La nuova Costituzione egiziana e il neopresidente, il ruolo dei salafiti, la divisione tra ulema e intellettuali: in una conversazione senza filtri, in esclusiva per Oasis, Salah Fadl, grande esperto di letteratura araba e intellettuale in dialogo con lo shaykh di al-Azhar, commenta i recenti sviluppi interni del suo Paese (intervista realizzata in collaborazione con Wael Farouq).

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:56

Professore, qual è la Sua opinione rispetto alla nuova Costituzione? Risponde ai desideri di quanti hanno fatto la rivoluzione? Prima di tutto desidero chiarire che non sono estraneo a questa nuova Costituzione. Ho partecipato alla stesura di quasi tutti gli articoli e penso che sia una delle migliori Costituzioni mai prodotte in Egitto, per una serie di ragioni. Innanzitutto garantisce uno Stato “civico” (madanî), in accordo con la natura del popolo egiziano, e chiude le falle che si erano aperte con la Costituzione precedente. La Costituzione dei Fratelli Musulmani era un documento preparato in fretta e vi erano stati inseriti alcuni articoli che spalancavano le porte dell’inferno, trasformando la natura dello Stato egiziano. In secondo luogo la nuova Costituzione garantisce un livello elevato di libertà (di religione, di pensiero ed espressione, di ricerca scientifica, di creazione artistica e letteraria), in una misura sconosciuta nella Costituzione precedente. Ancora, risponde a molti auspici della rivoluzione del 25 gennaio nel campo della giustizia sociale: stabilisce il diritto degli egiziani a ricevere un’educazione di buon livello e innalza l’obbligo scolastico a 18 anni; rende obbligatoria l’assicurazione sanitaria e costringe lo Stato a riconsiderare la questione dei quartieri informali e le necessità abitative dei giovani. Stabilisce poi un equilibrio tra i tre poteri limitando per molti versi l’esecutivo attraverso una migliore tutela dei poteri legislativo e giudiziario. Infine è relativamente equa nei confronti delle donne e cerca di impedire ogni discriminazione nei loro confronti, come pure ai danni delle categorie emarginate, come gli abitanti delle regioni di frontiera o i nubiani, che sono nominati per la prima volta. È stato sollevato più di un dubbio sul rapporto tra lo Stato e l’esercito, ma penso che chi ha mosso queste obiezioni non abbia capito o non abbia letto la natura di questi testi che prescrivono che ogni accusato sia giudicato dalla magistratura ordinaria, con l’eccezione di casi specifici ben determinati, in sostanza reati di aggressione all’esercito, una norma necessaria di fronte alle ondate terroristiche che mirano oggi a distruggere l’esercito e lo Stato. Chi si oppone a questi commi della Costituzione non ha coscienza della fase che attraversa oggi l’Egitto e della necessità di proteggere le istituzioni statali. A proposito di libertà fondamentali, ha fatto scalpore di recente il divieto di proiezione del film Noah in Egitto e in altri Paesi mediorientali e islamici. Penso che ci sia un problema reale con i due consigli su cui al-Azhar si basa per prendere le decisioni, cioè il consiglio dei grandi ulema e il consiglio supremo delle ricerche islamiche. Sono andati a tirar fuori delle vecchie fatwe di moltissimi anni fa, in gran parte iper-conservatrici se non semplicemente retrograde. Pensano che rappresentare i profeti in opere cinematografiche sia un attentato alla loro santità e una forma di disprezzo nei loro confronti e lo motivano con spiegazioni ridicole, del tipo: l’attore che questa volta fa il profeta in un film successivo potrebbe avere la parte di un ubriaco o di un ladro e la gente potrebbe pensare che il profeta commette dei peccati, che il profeta diventa ladro… Insomma non riescono a distinguere tra la persona fisica e la rappresentazione artistica. E poi dicono che la santità dei profeti (tema su cui esagerano molto sia per quanto riguarda le personalità islamiche che quelle bibliche) ne rende sconveniente la rappresentazione. Ma la verità è che hanno paura di qualsiasi visione nuova nel modo di presentare la storia sacra; vogliono soltanto conservare gli stereotipi e le visioni ereditate da migliaia di anni. Non sopportano alcun cambiamento, fosse anche a beneficio