La Repubblica Islamica d’Iran si fonda sull’idea che, in virtù della loro capacità d’interpretare il volere divino, i chierici debbano esercitare il potere politico. Un principio messo in discussione da teologi e intellettuali

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:01:08

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Il filosofo Abdolkarim Soroush (n. 1945) è considerato uno dei più importanti critici del concetto della velayat-e faqih, il governo del giureconsulto su cui si fonda la Repubblica islamica dell’Iran. Da ermeneuta, egli ritiene che l’uomo non possa comprendere pienamente la volontà di Dio, ragione per cui si dovrebbero tollerare opinioni radicalmente diverse sulla religione, mentre le idee che si sono dimostrate fallaci dovrebbero essere scartate, indipendentemente da chi le abbia formulate. Egli accusa i chierici e ovviamente il Giureconsulto Supremo, l’ayatollah Khamenei, di rivendicare indebitamente un monopolio dell’interpretazione religiosa. In breve, la sua tesi è la seguente: poiché è finanziato dal khums (una tassa sui beni, NdR), il clero si trasforma in una classe che si preoccupa di mantenere i propri privilegi, provocando in questo modo la fossilizzazione del pensiero religioso.

 

Nella Repubblica Islamica dell’Iran, criticare la monopolizzazione dell’interpretazione religiosa ha un significato specifico: è un attacco implicito al concetto di velayat-e faqih. Sostenendo che la comprensione religiosa del vali-e faqih (il Giureconsulto Supremo) rappresenta solo un’interpretazione umana e quindi fallibile della religione, Soroush ridimensiona la sua autorità e la sua pretesa di obbedienza assoluta. Di conseguenza, un musulmano devoto non dovrebbe necessariamente credere nella velayat-e faqih, che è soltanto una tra le tante possibili letture della religione. Secondo Soroush, questa istituzione è un «fenomeno che deve essere perfezionato». Tuttavia, nei suoi scritti non si trova un rifiuto esplicito della velayat-e faqih come sistema di governo in Iran. Dunque, finché sarà legalmente costituita, Soroush non vi si opporrà.

 

Un altro argomento avanzato da Soroush contro la velayat-e faqih si fonda sul suo rifiuto del taqlīd (imitazione) politico. Come Ali Shariati (1933-1977) e lo shaykh Morteza Ansari (1781-1864), Soroush pensa che i chierici possano essere una “fonte di imitazione” (marjaʻ al-taqlīd) per quanto riguarda le questioni culturali, ma non per quelle politiche. Negli anni ’70, Ali Shariati chiese di ridefinire il concetto di taqlīd, sottolinenando che quest’ultimo avrebbe dovuto essere limitato alla consultazione dei chierici in alcuni casi specifici, vale a dire per «le questioni pratiche e giuridiche di natura tecnica e scientifica». Secondo Shariati, il taqlīd non dovrebbe significare l’assoluta e indiscussa aderenza al sapere, alla fede e al giudizio dei chierici. Ritenendo la relazione diretta e senza intermediari tra Dio e l’uomo un principio fondamentale dell’Islam delle origini, Shariati considerava la pratica dell’ijtihād (sforzo interpretativo) un dovere che non ricade solo sul mujtahid (l’interprete qualificato, NdR), ma su ogni singolo musulmano. Ogni persona può comprendere autonomamente il messaggio dell’Islam, alla sola condizione di studiare i testi religiosi.

 

I seguaci della dottrina sciita ortodossa

Il concetto del governo dei giuristi è tra gli elementi fondamentali e indiscutibili della dottrina sciita. Perlomeno questo è ciò che ha affermato l’ayatollah Khamenei in occasione del decimo anniversario della morte di Khomeini. In realtà, è vero il contrario. Tuttavia, molti chierici che rifiutano la velayat-e faqih sono quietisti. L’idea di esprimere una critica pubblicamente non si confà alla concezione che essi hanno del proprio ruolo, perché questo costituirebbe un’indebita interferenza nella politica. Inoltre, la Repubblica Islamica non tratta molto bene i suoi critici: come mostrano gli esempi di Mohsen Kadivar, Abdallah Nuri e dell’ayatollah Hussein-Ali Montazeri, il rischio di pene detentive o degli arresti domiciliari è reale.

 

Nemmeno ai tempi di Khomeini la velayat-e faqih era incontestabile. Al contrario, molti chierici di Qom vi si opponevano e coloro che la sostenevano non erano d’accordo col fatto che la Guida della Rivoluzione arrivasse al potere attraverso una “rivoluzione popolare” invece di essere eletto da altri ayatollah.

