Mentre il mondo è distratto, le ferite della capitale balcanica non accennano a rimarginarsi.
L'intervista-testimonianza del vescovo ausiliare S.E. Mons. Pero Sudar, la sua preoccupazione e le sue speranze per la capitale di Bosnia-Erzegovina.
 

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:44:23

Com’è il profilo della comunità musulmana di Bosnia Erzegovina oggi? Com’è cambiato con la guerra degli anni ’90 e l’arrivo di esponenti di un’islam “straniero”? Da quando è finita la guerra la comunità dei musulmani della Bosnia ed Erzegovina deve fare i conti con la presenza di gruppi che non hanno nulla a che spartire con la tradizione dell’islam locale. Gruppi di wahabiti-salafiti sono arrivati qui durante la querra con le loro armi e soprattutto con la loro ideologia per difendere i fratelli musulmani. In quella circostanza la comunità locale aveva bisogno del loro aiuto e li ha accolti. Una volta finita la guerra però, venuta meno tale necessità, non ha potuto certo cacciarli via: queste “stranieri” si sono stabiliti qui, hanno messo su casa e famiglia, hanno costruito le loro moschee. Anzi potrei azzardare e sostenere che questi gruppi hanno colto l’occasione della guerra per stabilirsi qui e importare un islam diverso da quello radicato qui dal XV secolo. Lo stesso muftì Ceric, punto di riferimento per i musulmani di Bosnia ed Erzegovina, si trova in una posizione ambigua: non può opporsi alla loro presenza, ma questa compromette la sua posizione soprattutto di fronte alla comunità europea e internazionale. Qual è, secondo lei, la cicatrice più profonda che l’esperienza della guerra degli anni ’90 ha lasciato sulla pelle dei musulmani di Bosnia? Durante la guerra il presidente Izbegovic e in seguito chi ha ricevuto da lui il testimone hanno alimentato una convinzione sbagliata: qui il popolo musulmano sarebbe stato la vittima non tanto o non direttamente dei serbi o dei croati, quanto piuttosto dell’Europa che si sarebbe servita dei serbi e croati per sterminare i musulmani, cacciarli dalla loro terra. In questa luce è stata letta per esempio la strage di Srebrenica, l’enclave bosniaca dove vennero massacrati, secondo le fonti bosniaco-musulmane, circa 8000 musulmani per mano serba sotto gli occhi degli impotenti Caschi Blu dell’Onu: l’Occidente “cristiano” contro la minoranza musulmana di Bosnia. Questa idea ha convinto la gente, soprattutto le persone più semplici, che quasi per difendersi, si arroccano in posizione estremiste. Il muftì Ceric cerca di mediare tutte queste posizioni, se ne fa portavoce, tentando di mostrare all’Europa il volto dialogante dell’islam bosniaco, capace di tolleranza, in grado di adeguarsi alla democrazia. I suoi interlucutori europei, ma non solo, lo hanno idealizzato e molte volte premiato come uomo del dialogo. Però a casa lui non è disposto al vero dialogo. Anzi! Eppure esiste un Consiglio interreligioso, riconosciuto dal governo di Bosnia Erzegovina, che favorisce l’incontro frequente tra il cardinale, il muftì, il vescovo ortodosso e il capo della comunità ebraica… Questo non muove qualcosa a livello di rapporti interni tra le comunità? È vero, eppure un vero dialogo a livello interreligioso non c’è, non si pratica. Tale consiglio, infatti, lavora molto e ottiene risultati a livello legislativo, ma soprattutto come organo che tratta i rapporti tra le comunità religiose da una parte e lo Stato dall’altra, che difende il tema della libertà religiosa, per esempio, o simili. Questo lavoro serve molto perché qui, in fondo, è rimasta diffusa una mentalità “comunista” secondo la quale la religione non deve esporsi sulla piazza pubblica, è un fatto privato, le chiese e le comunità religiose devono stare fuori della politica e dalla vita sociale. Si respira ancora un’avversione della gente che non capisce perché uno dei capi religiosi deve esprimersi su temi politici… Come se la vita delle comunità religiose potesse restare avulsa dalla realtà! Ma la guerra ha spaccato la popolazione locale, ha sbaragliato il valore qui praticato del rispetto per il vicino, ha sbriciolato la consuetudine alla convivenza tra persone diverse per religione ed etnia. Oggi l’intolleranza viene motivata proprio con il riferimento alle religioni diverse che pratichiamo. Cioè si attribuisce alle diverse religioni la responsabilità ultima della divisione che caratterizza oggi la Bosnia ed Erzegovina e questo torna a vantaggio di chi difende una concezione laicista dello Stato. Qui non c’è stata una guerra religiosa, ma una guerra in cui le religioni e la fede sono state strumentalizzate. Peccato che il Cosiglio interreligioso non promuova un vero dialogo interreligioso, che non cerchi di far vedere il patrimonio religioso e cristiano che ci è comune e che, di sicuro, aiuterebbe la nostra gente a elaborare il male che ci siamo procurati a vicenda. Quindi in qualche modo i musulmani con i cristiani sono alla ricerca di un nuovo posizionamento nella società? I musulmani sono oggi in Bosnia ed Erzegovina alla ricerca di una loro identità. Prima di Tito non si potevano definire come un popolo, ma come una comunità religiosa, in quanto erano serbi o croati convertiti all’islam. Ma alla lunga il fatto di appartenere all’islam li ha resi diversi, identificabili in base al loro credo. Non si riconoscevano né quali serbi né quali croati, ma altro. Tito negli anni ’70 permise loro di definirsi Musulmani, con la maiuscola, come un popolo. Ma durante l’ultima guerra