dello stesso discorso religioso, perché temono che apra la porta al male e al pensiero. Ma del pensiero loro sono nemici, generalmente. Letteralmente così? Letteralmente, e aggiungo un altro elemento. La vera tragedia nel pensiero religioso islamico è che ha perso lo spirito d’iniziativa e la capacità di cercare soluzioni nuove alle questioni di oggi. Il suo scopo è soddisfare le masse e l’opinione pubblica ignorante evitando ogni scontro, invece di cercare quello che può giovare al radicamento di un vero spirito religioso. Di conseguenza si è prodotta una grande spaccatura, un fossato, tra gli ulema dell’Azhar e gli intellettuali. Non è questione di questo o di quell’incidente, il fatto è che vogliono limitare grandemente il concetto di libertà artistica e sottomettere le opere letterarie e artistiche a un criterio religioso. È una cosa inaccettabile, anche per la religione islamica: gli esperti di Legge nell’Islam hanno sempre rifiutato di sottomettere la poesia ai criteri della fede. Ma questo non lo accettano e difendono il loro impero, come se fossero i guardiani del regno di Dio. Eppure chi pensa di poter limitare la creatività artistica è completamente illuso perché nell’epoca di Internet e dei canali satellitari, se vieti una cosa non fai altro che destare la curiosità della gente, più che se te ne fossi stato in silenzio. Gli effetti sono all’opposto di quello che si prefiggono. Hanno bisogno di una grande iniezione di coscienza culturale e di pensiero contemporaneo per essere davvero a livello delle sfide che stanno loro davanti. C’è qualcuno che sviluppi un discorso religioso rinnovato? Molto pochi. Per esempio chi? C’erano personalità come Hasan Hanafî che aveva sviluppato un discorso religioso rinnovato, ma constato che di recente Hanafî ha apostatato dalle sue idee di un tempo ed è diventato più conservatore, più realista del re. Naturalmente i gruppi religiosi che mirano all’azione politica si avvicinano alle folle con sempre più rigidità, arretratezza e marciume ideologico e condannano di tutti gli altri come infedeli. In questi non ho speranza perché sono diventati terroristi e criminali. Il resto della gente il discorso religioso se l’è scrollato di dosso, non gliene importa più nulla, vivono in modo naturale e automatico in accordo con il ritmo della vista contemporanea. La gente comune è presa tra due fuochi: da un lato le opere artistiche, se sono liberatrici, saziano il loro desiderio e il loro istinto. Ma dall’altro dichiarano che questo è contrario alla fede e alla morale. Di fede e morale però non gliene importa nulla: vietano ai loro figli e alle loro donne quello che si concedono in segreto. Sono degli ipocriti e il loro discorso è duplice. Questo è uno dei problemi legati alla debolezza della coscienza pubblica nelle società islamiche. Il fenomeno dei salafiti in Egitto: nessuno immaginava che avessero un tale seguito elettorale. Perché si sono diffusi fino a questo punto? È possibile collaborare con loro, per esempio sulla Costituzione? I salafiti hanno partecipato alla stesura della Costituzione e a mio avviso hanno rappresentato l’ostacolo più grande, ma è stato superato, grazie a Dio. In tutti i passaggi più rilevanti della Costituzione si sono schierati contro, ma erano pochissimo rappresentati, uno o due nel comitato dei cinquanta. Sono venuti varie volte con i loro leaders a incontrarci e abbiamo passato decine di riunioni e centinaia di ore a cercare d’intavolare un dialogo, ma inutilmente: la loro mentalità non accetta alcuna forma di dialogo. Personalmente il peso che mi hanno dato questi dialoghi con i salafiti è stato insopportabile. Devo dire che anche loro non sopportavano me – e va bene così, l’ostilità è reciproca tra noi, esplicita e dichiarata. Sono d’accordo con quanto diceva, che sono un fenomeno spontaneo imprevisto e privo di logica. Non sono affatto un prodotto del movimento intellettuale, religioso e sociale in Egitto. Si ricollegano al tentativo delle associazioni “per il comando del bene e la proibizione del male” e dei wahhabiti sauditi d’imporre la loro visione. Hanno fatto un commercio facendo leva sulla povertà degli indigenti e sono stati molto opportunisti nello sfruttare l’idea dell’applicazione della