Nell’insegnamento di Benedetto XVI il dialogo interreligioso è sempre dialogo interculturale e ciò fa giustizia di una pretesa separazione tra ambito della fede e ambito della ragione

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:47

Nell’insegnamento di Benedetto XVI il dialogo interreligioso è sempre dialogo interculturale e ciò fa giustizia di una pretesa separazione tra ambito della fede e ambito della ragione. Infatti, come ogni esperienza umana anche la fede accade e si esprime nella cultura, anche se la trascende.

Fin dall’inizio del suo pontificato Benedetto XVI ha affermato con chiarezza che

il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi ad una scelta stagionale. Esso è infatti una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro [1]. 

In questa affermazione vengono citati congiuntamente il dialogo interreligioso e il dialogo interculturale. La concomitanza anticipa, a nostro parere, una fondamentale chiave di lettura dell’insegnamento di Benedetto XVI sull’argomento. Potremmo descrivere questa chiave affermando che il dialogo interreligioso è sempre dialogo interculturale.

La lettura dei testi proposta da parte nostra si basa su due premesse fondamentali. La prima, di ordine metodologico, è la scelta di considerare unicamente ed esclusivamente gli interventi di Benedetto XVI sul dialogo interreligioso. Ciò implica di prescindere deliberatamente da quanto Joseph Ratzinger ha scritto sul tema prima della sua elezione a Vescovo di Roma. La seconda premessa consiste piuttosto in una constatazione chiarificatrice: le occasioni in cui Benedetto XVI ha affrontato la questione del dialogo interreligioso sono fondamentalmente incontri con rappresentanti religiosi, politici e diplomatici, durante i suoi viaggi apostolici. Il dato è illuminante perché indica che il Papa riflette teoricamente sul tema del dialogo interreligioso nella concretezza dell’incontro e del dialogo con gli uomini delle religioni e con i responsabili della società civile.

Un punto di partenza adeguato per la lettura dei testi di Benedetto XVI sul dialogo interreligioso ci viene offerto dal discorso al Collège des Bernardins del 12 settembre 2008. In questo intervento il Papa descrive le ragioni che guidarono la prima evangelizzazione:

i cristiani della Chiesa nascente non hanno considerato il loro annuncio missionario come una propaganda, che doveva servire ad aumentare il proprio gruppo, ma come una necessità intrinseca che derivava dalla natura della loro fede: il Dio nel quale credevano era il Dio di tutti, il Dio uno e vero che si era mostrato nella storia d’Israele e infine nel suo Figlio, dando con ciò la risposta che riguardava tutti e che, nel loro intimo, tutti gli uomini attendono. L’universalità di Dio e l’universalità della ragione aperta verso di Lui costituivano per loro la motivazione e insieme il dovere dell’annuncio. Per loro la fede non apparteneva alla consuetudine culturale, che a seconda dei popoli è diversa, ma all’ambito della verità che riguarda ugualmente tutti [2].

Da questa descrizione potremmo attingere alcune coordinate fondamentali per la comprensione dell’insegnamento del Papa sul dialogo interreligioso. Innanzitutto il riconoscimento del fatto che la natura propria della fede cristiana implica intrinsecamente la testimonianza/missione. La testimonianza non costituisce perciò né una strategia in funzione di un altro fine né un’opzione, possibile e meritoria quanto si voglia, ma in fin dei conti non necessaria. Solo l’accettazione di questo presupposto, che si identifica in ultima analisi con la natura missionaria della Chiesa, aiuta a comprendere il carattere centrale del dialogo interreligioso.

In secondo luogo, il Papa cita due elementi che possiamo considerare le basi fondamentali del dialogo interreligioso:

l’universalità di Dio e l'universalità della ragione aperta verso di Lui.

E immediatamente espone quello che potremmo chiamare il punto di intersezione di entrambe le universalità: l’«ambito della verità». Infatti l’annuncio e il dialogo fanno necessariamente parte dell’esperienza cristiana perché quest’ultima costituisce l’incontro gratuito dell’uomo con l’unico Dio che è la verità e che, per questo, tutti gli uomini desiderano e cercano. Dio, infatti, è la verità e per questo riguarda radicalmente tutti gli uomini. In tal modo l’affermazione del Papa esclude qualsiasi considerazione “regionale” di Dio. Cercare Dio è cercare la verità e questo impedisce di rinchiudere la domanda religiosa in un tipo qualsiasi di cultura, etica o sensibilità particolare così da poterla considerare, per definizione, come parte dell’ambito privato di ognuno e, di conseguenza, bandirla dalla spazio pubblico. La domanda di verità costituisce la domanda allo stesso tempo “più concreta” e “più universale” dell’esistenza umana, «la questione [...] riguardante il significato e lo scopo della vita, per ogni individuo e per l’intera umanità» [3].