loro stessi hanno capito che tale definizione, “Musulmani”, non poteva agevolarli nel rapporto con l’Europa, e quindi si sono definiti “bosniaci”. Però i croati e i serbi temono che questa sia una pretesa da parte dei bosniaci di essere loro, in qualche modo, gli eredi esclusivi della Bosnia ed Erzegovina. Tra i loro estremisti non mancavano e non mancano tuttora le convinzioni per cui se i serbi hanno la Serbia, i croati la Croazia, allora la Bosnia de Erzegovina dovrebbe essere lo Stato dei bosniaci-musulmani. Un’idea del genere è stata lanciata dallo stesso muftì Ceric. Insomma il panorama è molto complesso a causa delle ideologie che qui si intrecciano e sovrappongono. Tuttavia devo sottolineare che questa pretesa non ha provocato, ma giustificato, l’azione dei serbi che vogliono vivere da soli, solo serbi con serbi, e di quanti vedono come soluzione finale una divisione della Bosnia ed Erzegovina in stati etnicamente puliti. Purtroppo nessuno qui, né politicamente né ideologicamente, specialmente per quanto riguarda i crimini della guerra, è innocente. La guerra orribile e la disperazione hanno, con l’andar del tempo, convinto tutti le parti che la violenza sia l’unico modo per sopravivere. Proprio questo è la conseguenza più sconvolgente di una guerra. Per questo sono convinto che non vi può essere più e in nessun luogo una guerra giusta. Quindi di chi è la Bosnia ed Erzegovina? In sostanza si può dire che la Bosnia ed Erzegovina dovrebbe appartenere nello stesso modo e nello stesse tempo ai bosniaci, ai serbi e ai croati. Invece oggi non appartiene a nessuno perché in un Paese diviso così non può sopravvivere nessuno. Questo è il tragico esito della nostra guerra. Ciò che sorprende è il fatto drammatico che la comunità internazionale, capeggiata dagli Stati Uniti, imponendo la pace a Dayton, ha riconosciuto la spartizione del Paese ed ha di fatto approvato la pulizia etnica. Quale destino intravede lei per la vita di questo Paese? Un ritorno alla convivenza o un approfondirsi della tendenza alla pulizia etnica? Quello che la guerra ha suscitato si è come congelato: sono state cacciate 2 milioni e 680.000 persone, cioè il 63, 2 % della popolazione, solo un milione e 380.000 sono tornate, ma non nelle loro case, bensì in aree dove la loro etnia era maggioranza. All’estero resta oltre un milione di persone. Ciò che la guerra criminale ha effettuato, la politica amorale ha sancito a Dayton. Certo chi ha vissuto queste pagine di storia ritiene che la Bosnia ed Erzegovina non potrà mai più tornare ad essere quella che era un tempo: com’è possibile motivare i profughi a tornare, quando li da dove sono stati cacciato al governo siede chi li ha cacciati? Qui non avrebbero la libertà di essere ciò che sono. E a questo punto, chi se n’è andato dieci anni fa, si è rifatto una vita. La pulizia etnica della guerra e la politica seguita hanno distrutto il fondamento della convivenza. Quelli che sono rimasti sempre di più si accorgono di essere mal tollerati. Tramite la implementazione degli Accordi di Dayton i rappresentanti della comunità internazionale hanno, praticamente, consegnato il Paese nelle mani dei serbi e dei bosniaci-musulmani. I croati non sono un fattore politico. La gente lo sente e teme il proprio futuro. Perciò i cattolici in Bosnia ed Erzegovina diminuiscono a un ritmo che si potrà calcolare quando non ci saremo più. In questo senso noi viviamo il destino dei cristiani di Libano nel cuore dell’Europa e, in sostanza, a causa di una politica che dovrà tornare a rivedere i suoi conti. Per noi, però, sarà troppo tardi. E, purtroppo, non solo per noi! In che forma e misura l’esodo continua? Se ne vanno i giovani prima di tutto: oltre il 70% di giovani di tutte le etnie vorrebbe lasciare Paese. Chi puo’ va a studiare all’estero o se ne va subito dopo gli studi universitari. I croati se ne vanno in Criazia vicina senza grandi ostacoli. Qui c’è il 50% di disoccupazione. Finché i politici baderanno a bilanciare le loro posizioni più che ad affrontare i problemi, prevarranno le spinte centrifughe. Se la politica non rilancerà l’economia, la Bosnia ed Erzegovina finirà divisa. Se lo scenario della disintegrazione attuale continuerà, è da temere che la parte serba spingerà per unirsi alla Serbia, quella croata per unirsi alla Croazia e i musulmani per costituire uno stato islamico. Solo che un piccolo Stato islamico qui vorrebbe dire ricreare le condizioni di una Palestina dei Balcani: sarebbe da un lato in balia degli integralisti, dall’altro osteggiato dall’Europa che potrebbe cercare di servirsi dei serbi e dei croati per arginarla. La posta in gioco dunque è molto alta, non ha a che vedere solo con il futuro della Bosnia… Il valore della Bosnia ed Erzegovina come stato multietnico che dimostra con la sua stessa esistenza che è possibile che diversi popoli convivano, andava molto oltre i confini di questa terra. Se questo Stato sparirà, vincerà la linea di chi sostiene che i diversi o si dividono o si scontrano. E giacché il mondo è tutto un mescolarsi di popoli, la fine della Bosnia ed Erzegovina indicherà che il destino del mondo intero è lo scontro. Con la Bosnia ed Erzegovina morirebbe qualcosa di più della stessa Bosnia. A chi tocca la prossima mossa? L’Europa dovrebbe fare uno scatto, agire di più, avere più coraggio per promuvere una soluzione politica giusta. Sono sicuro che i cittadini e i popoli di questa terra non mancheranno di offrire il loro contributo.