Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:42:02

Ho trascorso circa due mesi in Iran, un tempo certamente esiguo per pretendere di capire veramente qualcosa del Paese. Il mio ritorno in Italia è coinciso con quello che alcuni hanno definito la primavera del mondo arabo e così molti amici mi chiedono che cosa potrà succedere in Iran, se ho visto qualche segnale di indebolimento del regime. Rispondo sempre con un «Non lo so». Se la persona insiste dico quello che ho visto, ma premettendo che non è niente di più di un'opinione personale. L'Iran mi è sembrato una pentola a pressione. Non perché l'elite di Teheran sia stufa, quanto perché giorno dopo giorno il regime perde la sua aura e diventa semplicemente una dittatura. Due esempi, secondo me, illustrano bene questa situazione. Ecco il primo. Dopo un’intera giornata trascorsa insieme ad un amico che studia a Qom per diventare mullah torno a Teheran carico di libri. Me li ha regalati il mio amico, un cristiano che si è convertito all'Islam. Sono tutti testi sull'Islam, sulla Rivoluzione Islamica e su Khomeini. Il mio amico ha il fervore dei neo-convertiti: i suoi libri fanno propaganda esplicita del regime. Lui studia in una madrasa fondata dall'Ayatollah Khamenei e frequentata da molti stranieri. Io stesso ho potuto parlare con turchi, cinesi, russi, albanesi, insomma l'ONU dei mullah. La cosa che li accomuna è una fede cieca non tanto negli hadîth del Profeta e degli Imam, quanto nelle gesta degli attuali governanti iraniani. Il loro credo può essere così riassunto: Khomeini in cielo e Khamenei [l’attuale Guida suprema] sulla terra, mentre i basiji (le milizie popolari) sono la quintessenza della bontà. Arrivo a Tehran con tutti quei libri e un amico, di estrazione popolare, mi chiede incuriosito che cosa ho in mano. Gli mostro i volumi convinto che gli avrebbe fatto piacere, e non mi sbaglio. Lui è membro di una tarîqa (confraternita mistica) che ha sede in un paese vicino a Tehran. Vedendo sulle copertine dei libri le foto dei mausolei degli Imam di Mashad, Qom e Najaf prende a cantare, a sorridere e a baciare ripetutamente l’immagine di copertina, che raffigura la foto del santuario dell’Imam Reza. Mentre bacia l’immagine, la indica ripetendo «Imamn Reza, Imam Reza». L’espressione del suo volto cambia improvvisamente quando vede la foto di Khomeini. Diventa serio, scaglia il libro per terra, e, un po' alla maniera di Robison Crusoe con Venerdì, mi dice; «Io, Muhammad. Tu, Gesù. Noi, Abramo». Il secondo episodio è capitato a Kashan, città a due ore da Teheran, nella casa di un amico di un mio amico. Appena arrivato non ci ho messo molto a capire che mi trovavo in compagnia di persone, diciamo così, non molto liberali. Diversamente da quanto mi è capitato spesso non mi hanno offerto né vodka, né birra e neanche l'arak, una specie di vodka locale. «Ma veramente sono in Iran? Dov'è l'alcool?», mi sono chiesto un po’ stupito. In realtà la serata è stata piacevole. Abbiamo bevuto un ottimo tè e ascoltato delle belle canzoni persiane. Poco prima di lasciare la casa uno dei presenti accenna alla politica italiana, chiedendomi la mia opinione sul presidente del Consiglio italiano. Gli ho risposto che avrei espresso la mia opinione se lui avesse detto la sua sul loro leader. «D’accordo» mi ha risposto. Quando è toccato a lui ha iniziato a parlare male di Ahmadinejad, ma io l’ho interrotto dicendo che a me non interessava Ahmadinejad. Volevo sapere che cosa pensava di Khamenei, la Guida suprema. Lui, visibilmente imbarazzato, liquida la faccenda dicendo: «Scusami ma non posso parlare della mia Guida». Questi episodi mi hanno dato la netta impressione che il disagio verso questo regime, che prova in ogni modo a distruggere la religione, non sia affatto circoscritto all'elite iraniana secolarizzata. Naturalmente si tratta di impressioni personali e non escludo di aver visto soltanto ciò che ho voluto vedere. Arnold Toynbee diceva: «I fatti che offrono buoni titoli per i quotidiani attraggono la nostra attenzione perché sono alla superficie della corrente della vita, ma la distolgono dai più lenti, impalpabili, imponderabili movimenti che lavorano sotto la superficie e penetrano in profondità». Se tuttavia mi chiedessero qual è la Persia che più mi è rimasta impressa, non avrei dubbio a rispondere: Ormuz, un’isoletta nel Golfo Persico di una povertà completa, ma dove gli sciiti, che sono di poco la maggioranza, e i sunniti convivono in un’armonia commovente. E dove la mia guida, un sunnita di nome Hasan – un nome caro agli sciiti – entrando nella chiesa edificata all’interno del famoso castello portoghese, ha fatto il segno della croce. Io brasiliano, in una chiesa, dentro un castello portoghese insieme a un sunnita di nome Hasan: non riesco a pensare che si sia trattato di un puro caso.