 

Due Presupposti non Dichiarati

Ora, partendo dall’identificazione tra la ricerca di Dio e la ricerca della verità, è possibile affermare che il dialogo interreligioso è sempre dialogo interculturale? Quali altre coordinate ci offre l’insegnamento del Papa per poter sostenere la bontà di questa ipotesi interpretativa?

Per rispondere a queste domande è opportuno ricordare che alcuni interpreti hanno suggerito un’ipotesi diversa, se non opposta. Secondo tali studiosi, la comprensione del dialogo interreligioso come dialogo interculturale nasce dal riconoscimento dell’impossibilità di un dialogo propriamente interreligioso. In questo ambito, si dice, non è possibile stabilire veramente un dialogo e per questo ciascuna parte dovrebbe ridurre le pretese e limitarsi a un dialogo interculturale. In quanto tale, il dialogo tra culture potrà inoltre favorire un lavoro comune sulle grandi questioni della vita sociale e pubblica (famiglia, diritto alla vita, dignità della persona, giustizia sociale, ecologia...). La considerazione unitaria del dialogo interreligioso e del dialogo interculturale presente nei discorsi del Papa costituisce secondo questi interpreti una modalità precisa di delimitare le pretese del dialogo interreligioso, dato che queste pretese potrebbero condurre a una concezione relativista della verità della fede cristiana. Infatti il dialogo interreligioso è possibile, sembrano affermare, solo se si parte dal presupposto che nessuna religione si identifica con la verità e che tutte sono in ricerca. Il dialogo interreligioso in quanto tale ridurrebbe la pretesa propria e caratteristica del Cristianesimo, proponendo di fatto di considerarlo semplicemente come una religione fra le altre.

Questa ipotesi di interpretazione, che abbiamo presentato a partire da una versione estrema e senza sfumature, non sembra adeguata perché muove da almeno due presupposti non dichiarati e che l’insegnamento del Papa, a nostro modo di vedere, contesta radicalmente. In primo luogo essa accetta come punto di partenza una separazione radicale tra l’ambito della fede o del religioso e l’ambito della ragione. Al primo corrisponderebbe un eventuale dialogo interreligioso, che di fatto è impossibile dato che i contenuti di fede rendono le esperienze religiose radicalmente diverse fra loro. In buona logica questa separazione conduce inevitabilmente alla riduzione della fede o del religioso all’ambito dell’incomunicabile, del particolare, di ciò che è alieno dall’universalità della ragione. Dal canto suo il secondo ambito, nel quale regna sovrana la ragione, sarebbe l’ambito del dialogo interculturale. Si tratta di una dimensione alla quale ogni uomo, in virtù dell’universalità della ragione, ha accesso e la cui bontà, anche sul piano pratico, è riconosciuta da tutti. La separazione radicale tra ambito della fede e ambito della ragione, la cui origine è facilmente identificabile nella riduzione razionalista della seconda, si oppone esplicitamente all’identità tra il quaerere Deum e il quaerere veritatem. In effetti, solo se la ricerca di Dio non si identifica con la ricerca della verità, il cui protagonista è senza dubbio la ragione umana, è possibile mantenere tale separazione. E accettare questa separazione implica inevitabilmente l’impossibilità del dialogo interreligioso. Benedetto XVI ha criticato esplicitamente una posizione di questo tipo quando ha affermato in positivo che promuovere la volontà di essere obbedienti alla verità, «di fatto, allarga il nostro concetto di ragione e il suo ambito di applicazione e rende possibile il dialogo genuino delle culture e delle religioni, di cui c’è oggi così urgente bisogno» [4].

Il secondo presupposto non dichiarato su cui si fonda l’ipotesi di interpretazione che stiamo criticando propone una considerazione della fede e dell’esperienza religiosa di tipo “barthiano”, una fede cioè assolutamente separata da qualsiasi espressione culturale. Alla pretesa di una “fede pura” si oppone l’insegnamento del Papa quando afferma con chiarezza che «la fede è sempre vissuta in una cultura» [5]. Infatti, in quanto ogni cultura «con la sua specifica capacità di dare e rice-vere dà espressione all’unica natura umana» [6], ogni esperienza umana – e l’esperienza religiosa lo è – accade e si esprime culturalmente. È fondamentale riconoscere il carattere necessario e non opzionale di questa affermazione: l’esperienza umana accade e si esprime culturalmente in modo necessario. Non si dà esperienza umana al di fuori della cultura. La portata di questa affermazione si percepisce immediatamente: se l’esperienza umana avviene culturalmente, la fede o avviene culturalmente o non può essere considerata esperienza umana. Nel testo che abbiamo citato, pronunciato originalmente in lingua inglese, il Papa usa esplicitamente il termine faith («Faith is always lived within a culture»).

