Il cardinal Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, spiega qual è il rapporto tra testimonianza e dialogo interreligioso

Questo articolo è pubblicato in Oasis 7. Leggi il sommario

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:55:12

Per tredici anni ho avuto il privilegio di servire Papa Giovanni Paolo II come segretario per le relazioni della Santa Sede con gli Stati. Alla fine della loro missione, gli ambasciatori erano soliti compiere una visita di congedo. Mi ricordo che uno di loro, di religione musulmana, mi fece questa confidenza: «Sa, la cosa che mi ha impressionato di più durante i tre anni passati presso di voi non è la vostra visione della situazione internazionale, per quanto valida essa sia; è aver visto il Papa in preghiera durante le cerimonie». Questo episodio mi pare emblematico per trattare il tema che mi è stato assegnato, “testimonianza e dialogo interreligioso”. La condivisione delle esperienze spirituali degli uni e degli altri, la testimonianza di fede, è la via forse più adatta per nutrire il dialogo tra credenti. Questo “scambio di doni” tra credenti può anche ricordare a tutti che la preghiera è la lingua comune praticata da tutte le religioni.

 

Testimoniare la propria fede è evidentemente il primo dovere di ogni credente. Per il cristiano, in ogni caso, questo dovere è indubitabile. Basti citare il Vangelo di Luca che riferisce le parole rivolte da Gesù ai suoi apostoli poco prima della sua Ascensione: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni» [Lc 24,46-48]. I credenti e le loro comunità sono chiamati a offrire la propria testimonianza di uomini e donne religiosi in un mondo multireligioso e multiculturale, come avvenne fin dalle origini del Cristianesimo: che cosa si potrebbe immaginare di più vario della società palestinese in cui ha vissuto e insegnato Gesù! Mi sembra che tre certezze debbano ispirare questa testimonianza:

 

  1. avere idee chiare sul contenuto della propria religione;
  2. vivere secondo ciò che crediamo;
  3. non aver paura di manifestarci per dire la nostra fede.

 

Ogni dialogo interreligioso presuppone innanzitutto una chiara identità dei parteci­­pan­ti; non si dialoga fondandosi sull’ambiguità. La catechesi e l’insegnamento offerto nelle scuole e università cattoliche dovrebbero, ad esempio, insistere sempre più sul contenuto della fede, per mettere i nostri fedeli in grado di dialogare nella verità con i membri delle altre religioni con cui convivono.

 

Non si tratta chiaramente di fare di ciascuno di noi un “esperto” in religione: non si insegna Dio, lo si testimonia. Si tratta di diventare testimoni credibili della fede che professiamo. Nel dialogo interreligioso siamo esposti allo sguardo dell’altro. Così, quando noi cristiani chiediamo all’altro: «Dimmi com’è il tuo Dio e come traduci la tua fede nella vita quotidiana», sappiamo che ben presto il nostro interlocutore ci porrà la medesima domanda. Il dialogo interreligioso più che un dialogo tra religioni è, in effetti, un dialogo tra credenti e per essere autentico presuppone in quanti lo praticano la vita interio­re e la santità. Al riguardo, nella sua lettera Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II ha riconosciuto la santità come priorità pastorale della Chiesa per il terzo millennio: «Non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità» [n. 30]. Infine, dobbiamo avere la coerenza e la libertà interiore di non esitare mai ad annunciare e a far vedere Colui in cui noi crediamo. Recentemente Papa Benedetto XVI, rivolgendosi ai membri della Curia romana, ricordava che la persona che ha scoperto Gesù e il suo messaggio non può tenerli soltanto per sé: «In Gesù Cristo è sorta per noi una grande luce, la grande Luce: non possiamo metterla sotto il moggio, ma dobbiamo elevarla sul lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» [cfr. Mt 5,15].

 

È interessante osservare quanto il dialogo interreligioso possa contribuire all’approfondimento delle proprie convinzioni e a dare alla propria fede dimensioni nuove. Se tutti i credenti riuscissero a essere testimoni di Dio, senza dubbio le religioni non farebbero più paura, come invece purtroppo talora accade. Esse apparirebbero molto più chiaramente come fonti di comprensione e di fraternità.

La natura del dialogo interreligioso ci appare così più chiara. Non si tratta di una semplice conversazione tra amici il cui scopo è quello di essere cortesi evitando gli argomenti che disturbano. Non si tratta neppure di una negoziazione che si conclude sempre con la soluzione di un problema. Si tratta di promuovere ogni tipo di relazione positiva e costruttiva con gli individui e le comunità delle altre religioni «che sia mirato alla muta comprensione e al mutuo arricchimento, nel pieno rispetto della verità e della libertà» [documento Dialogo e annuncio, n. 9].

