Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:52:48

SE. Mons. Shaba Matoka è Arcivescovo siro-cattolico di Baghdad, a capo di una piccola comunità di circa 60 mila fedeli, ricchi in storia e tradizione. Intervistato da Oasis in occasione di una visita a Venezia alla fine di ottobre, Mons. Shaba tratteggia il quadro di un Iraq in cui segnali preoccupanti di instabilità ed ostilità verso le minoranze religiose si affiancano a tentativi di rilanciare la vita politica e sociale del paese, anche su nuove basi giuridiche. Eccellenza, come guardano le comunità cristiane all'avvenire dell'Iraq? Certamente le prospettive per l'avvenire del paese dipendono dalla sicurezza. Se i terroristi stranieri mantengono l'Iraq nell'attuale instabilità, non ci si può immaginare un avvenire promettente. Ma se ritornerà una sufficiente stabilità, allora credo che vi sarà un futuro prospero e fiorente, perché l'Iraq è un paese potenzialmente molto ricco e capace di offrire occasioni per lavorare e vivere. Nella bozza di Costituzione irachena ci si riferisce alla Shari'a e nello stesso tempo alla difesa delle minoranze. Come pensa che si svilupperà il nuovo sistema istituzionale? I cristiani troveranno sufficiente protezione? Ad esempio nell'ambito dell'educazione, come ritiene che si cambierà il sistema scolastico? Recentemente è stata promulgata una bozza di costituzione sulla quale anche noi siamo stati consultati. La Costituzione Provvisoria prevede la protezione delle minoranze e dei loro diritti religiosi: i cristiani non saranno più come in passato cittadini di seconda classe. Avranno l'eguaglianza dei diritti e naturalmente dei doveri. Per quanto riguarda l'istruzione, già da ora è stato emesso un decreto per restituire le scuole, che erano state tutte statalizzate, ai loro proprietari. Potremo aprire scuole private come avveniva in passato. La questione della libertà religiosa invece non è stata completamente affrontata ed è rimasta aperta; tuttavia, oltre a garantire la libertà di culto, la Costituzione parla di "rispetto delle religioni". Si tratta sempre di un punto molto critico nei paesi islamici, poiché abbandonare l'Islam è considerato dalla legge religiosa un crimine passibile di morte. Era stata avanzata da alcune parti la richiesta di porre la Shari'a come la base dell'ordinamento, ma questa proposta è stata respinta; si è optato invece per la formulazione: «la Shari'a è uno dei fondamenti principali della legge», il che implica che vi siano accanto ad essa altri fondamenti. In sintesi, siamo soddisfatti di questa bozza costituzionale. Quali sono le vostre relazioni con le autorità religiose sunnite e sciite? Prima della guerra, non intrattenevamo grandi rapporti. Dopo la guerra siamo andati a trovare soprattutto le autorità sciite. Siamo stati da Sistani, che è la più alta autorità sciita. E Sistani pare essere un uomo moderato. Siamo stati anche da Hakim (uno dei fondatori del Consiglio Supremo per la Rivoluzione in Iraq, la maggiore formazione politica in Iraq, n.d.r.), che poi è stato ucciso nell'agosto 2003, e da suo fratello 'Abd el-'Aziz Hakim. E quando ci sono stati gli attentati alle chiese, i capi sciiti hanno mandato rappresentanti per esprimere la loro condanna di quanto stava succedendo. Anche i sunniti hanno mandato due rappresentanti, del loro comitato degli 'ulema. In conclusione, possiamo dire di avere buoni rapporti con le autorità; però c'è sempre la popolazione, nella quale albergano anche elementi fondamentalisti. Le stesse autorità religiose sunnite e sciite hanno delle difficoltà a governare la situazione, come dimostra l'episodio di Sadr. Quanto ai sunniti, bisogna anche aggiungere che alcuni 'ulema non sono sinceri nelle loro condanne: dicono una cosa, ma ne pensano e incoraggiano un'altra. Attentati alle chiese, discriminazioni nella vita quotidiana, il fenomeno dell'emigrazione: c'è allarme per le condizioni di vita dei cristiani. Come fronteggiano il problema le Autorità irachene? E i pastori cristiani che cosa fanno? Senza dubbio gli attentati contro le chiese sono stati qualcosa di molto notevole. Attacchi diretti ai luoghi di culto dei cristiani e mentre i fedeli erano riuniti a pregare: significa che chi ha progettato questa azione voleva uccidere e non solo terrorizzare. Le autorità ed il governo sono contrari a questi atti: vorrebbero proteggerci, ma non sono in grado neppure di proteggere se stessi. Attualmente a Baghdad ci sono 50 mila gendarmi, eppure non riescono a mantenere l'ordine. Noi stessi, in quanto autorità religiose, abbiamo