Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:40:55

Il 2015 potrebbe essere l’anno della disintegrazione della Nigeria se la corruzione delle forze dirigenti del Paese non sarà contrastata. Questa tesi, avanzata nel 2005 dall’US National Intelligence Council Report on Sub-Saharan Africa, appare interessante anche per l’analisi che si può tratteggiare dell’attuale situazione dei cristiani in Nigeria, il Paese più popoloso dell’Africa (160 milioni di abitanti, divisi in parti uguali tra cristiani e musulmani, con il 10 % di animisti) oggi che richiama l’attenzione dei media occidentali a causa della violenza degli attacchi contro civili innocenti compiuti dalla setta Boko Haram. Il Paese è nettamente diviso tra Nord e Sud. Gli Stati del Sud sono composti dai territori situati a Sud della capitale Abuja: qui si respira una relativa tranquillità, ma la crisi economica si è abbattuta in modo devastante. Negli Stati del Nord la popolazione vive, invece, nella paura quotidiana di attacchi ai propri villaggi e quartieri. In questa parte del Paese ogni settimana si allunga la lista delle vittime degli attentati commessi dalla setta Boko Haram che, da qualche mese, ha scelto di colpire le messe domenicali o la preghiera musulmana del venerdì. Tra le due parti del Paese c’è una notevole indifferenza: «Il Sud forse prenderà atto del dramma della persecuzione religiosa in atto nel Nord quando affluiranno nelle sue aree milioni di profughi» confida un prete anglicano di Enugu, fuggito da Funtua nello Stato di Kaduna. Per lui l’azione contro la sua comunità cristiana composta da 500 persone è stata effettuata a suon di taglie: 20.000 naira per la vita di un pastore, 5.000 per un cristiano semplice e 1.000 naira, pari a circa 5 euro (il salario quotidiano di un funzionario di Stato) per partecipare all’attacco contro la comunità anglicana. Oggi il commercio e gli scambi Nord-Sud non sono più prosperi come in passato a causa dei ripetuti attentati nel Nord e dei controlli imposti dall’esercito nei numerosi check-point che hanno effetto deterrente. In molte città si è dovuto imporre il coprifuoco: a Madalla, nello Stato del Niger, a Jos nello Stato del Plateau, a Kano. Queste località sono diventate nell’ultimo periodo luoghi di persecuzione dei cristiani. Il Nord e il centro della Nigeria contano, nel loro insieme, tanti cristiani e animisti quanti musulmani. Ma alcuni leader musulmani fanno di tutto perché il Nord sia unicamente dar al-Islam, e vorrebbero vedere Stati come quello di Plateau, tuttora a maggioranza cristiana, diventare musulmani. Grazie alle sue attività commerciali, Jos, capitale del Plateau, da sempre governata da un cristiano, ha richiamato nigeriani di tutte le etnie. È la sede storica di importanti centri cristiani come il Northern Theological College, l’Evangelical Western African College o il Saint Augustin Major Seminar. Per questo Jos è fiera del suo motto Maison de Paix et du Tourisme riportato sulle targhe delle automobili. Il rifiuto dell’eredità e dell’influenza di ciò che è etichettato come occidentale, che inizialmente riguarda in particolare l’istruzione, è presente già mei primi anni dell’indipendenza, quando gli ospedali e le scuole fondate e gestite dai cristiani sono stati nazionalizzati. La setta Boko Haram, il cui significato è «l’istruzione occidentale è peccato», riprende e rilancia questo anti-occidentalismo. Negli Stati del Nord è difficile per un cristiano accedere all’istruzione, controllata dai dirigenti musulmani, al punto che spesso occorre islamizzare il proprio nome per potersi iscrivere all’università. Nello Stato del Niger una delle ultime suore missionarie europee giunte in Nigeria oltre 44 anni fa racconta del declino di un Paese che, pur avendo tutti i fattori economici e le risorse umane necessarie, non è stato capace di prosperare ed ha invece dissipato tutto ciò che i missionari negli anni avevano costruito con coraggio e generosità. Durante gli anni della dittatura militare la Chiesa ha dovuto tacere per evitare che il martirio di alcuni che hanno osato ribellarsi a una politica d’islamizzazione aggravasse la persecuzione dei cristiani. La Chiesa ha visto i suoi beni confiscati e ha dovuto accettare che i suoi missionari se ne andassero. È solo dagli anni ’90 che la Chiesa, approfittando di un clima di apertura e democratizzazione, rivendica la restituzione delle sue proprietà. Ma, secondo la missionaria, il male compiuto è irreversibile perché l’abilità dei missionari non ha potuto essere