 

Il dialogo interreligioso diventa così un’opportunità per approfondire le proprie convinzioni religiose. Ogni incontro può diventare dialogo e trasformarmi: senza nasconde­re le mie convinzioni, sono ogni momento condotto a rivedere pregiudizi e approfondire le ragioni della mia speranza, fondata sulla mia fede che mi fa sempre confessare che la pienezza della rivelazione è stata portata da Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini [cfr. 1Tm 2,4-6].

 

Il dialogo interreligioso comincia dunque sempre dal rispetto dell’altro, della sua persona e delle sue convinzioni. Me lo fa considerare come qualcuno che possiede dei valori. Mi spinge a desiderare di conoscerlo sempre più. Due documenti pubblicati dal nostro Consiglio[1] precisano le quattro modalità secondo cui tale dialogo si realizza concretamente:

 

  1. il dialogo della vita, fatto di apertura e buon vicinato;
  2. il dialogo delle opere, fatto di collaborazione in vista del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro;
  3. il dialogo teologico, che cerca di approfondire la comprensione delle rispettive eredità religiose;
  4. il dialogo delle esperienze religiose in riferimento alla preghiera e alla contemplazione.

 

Il dialogo interreligioso pertanto non riposa soltanto sul rispetto reciproco. È occasione propizia per testimoniare e parlare della propria fede a persone di altre religioni. Rispondere a domande o, eventualmente, sollecitarle, correggere informazioni errate, dissipare pregiudizi… sono altrettanti servigi resi alla propria fede. Così il dialogo diventa anche un servizio importante per far conoscere questa fede, viverla in modo coerente e dunque credibile. Portare un segno distintivo che mi identifica come appartenente a una comunità non va considerato come un’“aggressione” verso i credenti delle altre denominazioni. Sincerità e franchezza sono indispensabili per creare la fiducia. La finalità di questo tipo di dialogo non è nascondere le proprie convinzioni per compiacere l’altro o cercare il minimo comun denominatore, ma piuttosto servirsi di ciò che ci differenzia e talora ci contrappone come di un mezzo capace di creare una migliore comprensione e un arricchimento reciproco. Papa Giovanni Paolo II, rivolgendosi all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, il 15 maggio 2004 affermò: «Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte ho avuto modo di rilevare che il millennio da poco iniziato si colloca nella prospettiva di un “più spiccato pluralismo culturale e religioso” [n. 55]. Il dialogo è pertanto importante e deve continuare, in quanto “fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa”, in “intimo legame” con l’annuncio del Cristo e, allo stesso tempo, da esso distinto, senza confusioni e strumentalizzazioni [Redemptoris missio, 55]. Nel promuovere tale dialogo con i seguaci di altre religioni, va però evitato ogni relativismo e indifferentismo religioso, sforzandosi di offrire a tutti con rispetto la gioiosa testimonianza della “speranza che è in noi”» [cfr. 1Pt 3,15]. Il suo successore, Papa Benedetto XVI, ha ricordato ancora che «l’annuncio e la testimonianza del Vangelo sono il primo servizio che i cristiani possono rendere a ogni persona e all’intero genere umano, chiamati come sono a comunicare a tutti l’amore di Dio, che si è manifestato in pienezza nell’unico Redentore del mondo, Gesù Cristo» [Discorso in occasione del quarantesimo anniversario del Decreto Ad Gentes, 11 marzo 2006].

 

Torno in conclusione alla visita di cortesia che mi fece quell’ambasciatore di religione musulmana, toccato dall’immagine di un Papa in preghiera, un Papa che fu un grande uomo spirituale. E mi domando se il dialogo interreligioso non cominci prima di tutto dal rispetto per la preghiera dell’altro, per poter poi meglio comprendere ciò o Colui che la “abita”. Dopo tutto, il dialogo interreligioso si realizza tra credenti che conoscono l’importanza della preghiera. Sanno che essa può cambiare il cuore dell’uomo. Ogni uomo che si piega davanti al suo Dio non può che ispirare rispetto ed è proprio nel momento in cui prega che si trova al culmine della sua persona. È in quel momento che possiamo comprenderci nel nostro comune destino di creature di Dio e nelle nostre differenze. Ciò non significa dire: «Tutte le religioni si equivalgono, preghiamo tutti insieme!»; Significa dire che tutti coloro che sono alla ricerca di Dio o lo servono hanno la stessa dignità! Dobbiamo dunque aiutarci gli uni con gli altri, al di là di quello che ci separa, a non dimenticare mai la parola del profeta: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» [Mi 6,8].

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

[1] L’atteggiamento della Chiesa verso i seguaci di altre religioni (Segretariato per i non Cristiani, 1984); Dialogo e annuncio (Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, 1991).

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Jean-Louis Tauran, Esposti allo sguardo e alla domanda dell’altro, «Oasis», anno IV, n. 7, maggio 2008, pp. 5-7.

 

Riferimento al formato digitale:

Jean-Louis Tauran, Esposti allo sguardo e alla domanda dell’altro, «Oasis» [online], pubblicato il 6 luglio 2008, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/esposti-allo-sguardo-e-alla-domanda-dell-altro-1.

Tags