La conversione al Cristianesimo di Jean-Mohammed Abd-el-Jalil e il dialogo con l'Islam

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:49:13

Il semplice nome di padre Jean-Mohammed Abd-el-Jalil già suggerisce un’esistenza poco comune: Giovanni (Jean), «il discepolo che Gesù amava» secondo il Vangelo, e Mohammed, il Profeta del Dio unico secondo il Corano. In questi tempi in cui Cristianesimo e Islam sono nuovamente percepiti in opposizione, è buona cosa meditare sulla vita e sul messaggio di questo religioso francescano, convertito al Cristianesimo, ma che non ha mai veramente negato i valori della religione musulmana nella quale è nato e cresciuto. Senza mai cadere in un facile sincretismo, Abd-el-Jalil cerca al contrario di far comprendere meglio i valori profondi della religione dei suoi padri[1].

 

Jean-Mohammed Abd-el-Jalil nacque a Fes nel 1904, in Marocco, in una modesta famiglia originaria dell’Andalusia che lo educò alla fede musulmana dei suoi antenati. Fez era una città d’antica cultura, in cui l’Islam modellava la vita quotidiana di tutti gli abitanti: il giovane Mohammed segue dunque il cursus normale di ogni bambino che frequenta la scuola coranica. All’età di dieci anni accompagna persino i genitori al pellegrinaggio alla Mecca. Educazione tradizionale, dunque: ne serberà un grande rispetto per gli ulema, di cui dirà più avanti:

È presso questi loquentes – spesso ripetitori anonimi di manuali, commentarii e glosse […], è presso questi loquentes che – giovanissimo studente in gellaba bianca, seduto su un tappeto di lana rossa o verde portato sotto il braccio – ho sentito risvegliarsi in me, all’Università di Karaouin, quel senso religioso che doveva condurmi alla realtà visibile-invisibile della Chiesa. Da questi ulema ho ricevuto il gusto della trascendenza divina, il cui sapore si rivela veramente solo nel mistero di Cristo[2].

Vedendone le doti intellettuali, il padre lo iscrive al liceo francese di Fez che lascerà poi per il liceo Gouraud di Rabat, dove completa gli studi secondari. Il suo primo contatto con il Cristianesimo risale a questo periodo, attraverso i francescani presso cui va a pensio­ne. I voti alla maturità (baccalauréat) gli valgono l’attenzione del maresciallo Lyautey, a quel tempo Residente generale del Marocco, che lo sceglie per proseguire gli studi supe­riori a Parigi. Lyautey ha una visione umanista della colonizzazione e vuole preparare per il Marocco quadri autoctoni ben formati. I due resteranno amici e molti anni dopo Abd-el-Jalil aiuterà il vecchio maresciallo in pensione a riaccostarsi alla fede cristiana. Il giovane Mohammed sceglie di specializzarsi in lingua e letteratura arabe. Si iscrive anche all’Institut Catholique di Parigi, non per convertirsi al Cristianesimo – confesserà – ma piuttosto per confrontarsi con esso.

Sono entrato all’Institut Catholique per studiare il Cristianesimo nella sua cittadella. Non ero solo estraneo, ma ostile; entravo per trovare nuovi argomenti per combatterlo, un po’ come San Paolo […].[3]

È l’incontro con alcuni laici cristiani che praticano veramente il Cristianesimo a condurlo a porsi la domanda: «Non c’è per me qualche cosa nel Cristianesimo che potrebbe trasformarmi la vita più di quanto non faccia l’Islam?». Tra questi laici ci sono Louis Massignon e Jacques Maritain, due uomini che non potevano non affascinarlo, e Lyautey, con cui aveva mantenuto i contatti. Abd-el-Jalil prosegue tuttavia i suoi studi islamici e prepara alla Sorbonne una tesi di dottorato su un mistico musulmano dell’Alto Medioevo, Ayn al-Qudat al-Hamadhani.

 

S’incammina verso il Cristianesimo, non senza esitazioni, a contatto con un altro convertito dall’Islam, Padre Paul Mulla Zade (1881-1959), un turco che insegna a quel tempo all’Istituto Orientale di Roma. Nato a Creta da una famiglia musulmana colta, vicina ai riformisti egiziani del Manar, Mehmet Ali Mulla Zade si era convertito durante gli studi in Francia a contatto con il filosofo Maurice Blondel, che fu persino suo padrino di battesimo. Mohammed Abd-el-Jalil compie il passo decisivo del battesimo il Sabato Santo del 1928 e suo padrino è Louis Massignon[4]. Il padre ne rimane ferito e fa celebrare in Marocco una cerimonia funebre: per lui il figlio è come morto. Una visita ulteriore di Jean-Mohammed Abd-el-Jalil nell’aprile-maggio del 1961 mostrerà che la frattura prodotta dalla conversione era destinata a non guarire mai, anche in lui, che resterà segnato da certa fragilità personale[5].

