Intervista a Mona Makram-Ebeid, Senatrice, membro del National Council for Human Rights dell’Egitto e Professore all’American University, a cura di Maria Laura Conte

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:39:49

La situazione in Egitto è a un punto morto. C’è uno stallo tra due opposte forze politiche che continuano a ignorarsi l’un l’altra e, ad oggi, nessun dialogo è possibile. Da una parte c’è la corrente islamista, dall’altra quella non islamista. Quest’ultima ha avanzato alcune proposte alla Presidenza per attenuare lo scontro, e anche per cercare di ridurre la violenza che c’è nelle strade. Hanno chiesto degli emendamenti alla Costituzione, che non tutela tutti i diritti, umani, economici e sociali, come ci si aspetterebbe in una nuova Costituzione uscita da una rivoluzione. Vogliono inoltre un nuovo governo, un governo di coalizione tra le diverse forze in campo, così che possa rimanere neutrale durante le elezioni e anche rimuovere il Procuratore Generale che fu imposto dalla Presidenza e non eletto dalla Corte Suprema. Ci sono state ripetute violazioni dei diritti umani nei mesi scorsi e attacchi alla magistratura, un’istituzione estremamente rispettata in Egitto e all’estero. La violazione della libertà di espressione, della libertà degli scrittori e dei giornalisti, è stata contestata. Ma tutte queste rivendicazioni non sono state prese in considerazione dal partito al Governo né dal Presidente, e questo è il motive per cui ci troviamo ad avere questo scontro tra i due schieramenti. Le prossime elezioni sarano in grado di introdurre un cambiamento o di smuovere questa situazione di stallo? No, perché solo una delle due parti intende partecipare alle elezioni. I partiti non islamisti, infatti, hanno dichiarato che boicotteranno le elezioni finché le loro richieste non verranno accolte. E sembra che manterranno fermamente questa posizione. Non vogliono partecipare all’appuntamento elettorale per non legittimare gli altri. E gli islamisti? Come reagiscono alla minaccia di boicottaggio? Stanno cercando di trovare membri dell’opposizione disposti a dialogare con loro. Ma fin’ora hanno tutti rifiutato. Secondo lei quale soluzione è praticabile? La ricerca della flessibilità da entrambe le parti, perché il Paese è in un grave stato di caos. L’ultima parola non è ancora stata pronunciata. Che speranze nutre? Io spero che entrambe le parti siano capaci di flessibilità. Vedo che alcuni membri dell’opposizione non sono d’accordo con la proposta del boicottaggio delle elezioni e così forse emergeranno nuove idee nei prossimi giorni in vista del prossimo appuntamento elettorale. Forse intravede dei segnali in questa direzione? No, ma noi speriamo. La sfida numero uno è progettare il futuro dello Stato egiziano. La visione islamista dello Stato (una teocrazia) è diversa da quella delle opposizioni (una democrazia), ma potrebbero trovare una piattaforma comune se le persone sagge di entrambe le parti assumessero la guida della situazione. La grave situazione economica del Paese non sta costringendo a un cambiamento di rotta anche a prescindere dalle questioni partitiche? Naturalmente. Ci sono sempre più persone arrabbiate per l’aumento dei prezzi, per le nuove tasse che devono pagare. Vedono che c’è sempre più ingiustizia e questo malcontento crescente costituisce una provocazione per chi cerca di governare il Paese. Qual è la posizione dei Copti in questo contesto? I copti sono molto contrariati a causa della modalità di ripartizione dei seggi del Parlamento e della delimitazione delle circoscrizioni elettorali. Molte circoscrizioni infatti sono state ideate in modo da impedire ai candidati copti di vincere il seggio anche in aree del Paese dove i cristiani – se non sono la maggioranza – sono in numero cospicuo. La crescita e il potere della tendenza islamista ha terrorizzato molti cristiani copti. Temono per il loro futuro e avvertono il rischio di essere trattati come cittadini di seconda classe. Tuttavia posso dire che al momento non c’è persecuzione contro di loro, semmai c’è discriminazione. Rappresentano una parte importante della popolazione egiziana che è molto preoccupata per l’avvenire. Tant’è che alcuni hanno deciso di emigrare. Queso è il motivo per cui io lotto per i loro diritti, come lotto per difendere ogni singolo cittadino. Dobbiamo ricordare che l’Egitto è stato uno dei primi firmatari della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Le giovani generazioni hanno giocato un ruolo importante nella rivoluzione. Dove sono oggi? Le giovani generazioni, I giovani rivoluzionari, musulmani e cristiani, sentono che la rivoluzione è stata loro rubata. Sono arrabbiati e credo che si uniranno al boicottaggio. Vorrei ricordare anche l’imprtante partecipazione dei giovani copti alla rivoluzione del 25 gennaio. Ci sono stati molti martiri in quelle cirostanze. Chiedevano diritti, non elemosine. Durante la rivoluzione c’è stata una solidarietà e convivialità molto profonda tra giovani copti e musulmani. Perciò oggi c’è un grande scontento: quella convivialità non è durata e avvertiamo il bisogno che essa torni per il bene dell’Egitto. Come guarda il popolo a Papa Tawadros II? Credo che sia una grande benedizione per i copti e i musulmani egiziani avere un uomo così saggio e patriottico alla guida della Chiesa cristiana, che è una delle istituzioni più importante del Paese. La sua saggezza incontra quella dello Shaykh di Al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, capo della comunità musulmana. Entrambi sono saggi, entrambi hanno a cuore l’interesse dell’Egitto ed entrambi combattono per l’unità nazionale.