La stampa egiziana ha registrato negli ultimi tempi le posizioni diverse espresse dagli ulema sullo Stato islamico. C’è chi lo ritiene espressione di dissidenza, chi uno sfregio per l’Islam, chi addirittura al soldo di Israele. Un modo per molti capi musulmani di riaffermare la propria autorità.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:27

Lo Stato islamico non lascia tranquillo l’Egitto, già di per sé molto inquieto. Di questo è riflesso anche il dibattito registrato dalla stampa egiziana nato in seno all’Islam e riportato dai media sulla legittimità o meno dello Stato islamico. In particolare Al-Yawm al-Sâbi‘, importante quotidiano indipendente, ha proposto una raccolta sistematica delle dichiarazioni di vari ulama contro Is, tutti concordi nel definirlo non veramente “islamico”, per la spirale di violenza che ha generato in Iraq e in Siria. Nel dettaglio il Gran Muftì del Regno dell’Arabia Saudita shaykh ‘Abd al-‘Azîz Âl al-Shaykh, la suprema autorità religiosa del Paese, ha definito le milizie di Is «gruppi di dissidenti», che non appartengono all’Islam né agli ahl al-sunna, ma rappresenterebbero un’appendice dei Kharijiti, prima setta nata in seno all’Islam e considerata eretica. Un’identificazione che suona come una secca presa di distanza da parte della leadership saudita che non vuole sembrare collusa con lo Stato islamico, nonostante le accuse sia dall’Occidente sia da alcuni Stati arabi di averne favorito la nascita. «Germoglio satanico» è definito Is da una delle principali autorità islamiche dell’Egitto, il Gran Muftì Shawqî ‘Allâm, il quale ritiene che l’autoproclamatosi califfato violi i valori islamici, i principi della sharî‘a e i valori universali dell’uomo. Il muftì ha invitato tutte le istituzioni islamiche a opporre resistenza all’Is: «Gruppo sanguinario ed estremista, questa organizzazione rappresenta un pericolo per l’Islam e per i musulmani, ne sfregia l’immagine, sparge sangue, semina la corruzione sulla terra, indebolisce i Paesi [arabi] e fornisce l’occasione [all’Occidente] di distruggerci e intromettersi nei nostri affari con il pretesto della guerra al terrorismo». Tra i membri del Consiglio degli ulama di al-Azhar, organo direttivo della moschea-università, è diffusa l’idea che l’Islam non richieda affatto all’uomo contemporaneo di ripristinare l’antico califfato, soprattutto se ciò significa usurpare le cose sacre altrui e aggredire le persone. Perché - come sostiene il Segretario generale dello stesso Consiglio, ‘Abbâs Shumân «il sunnismo non rende lecito lo spargimento di sangue» e l’Islam garantisce la libertà di culto ai cristiani e alle altre minoranze religiose. Se questo ancora non bastasse, il capo degli ulama di al-Azhar esperti in hadîth, Ahmad Ma‘bad, ricorda il monito coranico secondo il quale «chi uccide un credente intenzionalmente sarà ricompensato con la jehenna eterna, su di lui la collera e la maledizione di Dio, e gli sarà preparato un castigo atroce». Contro Is, ma per ragioni diverse, è il ministro degli Affari religiosi egiziano, Muhammad Mukhtâr Jum‘a, che sospetta il califfo Abû Bakr al-Baghdâdî di operare nell’interesse di Israele e di impiegare le risorse in una guerra non autorizzata né dalla sharî‘a né dalla consuetudine, né dal diritto internazionale. Secondo il ministro al-Baghdâdî avrebbe origini ebraiche, il suo vero nome sarebbe Eliot Shîmûn e sarebbe un agente del Mossad. Contro la violenza in nome di Dio si è espresso anche il muftì della Repubblica libanese, shaykh ‘Abd al-Latîf Deryân, nel discorso pronunciato nella moschea Muhammad Amîn Beirut in occasione della festa del Sacrificio. «Chi commette atrocità in nome della religione non conosce veramente la fede» ha sostenuto il muftì, auspicando una riforma della vita politica e sociale, delle istituzioni e del pensiero religioso e culturale. Una riforma necessaria a suo dire non solo per risolvere i dissensi, ma anche per accogliere l’invito di Abramo all’unità e a edificare il bene. Articolo pubblicato su Avvenire il 12 novembre 2014.