Al-Sisi ha stravinto le elezioni presidenziali in Egitto con il 97% dei voti. Si è recato alle urne il 47% degli aventi diritto di voto, mentre l’affluenza al voto del 2012 quando vinse Morsi fu del 52%. Come e perché ha vinto il generale? Cosa farà ora con i Fratelli? Risponde l’esperto Tewfik Aclimandos.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:56

La decisione di prolungare la durata delle elezioni può far dubitare della trasparenza delle procedure di voto. Le elezioni sono state regolari? Ci sono stati brogli? La decisione è particolarmente stupida ma prova che non ci sono stati brogli. Si voleva un alto tasso di partecipazione, almeno trenta milioni di elettori: un obiettivo irrealistico visto il risultato prevedibile dell’elezione, a sua volta dovuto alla popolarità del maresciallo (in assoluto e rispetto a quella del suo concorrente). Se ci fossero stati brogli, se fosse stato possibile commettere dei brogli, si sarebbe mantenuta la durata inizialmente prevista e si sarebbe in seguito truccato il risultato. Chi ha votato per al-Sisi e perché? Bisogna attendere i risultati ufficiali per fornire una risposta certa. Dalle indicazioni a nostra disposizione possiamo dire che l’hanno votato tutti, tranne i militanti dei Fratelli e una porzione importante della gioventù laureata delle classi medie delle grandi città. Al-Sisi è popolare soprattutto nel mondo della funzione pubblica, della piccola borghesia e nel mondo operaio. È un po’ meno popolare nel mondo rurale, che tuttavia sembra aver votato per lui, seguendo la ragione più che il cuore. A non essere chiaro è che cosa abbiano fatto i salafiti, perché abbiamo indicazioni contraddittorie. Perché al-Sisi sia stato votato è chiaro: la sicurezza. Hanno tutti preso coscienza del fatto che se non si ristabilisce la sicurezza il turismo, motore dell’economia, non riprenderà. Né Sabahi né i Fratelli l’hanno capito. Una parte della popolazione ha probabilmente votato al-Sisi anche per nazionalismo (“amiamo l’esercito e non vogliamo che ci vengano date lezioni”) o per ostilità ai Fratelli, considerati responsabili del terrorismo o per altre ragioni. Queste elezioni hanno indebolito il progetto politico di al-Sisi? Non credo. Ha pur sempre ottenuto una grande maggioranza, peraltro inattesa. Bisogna tenere conto del fatto che alcuni dei suoi “clienti” volevano diventare “alleati” e contavano per questo su un margine risicato, in modo da poter dettare delle condizioni o almeno negoziare. Penso naturalmente alle reti del PND [il partito di Mubarak, N.d.R.]. Non deve veramente nulla ad alcuna forza politica. Non è una cosa necessariamente rassicurante, né necessariamente inquietante. Al contrario, l’incuria dello staff della sua campagna (si può dire che il suo risultato è stato raggiunto nonostante loro), certi passi falsi durante la campagna, permettono di nutrire dei dubbi – magari infondati, staremo a vedere – sulla professionalità della sua squadra. Rispetto alle elezioni del 2012 Sabahi ha perso circa 4 milioni di voti. Perché? Ho votato Sabahi nel 2012 e nel 2014. Ancora una volta, in assenza di sondaggi, ci si è ridotti a delle speculazioni. Nel 2012 aveva beneficiato del fatto che nessun altro candidato era veramente credibile: molti elettori non volevano saperne dei due tenori, Morsi e Shafiq. L’opinione pubblica era meno preoccupata dalla sicurezza di quanto non sia oggi e Sabahi non ha calcolato l’ampiezza del pericolo rappresentato dal suo deterioramento. Nel 2012 una grossa parte dell’opinione pubblica pensava che il problema fosse lo Stato; oggi pensa che lo Stato sia la soluzione. Questa volta abbiamo avuto un candidato credibile, con un discorso sulla sicurezza rassicurante, mentre Sabahi ha problemi di credibilità (è ingiusto ma è così) e il suo discorso pro libertà pubbliche, pro diritto a manifestare, che gli fa onore, ha preoccupato gli elettori. Si può immaginare per l’Egitto un progetto politico realizzabile senza la riconciliazione con i Fratelli musulmani? È un’ottima domanda. Vedremo, ma vorrei dire solo una cosa: è la confraternita che non vuole la riconciliazione. Poi la questione è complessa: chiedere alla confraternita di ristrutturarsi per rispettare la legge, essere trasparente, smantellare le sue milizie, etc, significa chiederle di rischiare il suicidio. Alla sua eccellente domanda preferisco rispondere che l’Islam politico è in crisi ma non sparirà. I Fratelli sono una vecchia forza, e neanche loro spariranno. Ma possono cambiare? Ne dubito, ma questo cambiamento è necessario se la riconciliazione deve essere durevole. Due anni fa le avrei detto che è impossibile fare qualcosa con loro, o contro di loro. Oggi non so più che cosa è possibile e che cosa non lo è.