Vita, opere, scambi teologici, esperienza religiosa sono i quattro sono i pilastri di un autentico e interessato confronto tra le fedi. Occorre riscoprire questa dimensione a partire dal preambolo del documento conciliare Nostra Aetate, un testo troppo trascurato

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:59

Il documento conciliare Nostra Aetate ha aperto per la prima volta l’universo della Chiesa verso nuovi orizzonti: gli orizzonti delle religioni non cristiane. In esso infatti la Chiesa riconosceva per la prima volta in modo esplicito e autoritativo la possibilità di salvezza al di fuori dei suoi confini visibili. Tale nuova posizione, frutto di un lungo e laborioso lavoro teologico, ha trovato una larga risonanza nell’abbondante letteratura teologica che si è sviluppata sull’argomento nel dopo-Concilio nel campo del dialogo interreligioso. In particolare, nel documento Dialogo e Annuncio (1991) sono indicate, com’è noto, quattro forme fondamentali di dialogo (n°42): il dialogo della vita, delle opere, degli scambi teologici e dell’esperienza religiosa. Soprattutto quest’ultima dimensione del dialogo può essere approfondita proprio a partire dal preambolo della dichiarazione Nostra Aetate, cui, a nostro parere, si è dato poco peso, forse perché considerato troppo generico e scontato. Non è affatto escluso che proprio l’aver trascurato le istanze che esso pone abbia condotto il dialogo interreligioso a perdere in gran parte la sua prima incisività scadendo troppe volte al livello di uno scambio superficiale di pareri che non impegnano nessuno, se non stanno addirittura sotto il segno di una propaganda opportunista.

Il preambolo del documento conciliare presenta le religioni come risposte alle domande fondamentali che turbano profondamente il cuore umano, domande che riguardano il senso della sua esistenza. Esso recita:

«Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell’uomo: la natura dell’uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l’origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l’ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo» (Nostra Aetate 1)

Queste sono solo alcune delle domande fondamentali che ogni essere umano si pone. Esse sono evidentemente presentate dal documento conciliare come semplici esempi del questionare incessante e della problematica radicale che attraversano tutta l’esistenza umana, e che, si può dire, costituiscono l’essere umano in quanto tale. Un essere umano che non si ponesse tali domande cesserebbe di essere umano. Il documento del Concilio introduce dunque un aspetto importante del dialogo interreligioso; anzi, a mio parere, esso rappresenta il vero punto di partenza di ogni serio dialogo interreligioso. Noi esseri umani dialoghiamo in primo luogo perché abbiamo in comune delle domande fondamentali cui rispondere, perché siamo, in certo senso, costretti da un questionare incessante e da una problematica radicale che attraversano tutta la nostra esistenza.

L’essere umano è l’essere che interroga. Egli si interroga prima di tutto sul senso della propria vita, ma da questo il suo domandare si allarga sul senso dell’essere in generale. Le due domande, quella su di sé e quella sull’essere, sono strettamente connesse. Anzi, non c’è vera risposta all’una senza una risposta all’altra. Questo aspetto è stato ampiamente illustrato dal pensiero filosofico e teologico moderno.

Gli animali subumani sembrano cercare la loro felicità nella soddisfazione dei loro bisogni e istinti primari, naturali e immediati quali il nutrimento, la compagnia, la riproduzione ecc. Peraltro, in tale campo, occorrerebbe essere più avveduti, visto che Paolo, in Romani 8,18-25, parla di un «gemito come di doglie di parto» che attraversa tutta la creazione e di un attesa di «redenzione» che costituisce l’intima aspirazione di tutte le creature. Questo testo apre orizzonti assai vasti sul senso dell’universo, non ancora completamente esplorati: una visione più profonda potrebbe scoprire che in tutti gli esseri creati esiste una domanda ontologica radicale e inevitabile, cioè la domanda sul proprio fondamento ontologico, in definitiva sull’Assoluto come il fondamento ultimo di tutto. Tutto infatti viene da Lui e tutto è diretto verso di Lui. Appare chiaro tuttavia che, a differenza degli altri animali, l’essere umano ha manifestato sempre, fin dai suoi primordi, una curiosità insaziabile e un cercare incessante andando ben oltre gli orizzonti limitati dei bisogni e degli istinti puramente animali. L’essere umano è l’essere che si trova in una ricerca incessante e inappagata proprio sul senso del suo esistere. Perciò si potrebbe proporre una definizione dell’essere umano parallela a quella classica di Aristotele, per il quale l’uomo è un «essere ragionevole (logikos)». L’uomo, l’essere umano, è per essenza, si potrebbe dire, “l’essere questionante” o, se si vuole, “l’essere in continua ricerca”.