 

Nel 1981 il chierico liberale Reza Zanjani dichiarò:

«Il monopolio del potere giuridico e teologico creato in Iran è anti-islamico. Titoli come “guida” o “guida suprema” non sono islamici. Non si può fare alcuna comparazione tra la Chiesa cattolica, con la sua gerarchia e le sue strutture, e la leadership degli sciiti»

La critica dell’ayatollah conservatore Hasan Qomi era sulla stessa lunghezza d’onda:

«Il clero autentico non vuole il potere politico […] e non approva il fatto che dei chierici ci governino. Il vero scopo dei chierici è consigliare e informare le persone»

Tuttavia, tra coloro secondo i quali il governo dei giuristi è illegittimo nell’epoca dell’Occultamento maggiore (il periodo nel quale il dodicesimo Imam è assente dal mondo visibile e non comunica con esso, NdR), ci sono almeno due gruppi che – a differenza dei quietisti, con i quali condividono questa opinione – non si astengono dall’intervenire in politica. Per esempio, anche l’organizzazione chiamata Hojjatiye rifiuta la velayat-e faqih, in particolare perché ritiene che più la corruzione e il vizio dominano il mondo, prima tornerà il Mahdī (il dodicesimo Imam occultato, NdR). In questo caso, applicando il diritto islamico e contrastando così la corruzione e il vizio, la velayat-e faqih ostacolerebbe o ritarderebbe il ritorno del Mahdī.

 

Un’altra organizzazione ancora attiva in Iran, anch’essa molto poco quietista, è la Mahdaviye. Come la Hojjatiye, la Mahdaviye è dell’opinione che qualsiasi governo politico sia illegittimo fino al ritorno del dodicesimo Imam.

 

I fautori della vekalat

La maggior parte dei critici della velayat-e faqih erano o sono dei sostenitori della teoria della vekalat. Nel dibattito sulla legittimità del potere politico interno al mondo sciita, essi promuovono una visione che si oppone diametralmente all’idea della velayat. Mentre i sostenitori di quest’ultima considerano legittimo attribuire a uno o più giuristi l’autorità divina a governare (in arabo wilāya, in persiano velayat), altre personalità religiose credono che a essere legittimo sia il sistema rappresentativo (in arabo wikāla, in persiano vekalat), ossia l’attribuzione del mandato di governo a dei rappresentati eletti dal popolo. Queste personalità sostengono l’idea della legittimità civile (mahsruiyat-e madani), secondo la quale la sovranità appartiene al popolo, dal quale promana ogni potere.

 

I sostenitori della vekalat considerano Muhammad Hossein Naini (m. 1936) un loro illustre precursore. Il governo che egli proponeva, infatti, avrebbe seguito le leggi islamiche, ma rispettando la sovranità popolare. Nel suo libro Tanbīh al-umma (il risveglio della comunità) Naini sostenne che l’unico scopo dello Stato sia garantire il suo ordine interno e proteggere se stesso dai nemici esterni, come una sorta di “Stato guardiano notturno”. Poiché il suo scopo primario è mantenere l’ordine, il governo è insediato dal popolo. Di conseguenza i cittadini hanno il diritto di rimuoverlo se non adempie quest’obbligo.

 

L’ayatollah Mohammad Kazem Shariatmadari (1906-1986), anche lui tra i fautori della vekalat, ha persino riconosciuto una limitata legittimità alla monarchia, fintantoché questa non degenera nella tirannia. Durante la rivoluzione, Shariatmadari si è limitato a chiedere l’applicazione della Costituzione del 1906/1907, come aveva fatto anche Khomeini nel suo libro Kashf al-asrār (lo svelamento dei segreti). Dopo il referendum nazionale sulla futura forma di governo, nel maggio del 1979 l’ayatollah Shariatmadari dichiarò in un’intervista che l’Islam non chiede al clero di intromettersi nelle questioni dello Stato, tranne nel caso in cui il parlamento adotti una legislazione anti-islamica. Tuttavia, questa dichiarazione fu poi ritirata, probabilmente sotto pressione. Nel dicembre del 1979, poco prima del referendum sulla nuova Costituzione, l’ayatollah criticò il potere della Guida, affermando che fosse in contraddizione con l’articolo 56 della Carta fondamentale, secondo il quale nessuno può contestare la sovranità del popolo dal momento che questo diritto gli è concesso da Dio. Secondo Shariatmadari, il quale pensava che la velayat-e faqih non fosse necessariamente islamica, il potere di cui disponeva la Guida Suprema limitava la sovranità popolare.

