Dopo i primi passi compiuti lungo la strada della pacificazione e della normalizzazione, qual è la situazione nel Paese? "Una delle più grandi sofferenze è stata la perdita del capitale umano. Accanto alla ricostruzione fisica c'è un immenso bisogno di ricostruzione nel campo dell'educazione e della formazione. Perciò dobbiamo prenderci cura anche del lato affettivo delle persone". A colloquio con il presidente Hamid Karzai: gli enormi problemi sociali e il ruolo della comunità internazionale, il rapporto con l'Islam arabo e la libertà di professare altri culti. Per più di venti anni sei milioni di persone, un quarto della popolazione, sono diventati profughi. Un fenomeno di sradicamento le cui conseguenze sono difficili da prevedere e controllare: "Ora, dopo tanto dolore, abbiamo il grande bisogno di recuperare la vita". L'enorme problema dei bambini e delle donne: "Dobbiamo dare loro speranza e fiducia nel futuro".
 

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:51:52

Signor Presidente, l'Afghanistan ha sofferto 30 anni di guerra e oppressione. Lei ritiene che questi grandi sacrifici abbiano saputo condurre
il popolo afgano alla creazione di un'identità nazionale
o il paese è ancora una "congregazione" di gruppi e comunità etniche?
L'Afghanistan è una nazione molto antica. La storia di questo paese risale ad almeno tremila anni fa. L'Afghanistan, che è conosciuto per i suoi gruppi etnici, è anche un paese di popoli e nazioni che hanno vissuto l'uno a fianco dell'altro, naturalmente con specifiche identità. Essi sono sempre stati insieme di fronte ai pericoli, hanno intrapreso insieme molte battaglie, e insieme hanno difeso il paese. Se da un lato il paese è conosciuto per i nomi dei suoi gruppi etnici, allo stesso tempo tutti questi gruppi etnici hanno una cultura molto più coesa di qualsiasi altra nazione al mondo. Il cibo è lo stesso, l'abbigliamento è lo stesso, la religione è la stessa, anche l'identità culturale è la stessa. E la ragione per cui oggi esiste un Afghanistan libero è proprio dovuta all'esistenza di una nazione afgana. Posso perciò dire che è come un mosaico colorato, come molti fiori che stando insieme formano un bellissimo giardino. E quel giardino è l'Afghanistan. Se si guarda indietro alla storia afgana si possono vedere molti esempi della determinazione della nazione. Lei può vedere, rispetto agli ultimi difficili anni, come in ogni occasione il popolo afgano abbia deciso di fare quello che era giusto per la nazione: le elezioni, la nascita della Costituzione e di altre istituzioni. Il risultato ultimo è sempre a beneficio della nazione afgana. Per ciò siamo molto orgogliosi e felici di essere quello che siamo. La ricostruzione dell'Afghanistan dovrà essere non solo materiale. Quali sono le Sue idee e i Suoi progetti per ricostruire la società afgana? Per quanto riguarda la ricostruzione della persona umana, una delle più grandi sofferenze dell'Afghanistan è stata la perdita del capitale umano, in termini di educazione, formazione e manodopera. Un'altra grande perdita è stato lo sradicamento degli afgani. Molte migliaia di afgani sono stati mandati via dalle loro case e dai loro luoghi d'origine. Sei milioni di afgani sono diventati profughi. Un enorme numero che rappresenta quasi il 25% della popolazione, e questo per più di 20 anni. Appena l'Afghanistan fu liberato, nei primi tre anni, 4-5 milioni sono ritornati. Ora l'anima dell'Afghanistan è ferita. C'è stata tanta sofferenza e paura, così difficile da cancellare dalla memoria. Perciò, accanto alla ricostruzione fisica, c'è un immenso bisogno di ricostruire la vita afgana nel campo dell'educazione e della formazione, e di altri aspetti legati alla società, alla vita sociale e all'uomo in quanto persona. Perciò dobbiamo prenderci cura del lato affettivo delle persone, dei