Esaminata a fondo, tale domanda si rivela in realtà una chiamata divina posta nel cuore dell’essere umano. Essa è il primo segno della presenza di Dio alla coscienza umana, e quindi la prima rivelazione di Dio all’essere umano. L’essere umano si interroga perché si sente interrogato dal suo Fondamento. L’uomo si scopre infatti “responsabile” perché ha coscienza di dover rispondere del suo esistere, perché ha coscienza che il suo esistere non è “suo” ma gli è dato come vocazione e compito e, quindi, come responsabilità. Al fondo del suo domandare, l’essere umano percepisce (anche se in modo non sempre chiaramente esplicito) la presenza di Qualcuno che lo interroga, e lo interroga perché è Lui che gli ha dato il dono di esistere: dono gratuito, ma nello stesso tempo compito inevitabile.

 

La Globalizzazione e le sue Sfide

Il domandare esistenziale dell’essere umano è sempre mediato dal momento storico (kairòs) in cui egli vive. La storia umana progredisce sempre all’insegna di un’ambiguità di fondo tra successo e insuccesso, ambiguità che sarà sciolta solo nel suo esito finale. In tale processo storico ogni singolo essere umano è inserito, e solo in interazione con esso si può realizzare. Ognuno di noi si trova quindi inevitabilmente immerso in un orizzonte storico determinato entro il quale si svolge la sua vicenda. Questo significa che noi, se da una parte ci collochiamo nell’orizzonte dell’autocomprensione umana, dall’altra pure lo costituiamo, in un’interazione inestricabile. E questo orizzonte umano non è un dato statico, ma uno stato in variazione continua, in un continuo processo di sorgere, porsi e autosuperarsi. Posta questa necessaria premessa, quali sono i tratti fondamentali dell’orizzonte culturale-esistenziale in cui noi viviamo? A nostro avviso gli elementi più vistosi possono essere individuati nell’affermarsi sempre più vasto del ‘marketing globale’ e della conseguente massificazione culturale, nel frantumarsi dei valori tradizionali in un atomismo etico sempre più accelerato, e nel risorgere di tribalismi culturali e religiosi che mettono in forse la pacifica convivenza del villaggio globale.

Tra marketing globale e massificazione culturale La globalizzazione ha senz’altro aiutato gli esseri umani ad avvicinarsi, a mescolarsi gli uni gli altri come mai è avvenuto nella storia umana. Ma si registrano anche effetti negativi e drammatici di tale globalizzazione. Uno di essi è l’estendersi, o l’imporsi, di un marketing globale a livello planetario. Dopo il crollo delle ideologie totalizzanti, del marxismo in modo particolare, sembra che sul campo mondiale sia rimasta una sola ideologia dominante: il capitalismo neo-liberale. Una delle conseguenze più vistose, e da tempo denunciate da molte parti, di tale stato di cose è la massificazione della cultura. La cultura umana, in tutti i suoi aspetti, è posta al servizio del marketing globale ed è chiamata ad appoggiarlo e a giustificarlo. Essa è alla mercé del terribile strumento della propaganda commerciale che da tempo ormai domina il nostro orizzonte culturale. Qualsiasi manifestazione che non trovi un certo livello di marketing è perdente. Ogni valore culturale deve essere necessariamente trasformato in ‘prodotto di marketing’ per potersi affermare a livello mondiale. Il vocabolario del marketing è entrato ormai in pieno in tutti i campi, anche in quello religioso.