 

Mentre Khomeini accettava esclusivamente l’Islam come fonte della legislazione, l’ayatollah Shariatmadari si limitava a invocare un sistema islamico che rispettasse i principi dell’Islam. Pensava che un governo islamico fosse un’utopia finché non fosse tornato il dodicesimo Imam. Per la sua critica, Khomeini lo mise agli arresti domiciliari, gli proibì di continuare a indossare il turbante e ordinò che gli fosse revocato il titolo di Grande Ayatollah.

 

Dopo la rivoluzione, anche l’ayatollah Mahmoud Taleqani (1911-1979) espresse delle critiche sul coinvolgimento politico dei chierici per i problemi che questo avrebbe comportato. Infatti, mentre in caso di errori un governo ordinario verrebbe semplicemente sostituito, le persone perderebbero la loro fede se una guida islamica commettesse dei misfatti. Tutti gli sbagli commessi dalla guida sarebbero automaticamente attribuiti alla religione. Taleqani mise inoltre in guardia dalla possibilità che la rivoluzione si trasformasse in una dittatura del clero. Egli temeva infatti che lo Stato si trasformasse da custode degli individui e in un burattino al servizio degli interessi di poche persone. Invece della velayat-e faqih, Taleqani suggerì di creare una Repubblica consiliare.

 

Anche Mehdi Bazargan (1907-1995) rifiutò la velayat-e faqih, in quanto sistema di governo che implica una forma il monopolio del clero sull’interpretazione delle fonti religiose. La critica di Barzagan, espressa in particolare nella sua analisi intitolata Velayat-e motlaq-e faqih (il dominio assoluto dei chierici), si basava principalmente sulle fonti giuridiche sciite. Questo libretto è stato distribuito segretamente dal partito di Barzagan, il Nehzat-e azadi (movimento per la libertà), ma ufficialmente non è mai stato stampato. In un’intervista rilasciata nel 1993 all’esperto di studi islamici Wilfried Buchta, Bazargan ha utilizzato parole molto chiare per parlare della velayat-e faqih. Ha affermato che dal punto di vista politico essa va considerata una forma di dispotismo e una ricaduta nel tipo di Stato che la rivoluzione aveva tentato di superare; dal punto di vista della religione essa sarebbe invece una forma di shirk (idolatria) e di culto totalitario della personalità.

Secondo Bazargan, i chierici non devono svolgere attività politica sulla base della loro posizione religiosa privilegiata. Inoltre, sebbene il Corano abbia stabilito le principali regole del governo, è compito del Parlamento adattare queste norme alle circostanze attuali. In assenza dell’Imam, il popolo doveva governarsi da solo. La “regalità assoluta” appartiene solo a Dio e il potere divino non può essere delegato al clero, ma solo al popolo nel suo insieme.

 

Velayat e vekalat insieme: l’interpretazione di Montazeri

Il grande ayatollah Montazeri (1922-2009) è stato il chierico di rango più elevato a non rifiutare radicalmente la velayat-e faqih. Nonostante ciò, egli ha accolto alcuni elementi della teoria della vekalat e ha parlato della necessità di un contratto sociale tra il giurista supremo e il popolo.

Montazeri era stato designato come successore di Khomeini, ma nel marzo del 1989 fu degradato dalla Guida della Rivoluzione. Intervenne nuovamente nel dibattito politico nel 1997, al momento della vittoria di Mohammad Khatami, mettendo in guarda il neo-eletto presidente dalle interferenze politiche che Khamenei avrebbe messo in atto solo perché si considerava al di sopra della Costituzione.

 

Durante una conferenza, Montazeri spiegò che i Padri costituenti iraniani, di cui lui stesso faceva parte, non avevano mai voluto stabilire un sistema come quello dell’Iran odierno. La figura del Giureconsulto Supremo era stata pensata come una funzione di supervisione, incaricata di vigilare che le tre autorità dello Stato non violassero l’Islam, ma non avrebbe dovuto intromettersi negli affari dello Stato, intervenendo soltanto nel caso in cui la società si fosse allontanata dalla “via dell’Islam”. Inoltre, questa carica avrebbe dovuto essere elettiva e avere una durata limitata.

Secondo Montazeri, nel 1979 i Padri avevano optato inequivocabilmente per la Repubblica, che è il governo del popolo, e avevano previsto sia i partiti politici che la libertà di stampa. Montazeri accusava l’attuale Giureconsulto Supremo di aver stravolto le intenzioni della Costituzione e di aver creato in Iran una dittatura dei giuristi.