sharî‘a e dello zelo per la religione perché le persone semplici e ignoranti sono sensibili a questi temi. Comunque in realtà non hanno alcun legame con la sharî‘a o con la religione, sono agenti al servizio di una forza straniera che li muove, cioè l’Arabia Saudita e il Golfo, in prima battuta. Ma allora come si spiega che il salafismo, che è poi il wahhabismo da esportazione, abbia sostenuto il cambiamento del 30 giugno 2013? È stato un chiaro gioco politico. Non penso che i salafiti abbiano sostenuto la rivoluzione del 30 giugno pensando all’interesse nazionale egiziano. Glielo hanno imposto quelli che li pagano. È chiaro che l’Arabia Saudita ha percepito i Fratelli Musulmani come una grave minaccia (perché sono l’opposizione, in Arabia Saudita) e per questo ha deciso di sostenere con forza la rivoluzione contro i Fratelli Musulmani. Penso abbia dato ordini espliciti ai salafiti, che finanzia, perché assumessero questa posizione. Non penso che lo spirito nazionale si sia impossessato di loro di colpo. Semplicemente, il padrone ha dato l’ordine. Ma come ha dato l’ordine, così può dare anche il contrordine. In futuro, tra qualche mese, potrebbero uscire dal governo. È assolutamente possibile, non escludo nulla. È vero che hanno rifiutato l’uso della violenza. È l’unico tratto positivo che hanno. Se hanno una qualità, è di non essersi lasciati trascinare nell’uso della violenza, a parte alcuni membri. E i Fratelli, che giudizio politico porta su di loro? La loro autentica tragedia è che sono qutbisti, seguaci di Sayyed Qutb, e quindi takfiristi: dichiarano miscredenti gli altri. Si sono lasciati sedurre dalla forza dell’organizzazione, che ha una capacità materiale enorme. Che gli Stati Uniti abbiano collaborato con questa organizzazione è stata una tragedia. Ha mostrato la limitatezza di orizzonti e l’egoismo degli Stati Uniti nella loro politica. Usare i media mondiali a servizio degli obiettivi dei Fratelli è stata una delle scene più tristi che si siano mai viste. Ma il nuovo governo non sembra fare meglio. La condanna a morte dei responsabili dei Fratelli è inaccettabile. Penso che sia stato un gravissimo errore e un’esplosione di rabbia senza scopo. Ci sono due cose da chiarire. La prima è che si tratta di una sentenza di primo grado e chi la emette sa che è ineseguibile, perché andrà sottoposta a due livelli di revisione, il Mufti della Repubblica che si rifiuterà di approvarla, e poi la Cassazione. La sentenza di primo grado doveva servire a terrorizzare queste persone che distruggono lo Stato e spargono la corruzione sulla terra, sostenendo che gli altri sono miscredenti e che i veri musulmani sono soltanto loro. Il risultato è stato esattamente l’opposto. Come intellettuali critichiamo con forza queste sentenze, sappiamo che non sono valide dal punto di vista legale né applicabili. Seconda cosa: non si può incolpare un’associazione di grandi dimensioni per colpe commesse da singoli membri senza studiare gli indizi o cercare le prove con la calma necessaria per individuare e condannare i veri colpevoli. Si sono presi colpevoli e innocenti. Ma il vero problema è che in Egitto non c’è alcuna autorità che possa intromettersi nelle decisioni della magistratura. Sembra incredibile, ma è così. A ogni modo queste sentenze hanno suscitato una forte reazione non solo all’estero, ma anche in Egitto e personalmente mi sono opposto con forza. Come guarda alla figura del nuovo Presidente Sisi? È la personalità migliore oggi per la presidenza perché è deciso e può restituire un po’ di sicurezza alla società. La gente lo ama. Dai tempi di Nasser il popolo egiziano non si è mai legato a una figura quanto a lui. Eppure, per dirla con una battuta, sembra che come gli sciiti hanno inventato “la tutela del giurisperito” (wilâyat al-faqîh) così i sunniti abbiano brevettato “la tutela del generale” (wilâyat al-farîq)… È una buona battuta. Ma ci sono due elementi che riducono i pericoli. Primo che il generale in questione non vuole esercitare “la tutela”, ma è stato costretto a farlo. Sono cose che si sanno, all’interno. La seconda cosa è che si è sforzato in ogni modo di presentare un programma rivoluzionario e riformatore, che realizzi le aspirazioni del popolo egiziano.