sentimenti, perché si dimentichi il duro passato. Questo è estremamente importante per la ricostruzione, anche se siamo sicuri che potrebbe richiedere molto tempo, perché è molto difficile guarire le ferite dell'anima. Prima di venire qui a Palazzo ho incontrato, in un centro di volontari italiani per la promozione tecnica, quattro donne afgane e ho loro chiesto cosa avrebbero voluto dire al Presidente Karzai se si fossero trovate di fronte a lui. E hanno tutte risposto: vorremmo ringraziarlo per tutto ciò che ha fatto per noi. Mi vuole spiegare che cosa ha fatto per le donne? In qualsiasi società che vive la guerra, la miseria e lo sradicamento, le prime vittime sono le donne e i bambini. E l'Afghanistan non è un'eccezione. C'è un grosso bisogno di recuperare la vita, cosa che l'Afghanistan riconosce da diverso tempo. Le donne non solo hanno bisogno di tornare di nuovo alle proprie case in pace e sicurezza, ma hanno anche bisogno di svolgere il proprio ruolo come parte integrante della società, in tutti i campi. Nell'economia, nella società, nella politica e nella cultura. Il paese ha preso coscienza di questo. Questa presa di coscienza è stata alla base della legge elettorale parlamentare in cui si è stabilito di riservare un 25% dei seggi alle donne, anche perché consapevoli di dover dare alle donne speranza e fiducia nel futuro. E questo è stato un passo molto importante, forse il più importante che abbia fatto il paese. Come presidente, non penso di poter dire di aver fatto qualcosa di particolare, ma come cittadino afgano, ho fatto quello che qualsiasi afgano avrebbe fatto. Alla fine di gennaio c'è stata una conferenza sull'Afghanistan a Londra. Pensa che la comunità internazionale abbia adempiuto fino ad ora i suoi doveri e le sue promesse nei confronti del popolo afgano? La comunità internazionale ci è stata particolarmente vicina. C'erano due elementi che andavano messi insieme per liberare e ricostruire il paese. Uno era la volontà del popolo afgano, che c'è sempre stata, l'immenso desiderio del popolo afgano di ricostruire il paese. L'altro elemento era la comunità internazionale che non stava facendo nulla. Il popolo afgano stava aspettando l'aiuto internazionale già prima del 2001, prima dell'11 settembre. Per questo l'Afghanistan era inquieto, perché il desiderio non bastava di per sé alla sua realizzazione. La realizzazione del desiderio aveva bisogno di strumenti. Avevamo il desiderio a livello nazionale, ma non avevamo gli strumenti per realizzarlo. Subito dopo l'11 settembre, il mondo si riunì per venire ad aiutare l'Afghanistan, così l'elemento degli strumenti e l'elemento del desiderio si incontrarono, e il risultato fu il successo in Afghanistan. Perciò noi, come nazione afgana, siamo molto grati all'elemento che ha reso possibile trasformare il nostro desiderio in una realtà di pace, di sovranità statale e ricostruzione. Il mondo ci ha destinato molto denaro in molti campi e siamo molto grati di questo. Se tale denaro avrebbe potuto essere speso meglio è un altro discorso. Se abbiamo bisogno di ulteriore capitale è un'altra questione. Ma noi, come nazione, siamo grati alla comunità internazionale per averci liberato, per aver aiutato l'Afghanistan a camminare con le proprie gambe, in secondo luogo, noi come nazione siamo grati che il mondo abbia compiuto ciò di cui si era preso impegno con noi. Ora, se vorranno fare di più saremo molto più felici. Lei è stato lo scorso dicembre alla Mecca a partecipare all'organizzazione della Conferenza Islamica (OIC). Chi sta guidando l'Islam oggi e verso quale Islam guarda l'Afghanistan? L'Afghanistan, in quanto paese musulmano, è moderato. È un paese sunnita devoto e non ha mai tollerato o accettato gli estremismi. Credo che vada detto molto chiaramente al mondo che sono stati i musulmani specialmente i musulmani afgani