 

“Vite di Religiosa Fedeltà”

La precisione terminologica è importante, visto che il Papa, nell’affermare che «la fede è sempre vissuta in una cultura», non si riferisce semplicemente alle diverse esperienze religiose o credenze, ma alla stessa fede cristiana. La riflessione del Santo Padre, tuttavia, si sviluppa a partire da una seconda fondamentale considerazione sulla relazione tra la fede e la cultura. L’esperienza umana, come abbiamo detto, accade e si esprime culturalmente e tuttavia – dice il Papa – «ciò che è proprio dell’individuo non è mai espresso pienamente attraverso la cultura di lui o di lei, ma piuttosto lo trascende nella costante ricerca di qualcosa al di là» [7]. Si tratta di una precisazione di fondamentale importanza. Benedetto XVI afferma con chiarezza che la fede, vissuta ed espressa sempre culturalmente, non può essere assolutamente identificata in quanto tale con una determinata espressione culturale. Con questa affermazione il Papa valorizza la giusta preoccupazione dei sostenitori della “fede pura”: la fede, come la verità, pur avvenendo culturalmente, non può essere ridotta in modo assoluto a questa espressione culturale, in quanto fede e verità sono incommensurabili per la ragione umana.

Di massimo interesse per il dialogo interreligioso è la conclusione alla quale giunge il Papa attraverso la congiunzione di queste due affermazioni. Il fatto che la fede sia sempre vissuta in una cultura, e che però nello stesso tempo e inscindibilmente non possa identificarvisi pienamente perché la trascende, dà luogo, nella trama concreta della storia degli uomini, a

vite di religiosa fedeltà [che] echeggiano l’irrompente presenza di Dio e formano così una cultura non definita dai limiti del tempo o del luogo, ma fondamentalmente plasmate dai principi e dalle azioni che provengono dalla fede (belief) [8].

In questo caso il testo originale usa il termine belief perché l’insegnamento del Papa si riferisce qui a tutte le religioni e non specificamente alla fede cristiana. Benedetto XVI parla di «vite di religiosa fedeltà» identificando così il soggetto del dialogo interreligioso e interculturale. Si tratta dell’esperienza concreta, storica degli uomini delle religioni, o, per dirlo con il termine più appropriato, si tratta dei testimoni. Il soggetto del dialogo interreligioso è il testimone: colui nel quale si riflette l’irruzione della presenza di Dio, colui la cui cultura – espressione concreta della sua esperienza umana elementare – non è conclusa entro limiti di tempo o di spazio, ma sgorga dalla fede. In questo modo nel testimone accade di fatto la conoscenza della verità che egli non può abbracciare, perché lo supera radicalmente. Il dialogo interreligioso come dialogo interculturale è sempre dialogo tra testimoni. In secondo luogo, e questo ci pare il nucleo della questione, proprio perché la fede (belief, come concetto generico che in questo contesto include la faith cristiana) genera una cultura non definita da limiti di tempo e spazio ma dalla ricerca di Dio/verità, proprio perché la fede plasma e si plasma in una cultura come quella descritta, il dialogo interreligioso sarà sempre, e non potrà non esserlo, dialogo interculturale. Non si tratta quindi di definire il contenuto del dialogo interreligioso in termini di dialogo interculturale perché la “sfera del religioso” resta fuori dalla portata di una ragione umana razionalisticamente intesa. Al contrario è adeguato parlare di dialogo interreligioso come dialogo interculturale proprio perché “il religioso”, “la fede”, si vive e si plasma culturalmente, perché la cultura in quanto espressione umana è veramente canale di accesso alla verità, cioè a Dio.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

[1] Incontro con i rappresentanti di alcune comunità musulmane, Colonia, 20 agosto 2005.

[2] Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, 12 settembre 2008.

[3] Incontro con il Presidente del Direttorato degli Affari Religiosi della Turchia, 28 novembre 2006. Cfr. anche: Incontro con i rappresentanti di altre religioni, Pope John Paul II Cultural Center, Washington, 17 aprile 2008; Visita di cortesia al Gran Mufti, Gerusalemme, 12 maggio 2009.

[4] Incontro con le organizzazioni per il dialogo interreligioso, Gerusalemme, 11 maggio 2009.

[5] Ibidem

[6] Ibidem

[7] Ibidem

[8] Ibidem  

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Gabriel Richi Alberti, Cercare Dio, cercare la verità, «Oasis», anno V, n. 10, dicembre 2009, pp. 21-24.

 

Riferimento al formato digitale:

Gabriel Richi Alberti, Cercare Dio, cercare la verità, «Oasis» [online], pubblicato il 1 dicembre 2009, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/cercare-dio-cercare-la-verita.

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