contatti con il governo e siamo stati invitati a prendere le nostre precauzioni. Ci sono stati diversi rapimenti con richieste di riscatto enormi e la gente non può più mandare i figli a scuola. I cristiani sono sottoposti a pressioni soprattutto al nord, a Mossul, dove risuonano minacce dirette. Ho sentito dire che là alcuni Mollah dicono ai cristiani di andarsene dal paese perché non è loro e le ragazze vengono costrette a portare il velo. Ma anche a Baghdad e altrove i cristiani sono maltrattati perché lavorano per gli americani o vendono bevande alcoliche o perfino perché fanno i barbieri. La nostra cattedrale è stata bombardata ed ora facciamo la messa in una grande sala. Prima degli attentati avevamo cinque messe domenicali alla cattedrale, frequentatissime dai fedeli; ora ne viene soltanto un quarto, perché molti hanno paura e preferiscono non farsi vedere in giro. E allora quale può essere il ruolo dei cristiani oggi, in questa fase così difficile e drammatica? Molti cristiani restano. Non possono emigrare, perché è difficile e costoso; i cristiani sono considerati elementi costruttivi; ci sono dottori, uomini d'affari, impiegati del governo, e questo è apprezzato anche da molti musulmani, che riconoscono ai cristiani le tradizionali qualità di impegno sul lavoro ed onestà. Si parla molto della presenza e delle attività delle congregazioni protestanti. Qual è il sentimento dei cattolici al riguardo? C'è un lavoro in comune o una sorta di disagio e competizione? Quando gli americani sono entrati a Baghdad, per qualche giorno si sono viste spuntare dappertutto delle sette protestanti. Non si sa da dove vengono. Notevole che al momento degli attacchi queste nuove chiese non siano state toccate. Che cosa significa questo? Non è facile saperlo, perché la situazione è piuttosto confusa. Un discorso molto diverso va fatto invece per quelle congregazioni protestanti, come gli evangelici ed i battisti, che erano presenti già da prima della guerra. Rispettavano le chiese locali ed i rapporti erano improntati alla collaborazione. Insomma, c'è una differenza tra le comunità protestanti esistenti da tempo e queste che sono spuntate dopo la guerra. I cristiani d'Occidente: molto spesso si rimprovera loro d'essere lontani, se non disinteressati. Che cosa domandate ai cristiani d'Europa? E a quelli d'America? Questa è una domanda che ci è stata posta molte volte: «Che cosa volete dire all'Occidente? E all'Occidente cristiano?». Prima della guerra da più parti si è mostrato un grande interesse, che però nella maggior parte dei casi non si è concretizzato. Infatti dopo la guerra non si è vista una grande attività per sostenere le autorità civili nel compito di mantenere la pace, mentre sarebbe importante che tutti facessero i propri sforzi per aiutare l'Iraq a riguadagnare pace e sicurezza. Bisogna che tutti ci aiutino; sennò la gente se ne andrà, perché non c'è lavoro. Domando la preghiera, ma anche l'aiuto. In tutto questo c'è la splendida eccezione del Santo Padre, che ha detto chiaramente che la guerra era "un crimine" parola molto dura e molto forte, per indurre gli americani a non cominciare le ostilità e che anche ora non cessa d'interessarsi a noi. E ai cristiani d'America, Eccellenza? Che cosa direbbe loro? Le stesse cose, a maggior ragione. Ci può dire qualcosa sulla situazione del Kurdistan iracheno? Qual è la condizione dei cristiani in questa regione? Il Kurdistan è la regione montuosa a nord di Mossul. È abitato da curdi e da cristiani principalmente caldei ed assiri. Contesa è la città di Kirkuk, ricca di petrolio, che i curdi vorrebbero mantenere sotto il loro controllo. Ci siamo incontrati varie volte con i leaders locali e sappiamo che la situazione là è migliore che altrove. Regna calma e tranquillità; del resto, dopo la Guerra del Golfo, la regione godeva già di un'autonomia completa, protetta dagli americani. Abbiamo incontrato Talabani (Jalal Talabani, uno dei maggiori leaders curdi, n.d.r.), che ci ha assicurato che i cristiani non saranno sottoposti a pressioni. Per contro, ci sono degli Imam sunniti a Mossul che dicono che i curdi sono degli infedeli (kuffar) come i cristiani. Esiste anche una piccola emigrazione interna verso il Kurdistan di famiglie in cerca di sicurezza, anche se in linea di massima si preferisce andare all'estero. L'esempio della regione autonoma del Kurdistan ricorda che una strada che si sta cercando di battere attualmente è quella del federalismo. Questa soluzione potrebbe impedire che l'Iraq si frantumi in una sanguinosa guerra civile.