Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:43:40

La decisione di Benedetto XVI di convocare un Sinodo speciale per il Medio Oriente da tenersi nell'ottobre del 2010 è una scelta a dir poco profetica. Le diverse Chiese del Medio Oriente hanno assistito, negli ultimi decenni, a così tanti sconvolgimenti (lunga serie di guerre in Terrasanta, Libano e Iraq, tensioni politiche, crescita del fondamentalismo, economie allo stremo) da rendere necessario un momento di riflessione. In diversi settori, la vita di queste antiche comunità che tanto hanno contribuito alla rinascita culturale ed economica delle rispettive nazioni è diventata fragile. Qua e là comincia a pesare la condizione di minoranza, all'ombra di una libertà religiosa sempre più limitata all'esercizio del culto. Problemi, questi, che hanno indotto migliaia di famiglie cristiane mediorientali a ritenere remoto, se non impossibile, l'auspicio di una vera convivenza e a optare per l'emigrazione. Le conseguenze di questa sfiducia sono presenti agli occhi di tutti: Dalla metà del secolo scorso a oggi, la percentuale dei cristiani di ogni denominazione si è drasticamente ridotta: in Libano dal 51 al 36% della popolazione; in Terrasanta dal 6,8 all’1,8%; in Iraq dal 3,2 all’1,4. I cattolici delle diverse Chiese locali sono, poi, una minoranza nella minoranza, dato che totalizzano insieme meno di due milioni degli oltre undici milioni di cristiani della regione: un milione in Libano, 350 mila in Iraq, 300 mila in Siria, 200 mila in Egitto, 62 mila in Israele, 45 mila in Giordania e 20 mila nei Territori palestinesi. “Ci saranno ancora dei cristiani in Medio Oriente nel terzo millennio?”, si chiedeva qualche anno fa Jean-Pierre Valognes nel suo voluminoso Vie et mort des chrétiens d’Orient. “Senz’altro, rispondeva l’autore, ma saranno così pochi per riuscire a contare [...] Una delle battaglie più lunghe della Storia è in procinto di essere persa”. L'iniziativa del Sinodo vuole invece essere un'opposizione al diffuso pessimismo che si denota ogni volta che si evoca il futuro dei cristiani in Medio Oriente, una speranza nuova per il cristianesimo nella terra in cui esso è nato. Esattamente come ebbe a scorgere con lungimiranza Giovanni Paolo II nel 1997 quando diede alla sua Esortazione apostolica seguita al Sinodo speciale per il Libano il titolo profetico di “Una speranza nuova per il Libano”. “Quando convocai una Assemblea speciale per il Libano del Sinodo dei Vescovi, il 12 giugno 1991, - aveva spiegato il Papa nel documento - la situazione del Paese era drammatica. Il Libano era stato profondamente scosso in tutte le sue componenti. Ho invitato i cattolici presenti in quella terra ad intraprendere un itinerario di preghiera, di penitenza e di conversione, che permettesse loro di interrogarsi, davanti al Signore, sulla loro fedeltà al Vangelo e sul loro effettivo impegno nella sequela di Cristo. Era necessario che i Pastori e i fedeli, mediante una lucida presa di coscienza compiuta nella fede, discernessero e precisassero meglio le priorità spirituali, pastorali e apostoliche da promuovere nel contesto attuale del Paese”. Lo stesso itinerario sarà presto proposto a tutti i cattolici del Medio Oriente, chiamati a interrogarsi sul significato profondo della loro presenza nella regione alla luce del tema prescelto: “Comunione e testimonianza”. È vero che, convocando questo Sinodo, il patrimonio di fede che le comunità cristiane del Medio Oriente hanno vissuto e vivono, spesso fino al martirio, sarà sotto gli occhi dell'intera Chiesa, ma il Papa chiede a quelle stesse comunità uno sforzo ulteriore. Le Chiese locali saranno in particolare chiamate a rendere la loro testimonianza al Vangelo ancor più credibile tra i loro connazionali musulmani. E i cattolici, nonostante il loro esiguo numero, possono fare molto grazie ad un impegno sociale ed educativo che non è mai venuto meno. Basti pensare alla vasta rete di scuole e istituzioni cattoliche che, dal Libano all'Egitto, sono aperte senza alcuna discriminazione ai musulmani e che contribuiscono al progresso della società. Per continuare a farlo, i cattolici hanno ora bisogno di nuovi strumenti che – questo il nostro auspicio – il prossimo Sinodo potrà loro fornire. Uno di essi è una comunione più autentica e salda fra loro. Di fronte alle sfide in atto diventa, infatti, più urgente per le Chiese locali testimoniare la loro unità nella terra-culla del cristianesimo piuttosto che cercare di sottolineare i propri patrimoni e tradizioni nei nuovi Paesi della diaspora.