 

Viaggi in Medio Oriente

Pur avendo scelto di abbracciare il Cristianesimo, Abd-el-Jalil conserverà nondimeno un grande rispetto per la religione dei suoi padri e inviterà a considerare l’Islam con rispetto. Non appena concluso il dottorato, entra nel noviziato dei Francescani, presso i quali compie gli studi religiosi (1929-1935) ed è ordinato sacerdote. Grazie alle sue competenze sarà chiamato da Mons. Baudrillart a insegnare Lingua e letteratura araba, e Islamologia, all’Institut Catholique di Parigi. All’istituto compirà gran parte della sua carriera universitaria, pubblicando alcune opere tra cui una Brève Histoire de la littérature arabe[6] che conobbe un certo successo, ma soprattutto proseguendo la sua indagine sull’Islam, nel tentativo di comprenderlo meglio, grazie in particolare a parecchi viaggi in Medio Oriente (il Maghreb gli era di difficile accesso, a causa della conversione). Un primo grande articolo, pubblicato nella «Nouvelle Revue Théologique» di Lovanio nel 1938, indica bene il suo stato d’animo:

Dobbiamo compatire la “solitudine” in cui l’Islam tende a rinchiudere la creatura, la “piccolezza” nella quale la vuole lasciare. E questo come conseguenza, come scotto inevitabile della concezione stessa che esso propugna di Dio. Invece di spingerlo a indurire ancora di più il proprio atteggiamento e a continuare a trascurare i germi d’autentica ricchezza religiosa che esso racchiude sotto una rigida crosta di legalismo ufficiale, il nostro dovere consiste piuttosto nel “valorizzare” tutte le sue reali aspirazioni, sane e costruttive: aspirazioni a una vita spirituale più profonda, a un senso dell’unità meno semplicistico, alla vita amichevole, con gli “altri”[7].

Abd-el-Jalil ha tutta la convinzione di un convertito, ma conserva un vivo rispetto per la religione da cui proviene. Dieci anni più tardi pubblica Aspects intérieurs de l’Islam[8], opera in cui manifesta ancora meglio il proprio desiderio di conoscere e far conoscere questa religione senza travestirla o minimizzarla, come fanno molti occidentali che, troppo spesso, «si accontentano ancora di rivestire di nuove forme alcuni clichés usati» (così scrive). Il rimprovero varrebbe anche per parecchi orientalisti, specialisti spesso molto dotti ma che talora nascondono a stento il loro disprezzo per l’Islam.

 

Aspects intérieurs de l’Islam offre al lettore riflessioni sfumate e sensibili sul rapporto che il musulmano ha con il Corano, sulla preghiera, la umma, la formazione religiosa in Islam, le correnti riformiste etc. Il capitolo L’Oriente che prega testimonia un’ammirazione illimitata. Questa comprensione dall’interno rende Abd-el-Jalil molto sensibile alle critiche, spesso giustificate ai suoi occhi, che i musulmani rivolgono al Cristianesimo:

Si potrebbe quasi dire – scrive – che ciò che l’Islam attende dall’Occidente è che sia autenticamente cristiano; attende la realizzazione del vero Cristianesimo […]. Noi cristiani non dobbiamo più permetterci giudizi approssimativi frutto di sguardi affrettati, spesso semplificati e qualche volta interessati. È notevole che il Corano stesso insegni ai musulmani che i cristiani sono dolci, umili, misericordiosi e orientati verso la ricerca della perfezione (Corano 5,82 e 57,27). Dovremmo essere molto esigenti con noi stessi in favore di tutti gli altri credenti, e particolarmente in favore dei musulmani che si aspettano esplicitamente da noi questa mansuetudine, questa umiltà, questa misericordia, questa ricerca della perfezione[9].

Si ritrova qui l’intuizione di Louis Massignon, suo padrino di battesimo, per cui la missione dell’Islam è quella di essere un richiamo radicale e assoluto a Dio, una «lancia evangelica che da tredici secoli imprime le stigmate alla cristianità» e obbliga «i privilegiati di Dio» all’eroismo e alla santità[10].

 

«Nato sulla Difensiva»

Aspects intérieurs de l’Islam riscosse un meritato successo e aiutò il pubblico occidentale a presentire meglio i valori profondi di una religione spesso diffamata perché misconosciuta. L’opera Marie et l’Islam si colloca nella stessa linea, per quanto più erudita. La competenza di Abd-el-Jalil ne farà un conferenziere apprezzato, fino agli anni del Concilio Vaticano II durante i quali sarà esortato a redigere una riflessione sull’atteggiamento pastorale da tenere nei confronti dell’Islam: L’Islam à l’époque du Concile[11]. Il suo approccio molto spirituale si ritrova negli Orientamenti per un dialogo tra cristiani e musulmani, pubblicati dopo il Vaticano II dal Segretariato per i Non-Credenti.

 

Colpito da malattia nel 1964, Padre Abd-el-Jalil morì il 24 novembre 1979. L’elemento più originale nel suo percorso è aver sempre voluto andare «incontro all’anima musulmana», per riprendere il titolo di una bella conferenza tenuta alla Settimana di missiologia di Lovanio nel 1964[12]. Avvicinare l’Islam richiede, a suo modo di vedere, molto tatto e delicatezza perché l’Islam – egli scrive – è nato «sulla difensiva e sulla difensiva resta».