a soffrire per primi a causa degli estremisti. Prima di tutto gli estremisti sono venuti da noi, ci stavano già uccidendo prima di arrivare in Europa e in America. Ma la nostra tragedia è che questi estremisti stavano uccidendo e distruggendo le vite degli afgani, vite di musulmani, nella parte più povera del mondo musulmano, e che il mondo non ci stava dando una mano. Questa è la questione principale. Lei sta facendo riferimento, signor Presidente, ai seguaci di Al-Qaida, ma ci sono stati anche combattenti talebani tra i cittadini afgani... L'estremismo è estremismo. Questi ultimi, a cui fa riferimento, erano addestrati dall'estero. L'estremismo in particolare viene dal periodo dell'invasione sovietica dell'Afghanistan e dal jihad del popolo afgano contro di essa. A quel tempo erano attive due forze. Una era il potere del comunismo sovietico che fu imposto con la forza sul popolo afgano, l'altra forza era nella forma di jihad. Tutte le potenze che ci aiutarono, America, Europa o paesi islamici, ci imposero un altro tipo di Islam al fine di combattere i sovietici. Essi incoraggiarono la parte più estremista del mondo musulmano ad entrare in Afghanistan per combattere i sovietici. Perciò l'estremismo che c'è in Afghanistan, in parte proveniente dal mondo arabo, è la conseguenza di quella politica sbagliata. L'intenzione era di sconfiggere i sovietici, ma nessuno pensò al costo che avrebbero pagato gli afgani. Questo ci ferì. L'estremismo non è stato creato dalla società araba. È stato creato dalle politiche dei capi e dai ricchi. Lei ha partecipato ai funerali di Giovanni Paolo II nonostante non ci siano relazioni diplomatiche tra l'Afghanistan e la Santa Sede. Qual è stata la ragione della Sua partecipazione e qual è la Sua opinione sull'ultimo Papa? L'ultimo Papa è stato un grande uomo. Un uomo che credeva nella pace, un uomo che credeva nell'armonia tra le religioni di Dio. Un uomo che ha sempre alzato la voce in favore del popolo afgano nei momenti difficili del nostro paese. Durante l'invasione sovietica parlò molte volte in favore del popolo afgano e della pace in Afghanistan. Per questo noi lo rispettiamo molto. Inoltre il Papa è stato il capo dei cattolici, un importante ramo della religione cristiana. Gesù viene nominato nel Corano come profeta di Dio. E se un musulmano non crede alla profezia di Gesù o di Mosè cessa di essere musulmano. Perciò, per noi, il Cristianesimo è una religione di Dio, un Libro di Dio, e l'Islam riconosce esplicitamente Gesù e Mosè come profeti di Dio. L'unica chiesa presente in Afghanistan è confinata all'interno di un'ambasciata. Lei pensa che sarà possibile nel futuro prossimo vedere una chiesa attiva a Kabul o in altre città al di fuori delle aree diplomatiche? Entro la legge dell'Afghanistan sì. La nostra Costituzione lo permette. L'articolo 2 della Costituzione afgana dice: "I seguaci di altre religioni sono liberi di professare la loro fede e di seguire i propri riti religiosi entro i limiti previsti dalla legge". Sarà perciò possibile professare la propria religione ovunque si voglia. Lei è stato molte volte in Occidente. Cosa pensa del modello occidentale multi-culturale, multi-religioso e delle società multi-etniche? Non ho mai vissuto in Occidente, anche se ho visitato diversi paesi occidentali per una o due settimane al massimo. Sono a favore delle società multi-culturali, dove ci sia rispetto per le culture e i valori dei diversi gruppi e identità. È ciò che anche la Costituzione afgana riconosce. Come vorrebbe essere ricordato dalla storia il Presidente Karzai? Come l'uomo che ha aiutato l'Afghanistan a camminare con le proprie gambe, a riorganizzare la società, come una nazione sovrana, e anche come un uomo che è stato capace di fare qualcosa per la pace nel mondo.

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