Un libro che ci restituisce un’immagine forse non più confortante, ma assai più realistica del Paese della Rivoluzione islamica

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:09

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Recensione di Farian Sabahi, Storia dell’Iran 1890-2020, il Saggiatore, Milano 2020.

 

Dei tre Paesi a suo tempo definiti pilastri di un presunto “asse del male” (Iraq, Corea del Nord e Iran), il secondo è proporzionalmente quello che conosciamo meno; il primo è almeno noto per i più colti come l’erede della Mesopotamia e per tutti come la patria di Saddam Hussein (saltando spesso a piè pari i secoli d'oro della civiltà islamica); l’Iran con la sua storia plurimillenaria che ci ha accompagnato sin dalle pagine dei manuali scolastici relative ad antichi egizi, greci e romani (col nome più familiare di Persia), persiste nel mantenere ai nostri occhi un che di esotico, pur facendola spesso da padrone nelle cronache politiche quotidiane.

 

Più fortunato dell’area africana a sud del Sahara, che per moltissimi potrebbe ancora accontentarsi della descrizione “hic sunt leones”, e pur meno remoto di “altri” Orienti (come l’India, la Cina o il Giappone, per tacere di Malaysia e Indonesia), insieme ad altri Stati del cosiddetto Vicino o Medio Oriente è rapidamente passato da “maraviglie” quali lampade magiche e tappeti volanti, a meno allettanti ma comunque riduttive e spaventose immagini di guerra, dispotismo e crudeltà, soprattutto dopo la celebre rivoluzione khomeinista che l’ha visto trasformarsi dal 1979 da “trono del Pavone” a “Repubblica islamica”.

 

Eppure, non soltanto per antica civiltà, ma anche in quanto a moderna seppur compressa “società civile”, non ha forse paragoni in tutta l’area. Destino comune a moltissimi altri luoghi ove chi ha governato o governa è ben poco rappresentativo dei governati. Nelle fasi post-rivoluzionarie poi, e questa dura ormai da oltre 40 anni, dopo aspri conflitti guerreggiati (ben 8 anni contro l’Iraq) e durante sfide ideologiche annose e planetarie (Islam politico vs democrazie liberali) è facile che la prospettiva del lungo periodo venga fatalmente sacrificata a più immediate quanto sbrigative rappresentazioni.

 

Intendiamoci, è tutto vero, ma non è tutto. A guidarci in questo “safari” a caccia di troppi sottintesi e particolari tanto utili quanto nascosti, è una figlia della Persia, apprezzata docente e giornalista, una vera perla rara per diretta esperienza, competenza e imparzialità nel quadro dei pur valenti specialisti nostrani. Lo fa, giustamente, concentrandosi sull’epoca moderna e contemporanea, altrimenti il già cospicuo volume avrebbe assunto dimensioni improponibili. Potremo così scoprire i passi che già alla fine del XIX secolo l’Iran stava faticosamente compiendo non soltanto per emanciparsi dalle forti ingerenze russa e britannica nel suo territorio, ma anche per trasformarsi in una monarchia costituzionale, con tanto di parte del clero sciita favorevole a tale evoluzione, per non parlare della classe dei mercanti, dei rappresentanti dell’esercito nazionale ancora in formazione e di svariate sigle politiche tra le quali non mancava nemmeno un robusto partito comunista.

 

Con precisione chirurgica l’Autrice analizza le varie fasi, con tanto di protagonisti, numero di voti, di elezione in elezione fino e dopo la rivoluzione. Una quantità di eventi in cui anche e soprattutto l’economia e la geopolitica hanno influito, ben oltre le ideologie rivendicate come causa prima o unica dei fatti. Una lettura agevole e interessantissima che ci svela quanto è restato e rimane dietro le quinte, dalla nazionalizzazione del petrolio di Mossadeq all’avvicendamento di riformisti e moderati quali Khatami e Rohani e intransigenti (ma non troppo) come Ahmadinejad. Reduci di guerra, giovani studenti, movimenti femminili escono dalla cortina fumogena che ci ha impedito finora di vederli, per restituirci un’immagine forse non più confortante, ma assai più realistica di uno dei cardini essenziali di qualsiasi politica centrasiatica, da millenni, piaccia o meno.

 

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