“America First” sembra essere il motto della politica estera del presidente eletto. Che effetto avrà sui conflitti in Siria, Iraq, Libia, e sulle alleanze regionali

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:07:19

La politica estera del presidente eletto Donald Trump dovrebbe essere connotata dall’approccio “America first” che il tycoon ha espresso durante tutta la campagna elettorale. Come ha scritto dopo il voto David Ignatius sul Washington Post, l’impegno americano all’estero sarà strettamente legato all’interesse nazionale statunitense, cercando di evitare eccessivi coinvolgimenti all’estero. Iran e accordo sul nucleare L’accordo sul nucleare iraniano (JPCOA) è uno dei risultati della presidenza di Barack Obama ed è criticato dai conservatori, tanto negli Stati Uniti quanto in Iran. Su questo, Trump si è allineato alla posizione di molti all’interno dello schieramento repubblicano di cui fa parte. L’Iran è il più grande sponsor del terrorismo del mondo, ha affermato Trump nel discorso del marzo 2016 all’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) e l’accordo è “uno dei peggiori che ho visto negoziati in tutta la mia vita”, ha ribadito durante un dibattito delle primarie repubblicane (febbraio 2016). Trump si oppone a tutti gli aspetti del JPCOA (durata, rimozione delle sanzioni, regime di ispezioni) e ha promesso di rinegoziare il patto, di smantellare la rete terroristica iraniana e di opporsi al suo tentativo di dominare la regione mediorientale. Trump non ha tuttavia specificato come intende fare tutto questo. D’altro canto, va tenuto in considerazione che uno degli aspetti più discussi dell’idea di politica estera di Trump è l’intenzione di migliorare i rapporti con la Russia, uno dei principali alleati dell’Iran. Iraq, Siria e lotta all’Isis Trump ha criticato George W. Bush per avere invaso l’Iraq. I mass media hanno tuttavia mostrato come su questo aspetto il presidente eletto abbia più volte cambiato opinione. La sua campagna elettorale è stata caratterizzata dalla richiesta di inasprimento della lotta contro Isis in Iraq e Siria. Il candidato è arrivato a paventare l’invio di 30mila soldati americani in Iraq, facendo riferimento a un “piano” di cui non ha fornito i dettagli. Trump si è espresso in favore della collaborazione con le forze curde. Nel discorso a Greenville in North Carolina (settembre 2016), il candidato ha affermato che i generali americani avrebbero avuto 30 giorni per sottoporre un piano dettagliato per sconfiggere Isis. Durante l’ultimo dibattito presidenziale, Trump ha criticato l’offensiva su Mosul: porterebbe vantaggi solamente all’Iran e non sfrutta l’effetto sorpresa. Nel contrasto a Isis Trump sarebbe pronto a stringere alleanze funzionali con Vladimir Putin, cui non ha mancato di riconoscere un ruolo decisivo nel contrastare le milizie jihadiste. Inoltre, nonostante abbia espresso la sua disapprovazione nei confronti del presidente siriano Bashar Assad, Trump non fa della rimozione del rais un punto imprescindibile del suo approccio alla guerra in Siria e propone di lasciare a Mosca una certa libertà d’azione nell’area, convinto che Putin sia in una posizione migliore per influenzare le scelte di Damasco. Immigrazione Sul tema dell’immigrazione, le proposte di Trump hanno seguito due direttrici. La prima è quella del contrasto all’immigrazione illegale dal confine sud degli Stati Uniti, con la proposta di costruire un muro lungo tutto il confine con il Messico. La seconda è dedicata al tema degli immigrati musulmani. Nel suo programma elettorale ha proposto la sospensione temporanea dell’immigrazione da quei Paesi con alle spalle precedenti atti di terrorismo contro gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati. In un discorso in Arizona, ha detto che per ottenere il visto d’ingresso negli Stati Uniti dovrebbe essere necessaria una “certificazione ideologica” che provi la condivisione dei valori americani dei richiedenti. Israele/Palestina Nel corso della sua campagna elettorale, Trump ha messo in discussione alcune delle storiche alleanze americane, ma si è dimostrato risoluto nel sostenere Israele. Intervenendo all’AIPAC, Trump ha proposto lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, anche se alcuni hanno avanzato l’ipotesi che si sia trattato soltanto di una mossa elettorale. Trump ha spiegato di poter giocare un ruolo importante nel rilanciare il negoziato di pace israelo-palestinese, forte della sua esperienza di businessman mediatore di accordi. Il responsabile dei negoziati palestinesi Saeb Erekat dopo il voto ha espresso cauto ottimismo all’emittente televisiva al-‘Arabiyya dicendo: “Il primo a parlare di uno Stato palestinese è stato il Presidente George W. Bush, questione che ora potrebbe essere ereditata dal partito repubblicano”. Egitto A margine dell’Assemblea delle Nazioni Unite, Donald Trump ha incontrato il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e si è congratulato per l’approccio risoluto del rais contro il terrorismo in Egitto. Il leader del Cairo è stato tra i primi a congratularsi con il presidente eletto. Da parte egiziana, l’attenzione sarà focalizzata sul mantenimento del tradizionale sostegno economico e militare degli Stati Uniti. Il quotidiano Haaretz, della vicina alleata Israele, si chiedeva nelle ore del voto se l’approccio “America first” di Trump potesse mettere in discussione gli aiuti militari americani al Cairo, ma gli analisti parlano di un possibile rafforzamento della storica alleanza. Sisi potrebbe beneficiare dell’apertura di Trump nei confronti di Putin, verso il quale lo stesso presidente egiziano negli ultimi mesi si è mosso in cerca di appoggio. Libia Sulla Libia Donald Trump ha assunto posizioni differenti. Ciò che è rimasto costante è l’accusa nei confronti di Hillary Clinton di essere responsabile per la morte dell’ambasciatore americano Christopher Stevens a Bengasi nel 2012. Trump ha spesso criticato la decisione americana di sostenere i ribelli libici nel 2011, anche se ha ammesso che probabilmente avrebbe autorizzato raid “chirurgici” per eliminare Muammar Gheddafi. In altre occasioni ha sottolineato come con Gheddafi in vita la Libia sarebbe più stabile. Per quanto riguarda l’attuale posizione americana nei confronti del Paese, il timore del Consiglio presidenziale presieduto da Fayez al-Serraj è, come ci ha spiegato Claudia Gazzini, che Trump sposti il sostegno americano verso il generale Khalifa Haftar. Turchia In quanto membro della NATO, la Turchia è interessata alla posizione di Trump nei confronti dell’Alleanza nordatlantica. Il tycoon l’ha definita “obsoleta”, suggerendo di spostare il suo focus dal contrasto alla Russia a quello al terrorismo e all’immigrazione. Su questo aspetto, le mosse di Ankara finalizzate al disgelo delle relazioni con Mosca sembrano andare nella stessa direzione. Il candidato repubblicano si è inoltre attirato le simpatie del presidente Recep Tayyip Erdoğan quando in un’intervista al New York Times ha evitato di criticarlo per le purghe messe in atto dopo il tentato colpo di Stato. Un punto di frizione tra l’America di Trump e la Turchia potrebbe essere il sostegno che il presidente eletto potrebbe garantire ai curdi nella lotta a Isis. [twitter: @fontana_claudio]