trasmessa e gli investimenti necessari oggi sono troppo gravosi. Le scuole, le biblioteche e gli ospedali, che riescono a riprendere la loro attività, a fatica sostengono la concorrenza delle istituzioni musulmane sostenute dai petrodollari dell’Arabia Saudita. L’islamizzazione del Paese è sempre più percepita da parte cristiana: l’adesione del Paese all’Organizzazione della cooperazione islamica, l’istaurazione della sharî‘a, l’apertura di nuove banche islamiche, i testi in caratteri arabi sulle banconote della moneta locale ne sono segni tangibili. Ciò nonostante la parte musulmana non ammette l’esistenza di un piano d’islamizzazione del Paese: i feriti e i morti provocati dagli attentati sono attribuiti a Boko Haram. Ma i cristiani protestanti del Nord sembrano condividere sempre meno questa interpretazione degli eventi: per i loro leader Boko Haram fa parte di un programma di conquista orchestrato da alcuni capi e politici musulmani, una strategia volta a diminuire fortemente il numero di cristiani al Nord e ad accelerare il processo di divisione tra comunità cristiane e musulmane. L’11 marzo siamo stati testimoni di un altro attentato-suicida a Jos, alla chiesa cattolica di Saint Finnbarr, che ha fatto 10 morti. Il comunicato del portavoce di Boko Haram che diceva: «Abbiamo attaccato semplicemente perché era una chiesa», dice molto degli obiettivi di questa organizzazione terroristica. La posizione dei vescovi cattolici è più sfumata: essi rifiutano la logica della lotta militante e religiosa e per loro il punto cruciale non è rivendicare posizioni di una religione sull’altra, ma di assicurare lo Stato di diritto e la legittimità costituzionale nel Paese. Cioè di rafforzare l’unità nazionale a partire dalle sofferenze che toccano tutta la popolazione, terrorizzata dalla violenza che si sta impadronendo del Paese. L’attentato alla chiesa cattolica di Santa Teresa a Madalla, per esempio, distrutta lo scorso Natale da un autobomba, ha mobilitato immediatamente le autorità federali e religiose musulmane che hanno portato conforto ai cristiani e condannato l’attacco. A Madalla anche molti musulmani sono stati uccisi o feriti e oggi molti giovani musulmani si riuniscono per garantire la sicurezza durante la messa della domenica. Qui due giovani preti hanno avviato un progetto che ha l’obiettivo di incoraggiare coloro che sono sfuggiti all’inferno dell’attentato a ritornare nel Paese per dimostrare che il desiderio di vivere insieme può avere la meglio sulla violenza. Per il vescovo della diocesi di Minna, inoltre, la conflittualità attuale non si può spiegare come dovuta a moventi religiosi, ma trova origine nell’eterno tentativo del male di prevaricare sul bene. Molte tensioni sono connesse alla proprietà delle terre: un caso, per esempio, è quello dell’appropriazione delle terre degli Ibdu, a maggioranza cristiana, da parte degli Hausa-fulani, gruppo etnico a maggioranza musulmana. Occorre considerare, infatti, che in questo Paese la terra ha un valore quasi religioso, oltre al fatto che essa garantisce al cittadino il diritto di voto, che è connesso al luogo in cui è nato. Anche se si trasferisce in un altro Stato e qui acquista un pezzo di terra, il nigeriano può esercitare il suo diritto di voto solamente là dov’è nato. Attualmente, i musulmani che si sono trasferiti verso il centro del Paese contestano questa tradizione: paradossalmente essi conservano il loro diritto di voto nello Stato del Nord da cui provengono e tuttavia si oppongono al diritto di voto ai cristiani che si sono stabiliti là. La vista dei villaggi abbandonati in seguito all’attacco dei gruppi terroristi è desolante. Ma va rilevato che l’attaccamento alla terra alla fine incoraggia i contadini cristiani a ritornare sui loro passi. Ma gli attacchi contro i cristiani e le rappresaglie esercitate nei confronti dei musulmani hanno frammentato le città: mentre prima il mercato del quartiere serviva tutta la popolazione, oggi ciascuna comunità religiosa ha il suo proprio mercato. L’odio e il rancore sono costantemente presenti e rischiano in qualunque momento di degenerare in scontri. La visita di Asaba, nel Sud della Nigeria, e dei cimiteri dove sono sepolti numerosi missionari costringe a riflettere sul significato della loro missione in Nigeria. La maggior parte di loro non ha superato i venticinque anni a causa della malaria. Il loro motto era «embrace the cross and move on». Un motto che conserva tutta la sua attualità in un contesto in cui non è più la malaria a uccidere.