Atomismo etico-religioso In questo marketing globale si assiste al frantumarsi di tutti i valori rappresentati dalle istituzioni tradizionali quali la famiglia, la Chiesa, le forme di associazioni locali, ecc., valori che hanno sostenuto il cammino umano nei secoli passati. Ne emerge un essere umano frammentato, atomizzato, senza più principi interni di resistenza, sganciato da ogni punto di riferimento etico-religioso che non sia se stesso, il proprio interesse e la propria soddisfazione individuale. Egli rifiuta ogni regola e condizione che gli venga dall’alto o dal basso, dall’interno o dall’esterno. Vuole fare la propria esperienza, essere legge a se stesso senza interferenze dall’esterno. Siamo a livello del self-service universale, principio che domina il mercato mondiale, ma ora anche quello religioso. Quest’individuo assoluto, frammentato e atomizzato del tempo post-moderno, sembra voler portare il soggettivismo o il ripiegarsi sul soggetto, tratto tipico del pensiero moderno, alle sue estreme conseguenze, anche se da altri punti di vista esso si oppone al razionalismo moderno.

Il risorgere di nuovi tribalismi etnici, culturali e religiosi D’altra parte, come reazione all’atomismo etico individualista della nostra umanità globalizzata, ma anche come rifiuto delle ideologie assolutiste che hanno dominato la nostra storia recente, sembra che sia in atto in molte aree umane del nostro mondo globalizzato un ritorno a ciò che potremo qualificare come un nuovo tribalismo religioso-culturale. Mediante tale tribalismo molti gruppi umani cercano di conservare il senso della propria identità, recuperando i propri valori culturali tradizionali minacciati dalla crescente massificazione culturale.

Con il tramonto delle grandi ideologie mondiali come il marxismo e i vari tipi di nazionalismo, che hanno dominato la scena mondiale dei secoli XIX e XX, i gruppi umani tendono sempre più a ritrovare la propria identità nelle radici culturali e religiose, recuperando i valori del passato. Tale recupero è e dovrebbe essere in se stesso un fenomeno positivo; tuttavia si può facilmente notare che quando tale auto-indentità viene vissuta in uno spirito di esclusività e di ostilità verso gli altri gruppi umani e le altre culture, si creano nuovi ”tribalismi culturali e religiosi”. E questi, sostenuti da forti interessi politici ed economici, diventano facilmente fonte di scontri e guerre feroci, con conseguenze catastrofiche e imprevedibili, come molta storia recente dimostra. Si pensi ai conflitti che hanno devastato e devastano tante regioni del nostro pianeta.

La religione, dunque, rischia di essere catturata nel gioco tribale della nostra umanità “globale”, come nel passato lo fu dai vari tipi di imperialismo che hanno dominato le società umane di allora. Nella presente umanità globalizzata le guerre non si scatenano più fra villaggi diversi come un tempo, ma, e in modo non meno feroce, fra i quartieri e le strade dello stesso villaggio globale. È importante quindi che ogni religione, prendendo coscienza del pericolo di essere strumentalizzata dalla violenza tribale, operi coscientemente per un superamento dei propri tribalismi culturali, riprendendo le grandi ricchezze di saggezza che ogni tradizione religiosa contiene.

Nel nostro villaggio globale grande importanza va riconosciuta al quartiere islamico, sia per la sua storia passata che per la sua presenza attuale. Si tratta di più di un miliardo di persone in rapida e continua espansione. Tale quartiere è agitato da potenti spinte fondamentaliste ed estremiste che ne minacciano la pacifica convivenza con gli altri quartieri. È quindi estremamente importante favorire l’interazione costruttiva di questo con gli altri quartieri del villaggio globale, superando i demoni del tribalismo religioso che lo sconvolgono. Se le cose stanno così, prendere coscienza delle domande fondamentali che accomunano gli esseri umani e delle modalità particolari con cui le nostre società le declinano appare oggi la strada migliore per impostare un dialogo interreligioso proficuo ed efficace.

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