 

Ma la più rilevante delle sue “rivelazioni” è stata quella secondo cui sarebbe stato lui e non Khomeini ad aver proposto di codificare “il governo del Giureconsulto Supremo” nella Costituzione. Montazeri ha spiegato che quando lui propose quest’idea di governo, Khomeini rimase semplicemente in silenzio. Gli altri presenti la criticarono con forza, ma interpretarono il silenzio di Khomeini come un assenso. Se davvero fu Montazeri il vero architetto del “governo del Giureconsulto Supremo”, la sua critica e la sua richiesta di sottoporre a revisione questo stesso concetto acquistano importanza. Inoltre, se così fosse, la dottrina del “governo del giureconsulto” non dovrebbe più necessariamente essere considerata la sacrosanta eredità del fondatore dello Stato.

 

Sostanzialmente, Montazeri pensava che l’intera concezione della dottrina dello Stato e della Repubblica Islamica fosse obsoleta, poiché il suo significato iniziale, per i giuristi più esperti, era quello di proteggere lo Stato. Nel 1989, con l’introduzione della nuova definizione di Giureconsulto Supremo – che in base a quella definizione cessava di essere tale – nacque un’istituzione parallela alla carica del Presidente. Tuttavia, si chiedeva Montazeri, che cosa distingue il detentore di questa carica dal Presidente? Entrambi sono chierici, entrambi di rango non molto alto ed entrambi devono avere lungimiranza e competenza politica.

Mentre queste qualità sono richieste dalla Costituzione quando si tratta del Supremo Giureconsulto, esse sono date per scontate quando si parla del Presidente, scriveva Montazeri. A che cosa serve questa istituzione parallela se non è diversa dalla carica di Presidente? Montazeri non accettava l’argomento addotto dai seguaci di Khomeini, secondo i quali il Giureconsulto Supremo sarebbe investito di una legittimazione divina. Affermava invece che, secondo il diritto sciita, a parte gli Imam nessuno è designato esclusivamente da Dio. Il Giureconsulto Supremo deve essere legittimato dalla volontà popolare.

 

Tuttavia, Montazeri offrì anche una spiegazione del modo in cui nacque l’interpretazione dominante della velayat-e faqih. La legittimazione divina dovette infatti essere “fabbricata”, perché era previsto che Khamenei assumesse il ruolo vali-ye faqih.

 

Negli ultimi anni diversi critici sono usciti allo scoperto, mettendo in discussione l’estensione del potere del Giureconsulto Supremo e difendendo la sovranità del popolo. Tra questi, l’ayatollah Ahmad Azari-Qomi (n. 1925), Mohsen Kadivar (n. 1959), Abdallah Nuri (n. 1949) e Jalaloddin Taheri (1926-2013) sono senza dubbio i più illustri. Nei loro scritti e nelle loro dichiarazioni il nome di Montazeri è sistematicamente menzionato ed è a lui che si riferiscono le loro tesi. In questo modo la richiesta di Montazeri di rafforzare l’elemento repubblicano e di considerare il popolo sovrano nella concezione del governo del Giureconsulto Supremo ha assunto maggiore rilevanza.

 

Kadivar e Nuri sono stati studenti di Montazeri, a differenza di Azari-Qomi, che è stato a lungo uno dei suoi più accaniti oppositori. Quest’ultimo è stato membro dell’Assemblea degli Esperti che ha eletto Khamenei come Giureconsulto Supremo e, soprattutto, in qualità di editore del giornale Resalat, è stato portavoce di un gruppo parlamentare che sosteneva l’attuale Guida Suprema. In numerosi articoli Azari-Qomi ha difeso Khamenei contro coloro che lo criticavano per l’insufficienza delle sue qualifiche.

 

Inoltre, Azari-Qomi sosteneva in particolare l’idea che Khamenei disponesse di un potere assoluto. Il fatto che Khamenei non fosse una “fonte di imitazione” non implicava una riduzione dei suoi poteri. Azari-Qomi si spinse ad affermare che le ordinanze di Khomeini sarebbero state valide solo se Khamenei le avesse confermate.

 

Solamente nel 1997 Azari-Qomi iniziò a criticare i pieni poteri di Khamenei, proponendogli persino di assegnare un ruolo a Montazeri come rappresentante incaricato delle questioni religiose, mentre la Guida Suprema avrebbe dovuto concentrarsi esclusivamente sugli aspetti politici. Se la politica non cambierà radicalmente – disse Azari-Qom – il popolo «ci getterà nella pattumiera della storia».

Sia Kadivar che Nuri sono saliti alla ribalta negli ultimi anni. Accanto all’ex-Presidente della Repubblica Khatami, Nuri, un teologo, è senza dubbio il politico di maggior spicco tra le forze riformatrici. Ha ricoperto la carica di Ministro degli Interni fino a quando il Parlamento, dominato dai conservatori, non lo ha destituito. Successivamente Khatami lo nominò vice-Presidente della Repubblica. Nella primavera del 1998 è stato eletto Presidente del Consiglio comunale di Teheran.

