rischiava di essere percepito come un’apologia della colonizzazione nel momento in cui era in corso la guerra di liberazione dell’Algeria. Sette decenni più tardi, è arrivato il momento anche di Fratel Carlo, e il faro accesso più di un secolo prima viene ora indicato come punto di riferimento per tutta la Chiesa.

 

È innegabile che Charles de Foucauld sia stato impregnato della cultura del suo tempo. S’insedia nel Sahara algerino sulla scia dell’occupazione militare francese, collabora con le truppe coloniali e sostiene convintamente la missione civilizzatrice della Francia. Allo stesso tempo, vede i limiti di quest’impresa, si spende per umanizzarla e sogna un esercito di missionari – religiosi e laici – che promuovano il progresso materiale, morale e spirituale degli africani con l’esemplarità della loro vita più che con la forza delle armi. Ancora nel 2020, tuttavia, quando arriva il via libera alla canonizzazione, lo storico ivoriano Ladji Ouattara obietta su Le Monde che la decisione può essere percepita come «espressione della banalizzazione della memoria coloniale».  

 

Semplicemente, come tutti i capolavori, anche l’opera di Charles è segnata dalla contingenza storica e al contempo la trascende. Hanno provveduto il tempo, e i suoi discepoli, a passare al setaccio la sua eredità, separandone il nucleo essenziale dai condizionamenti che l’appesantivano. Se l’albero si vede dai frutti, la fecondità della vita di de Foucauld è testimoniata oggi da una ricca posterità spirituale, nella quale non v’è traccia di nostalgie coloniali. Non solo: la sua spiritualità e la sua esperienza hanno anticipato temi e visioni che sono poi diventati patrimonio di tutta la Chiesa, fino alla straordinaria sintonia con il Magistero di Papa Francesco.

 

Innanzitutto, Charles de Foucauld è all’origine di un nuovo sguardo della Chiesa verso l’Islam, al quale deve la riscoperta del Cristianesimo dopo una gioventù inquieta e dissoluta. È lui stesso a scriverlo nel 1901 in una famosa lettera all’amico Henry de Castries: «L’Islam ha prodotto in me un profondo sconvolgimento… la vista di questa fede… di queste anime che vivono alla continua presenza di Dio mi ha fatto intravedere qualcosa di più grande e di più vero delle occupazioni mondane: “ad maiora nati sumus” … Mi sono messo a studiare l’Islam, poi la Bibbia, e con la grazia di Dio la fede della mia infanzia si è trovata rafforzata e rinnovata». Anche in questo caso la posizione di de Foucauld è ambivalente. Ammira la fede dei musulmani, ma rimane molto critico nei confronti dell’Islam come sistema dottrinario. Louis Massignon, suo primo discepolo, dirà che a Charles «non è stato dato di entrare nell’islam assialmente». Sarà lui a sviluppare la comprensione del suo maestro in direzione di un autentico apprezzamento dell’Islam come tradizione religiosa e non solo come fede vissuta. La differenza tra i due è sintetizzata con efficacia dallo studioso algerino Ali Merad: Massignon è stato «un instancabile testimone cristiano per l’islam»; de Foucauld «sembra essere stato chiamato dal proprio destino a essere un testimone mistico per Gesù, davanti all’islam». Al di là di questa differenza, è significativo che de Foucauld esprima la sua vocazione a farsi “fratello universale” in un contesto islamico. Il pensiero va immediatamente a Papa Francesco, che nella redazione della Fratelli tutti si è «lasciato stimolare dal Grande Imam Ahmad al-Tayyeb». E il modello cui il Papa ultimamente rimanda nell’enciclica non poteva che essere colui che «andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto africano».

 

In questo senso non va travisato uno degli appellativi con cui de Foucauld è diventato noto: eremita del Sahara. È vero che Charles rinuncia a tutto per dedicarsi completamente a Dio, ma la sua spoliazione non è un abbandono del mondo. È piuttosto un movimento di “uscita” che ha lo scopo di portare la tenerezza di Jesus Caritas in una periferia estrema della Terra, per usare ancora dei termini cari al Papa. «Scelgo Tamanrasset – annota Charles nel 1905 – villaggio di venti famiglie in piena montagna, nel cuore dell’Hoggar e del Dag Rali, sua principale tribù, in disparte da tutti i centri importanti. […] Scelgo questo posto abbandonato e mi ci stabilisco, supplicando Gesù di benedire questa fondazione in cui voglio, per la mia vita, prendere come unico esempio la sua vita di Nazaret».

 

È qui contenuta anche la sua intuizione teologica più originale. Come ha osservato Pierangelo Sequeri in un breve ma acutissimo libro, la vita nascosta di Gesù a Nazaret non è semplice preparazione al ministero pubblico; nella logica dell’incarnazione è semmai sua condizione preliminare e già azione redentrice. Ne consegue uno stile missionario incentrato su due fuochi: la presenza di Gesù eucaristico e la condivisione radicale della condizione degli uomini presso i quali Fratel Carlo è inviato. Il suo tempo a Tamanrasset è così diviso tra «la preghiera, le relazioni con gli indigeni e i lavori di lingua tuareg», necessari questi ultimi «a fare del bene ai Tuareg» parlando la loro lingua, come de Foucauld scrive al suo direttore spirituale nel 1909.

 

La validità di quest’intuizione travalica i confini del deserto algerino per raggiungere i tanti deserti spirituali che caratterizzano il mondo di oggi. È ancora Sequeri a precisarlo con parole che conviene citare direttamente: de Foucauld è «uno dei profeti dell’esilio meno chiassosi e più incisivi che siano stati destinati da Dio alla nostra contemporaneità ecclesiale. La sua fu – letteralmente – voce nel deserto, che preparava con prodigioso anticipo la condizione che è nell’accadere delle cose, qui e ora».

 

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