Non ci si può perciò aspettare, di primo acchito, che i musulmani facciano il cammino verso di noi. Il cammino, siamo noi a doverlo fare verso di loro e per intero; a imitazione del resto del Signore: il Verbo non ha fatto soltato una parte del cammino verso l’umanità, ma tutto il cammino.

Invece molti cattolici, osserva Abd-el-Jalil, hanno un approccio all’Islam troppo segnato dalla preoccupazione di «difendere la verità cattolica». «Invece di elevare frontiere per mettere al riparo la Verità, occorre “aprire delle porte”, secondo le espressioni utilizzate dal papa Paolo VI». Di fatto «l’Islam è permesso da Dio», prosegue il francescano, e quando ce ne domandiamo il motivo, dovremmo ascoltare la risposta dei musulmani: «A Lui, non si domanda perché agisce in un certo modo». Piuttosto che un pericolo, cerchiamo di vedervi uno stimolo, un «pungolo», come diceva Massignon, «un cauterio nel fianco della Chiesa perché essa faccia traboccare la carità»[13]. Per essere capaci di andare incontro all’altro, occorre dunque «intensificare la nostra propria religiosità».

 

E Abd-el-Jalil conclude, commentando la parabola dei discepoli di Emmaus: «Dobbiamo farci compagni dei musulmani sul loro cammino; camminare con loro, secondo quanto possiedono di meglio; conoscerli a fondo […]. Ma camminare davanti a loro, perché, senza merito da parte nostra, ci è stata trasmessa la rivelazione del Figlio di Dio»[14]. Questo comporta certamente un prezzo da pagare, come Jean-Mohammed Abd-el-Jalil ben conosceva personalmente, e come riassume riprendendo le parole di Chesterton a proposito di Francesco d’Assisi: «Toccare le anime soltanto con mani di crocifissi». Ecco frasi su cui meditare quando si affronta la relazione cristiani-musulmani prima di tutto nella prospettiva della “reciprocità”. L’incontro con l’altro ha un prezzo. I cristiani sono chiamati a mostrarsi generosi.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

 

Note

[1] Per una biografia più completa e una scelta antologica di testi, cfr. la recente opera M. Borrmans, Jean-Mohammed Abd-el-Jalil, Témoin du Coran et de l’Evangile. De la rupture à la rencontre, Paris, Ed. Franciscaines, 2004, pp. 172.

[2] Citato nella raccolta Jean-Mohammed Abd-el-Jalil, Nouvelles de l’Institut Catholique de Paris, juin 1980, p. 12.

[3] Cfr. Borrmans, op. cit., p. 66.

[4] La bellissima corrispondenza tra i due è stata pubblicata di recente: Massignon-Abd el-Jalil : parrain et filleul, 1926-1962, Correspondence rassemblée et annotée par François Jacquin, Cerf, Paris 2007, pp. 304.

[5] Sull’episodio del suo ritorno in Marocco, cfr. A.-L. de Prémare, Le retour de Jean-Mohammed Abd-el-Jalil au Maroc; En hommage au père Jacques Jomier, o.p., Le Cerf, Paris 2002, pp. 321-341.

[6] J.-M. Abd-el-Jalil, Brève Histoire de la littérature arabe, Maisonneuve, Paris 1943, pp. 310.

[7] J.-M. Abd-el-Jalil, L’Islam et nous. Aperçus et suggestions, in «Nouvelle Revue Théologique», septembre-octobre 1938.

[8] J.-M. Abd-el-Jalil, Aspects intérieurs de l’Islam, Seuil, Paris 1949, pp. 235.

[9] J.-M. Abd-el-Jalil, L’attente des musulmans et l'Occident chrétien, in «Recherches et débats», 1956.

[10] Louis Massignon, L’Hégire d’Ismaël, in Les trois prières d’Abraham, edizione fuori commercio, 1935; ristampa Le Cerf, 1997, pp. 70-71.

[11] Segretariato generale dell’Episcopato, nn. 13-14, agosto 1964, pp. 9.

[12] J.-M. Abd-el-Jalil, À la rencontre de l'âme musulmane, in Approche du non-chrétien, XXXIVe semaine de missiologie de Louvain, Desclée de Brouwer, 1964, pp. 84- 100.

[13] Art. cit., pp. 85, 86 e 88.

[14] Art. cit., p. 96.

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Jean-Jacques Pérennès, Jean-Mohammed, il francescano che veniva dall'Islam, «Oasis», anno IV, n. 7, maggio 2008, pp. 113-116.

 

Riferimento al formato digitale:

Jean-Jacques Pérennès, Jean-Mohammed, il francescano che veniva dall'Islam, «Oasis» [online], pubblicato il 1 maggio 2008, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/jean-mohammed-il-francescano-che-veniva-dall-islam.

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