 

Subito dopo il suo annuncio di volersi candidare alle elezioni parlamentari, il Tribunale Speciale per i Chierici lo ha accusato di diversi misfatti, tra cui persino quello di aver diffamato l’Islam. Tuttavia, l’eloquente imputato, che negli anni ’80 era annoverato tra i più fedeli sostenitori del fondatore dello Stato Khomeini, ha utilizzato il suo processo per sferrare un duro colpo alla politica ufficiale dell’Iran, un attacco senza precedenti nella sfera pubblica del Paese. Nuri ha contestato i poteri divini della Guida della Rivoluzione Khamenei e ha difeso i maggiori critici di quest’ultimo. Si è dichiarato orgoglioso di aver pubblicato le lettere di Montazeri – un appello per una profonda democratizzazione dello Stato che aveva fatto scalpore – lamentandosi del fatto che ogni giorno venissero usate «espressioni come “traditore”, “ipocrita”, “corrotto”, “sporco”, “avido” e “shaykh sprovveduto” per insultare Montazeri». Nuri, che già in occasione della revisione costituzionale del 1989 aveva criticato l’eccesso di potere nelle mani del Giureconsulto Supremo, dichiarò che l’Assemblea degli Esperti aveva una funzione di vigilanza nei confronti di quest’ultimo e doveva assolvere al proprio compito, incontrandosi più spesso e rendendo pubblici i verbali delle riunioni. Soprattutto, difese l’idea di attribuire maggior peso ai diritti del popolo (hoquq-e mellat) stabiliti dalla Costituzione.

 

Poiché il processo fu trasmesso in diretta televisiva, quello che Nuri aveva da dire su Montazeri e sulla sua critica di Khamenei fu oggetto di notevole attenzione in Iran. Inoltre, la stampa riformista dedicò grande spazio al processo, riservandogli quotidianamente le prime pagine. L’opinione dominante tra i commentatori fu quella espressa dal giornale Sobh-e emruz, secondo il quale

«il processo contro Abdallah Nuri, per quanto amaro e sfortunato possa essere, ha il pregio di riflettere la realtà così come essa è vista da gran parte della società iraniana»

Il 27 settembre del 1999, Nuri fu condannato a 5 anni e mezzo di prigione. A un altro studente di Montazeri toccò una sorte simile. Nel 1999, anche Mohsen Kadivar fu condannato dal Tribunale Speciale per i Chierici, con l’accusa di aver diffamato l’ayatollah Khomeini, ingannato il popolo diffondendo delle menzogne, messo a rischio il sistema e sostenuto Montazeri.

 

Kadivar ha elaborato la sua posizione sulla velayat-e faqih in diversi libri, nei quali in realtà non attacca direttamente il Giureconsulto Supremo, ma cerca di illustrare come né il Corano né la tradizione degli Imam impongano d’istituire la velayat-e faqih.

 

Egli ha spiegato inoltre che la velayat-e faqih non è indispensabile neanche da un punto di vista razionale. Lui stesso rifiuta l’idea della velayat, poiché essa presuppone l’immaturità delle persone, considerate bisognose di uno zio o di un pastore che le guidi. Secondo Kadivar ciò sarebbe in contraddizione con i principi basilari del diritto sciita, il cui punto di partenza è la maturità dell’uomo e la sua autonomia. Dal momento che il concetto della velayat considera l’uomo immaturo e accetta solo l’opinione e il giudizio del vali (il giureconsulto), Kadivar ritiene che la democrazia e la velayat-e faqih siano incompatibili fin dalle loro radici.

 

I contenuti che Montazeri ha caricato su internet possono sicuramente essere paragonati a una bomba politica. Probabilmente si tratta infatti della più dura critica rivolta fino a oggi contro la velayat-e faqih in Iran. Le sue idee sono arrivate al grande pubblico anche attraverso i suoi studenti più famosi, efficaci come una buona pubblicità.

 

Nonostante ciò, l’approccio adottato da Soroush sembra essere più interessante: mentre Montazeri non intende abolire la velayat-e faqih, ma vuole piuttosto democratizzarla, il sistema proposto da Soroush, alla cui base c’è l’idea che la conoscenza religiosa sia mutevole, non prevede nemmeno più la velayat-e faqih. Per questo Soroush deve risolvere un altro insidioso problema: una persona può vivere secondo la legislazione secolare e definirsi comunque musulmana?

 

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