«Siamo una sola Chiesa, non una confederazione di Chiese. […] Ma è vero che in alcune chiese locali c’è la tendenza ad assumere un punto di vista molto limitato». La particolare esperienza vissuta dall’ortodossia albanese, annientata dal comunismo e risorta grazie all’aiuto delle Chiese sorelle, l’ha condotta a sviluppare un’ecclesiologia caratteristica, accompagnata da un pronunciato spirito missionario. Una testimonianza della varietà interna al mondo ortodosso.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:37:36

In Albania i confini tra le comunità religiose appaiono sfumati e porosi. Questo vale anche per la Chiesa ortodossa o si tratta di una realtà essenzialmente etnica? Possiamo metterla così: nella nostra Chiesa, nel 25-30% circa dei matrimoni celebrati uno dei due coniugi non proviene da un background ortodosso, perciò molte persone si uniscono alla nostra comunità attraverso il battesimo. In questo caso però non possiamo parlare di una vera e propria conversione da un’altra religione perché queste persone si identificavano semplicemente con il loro background religioso ma non credevano e non praticavano alcuna religione. Lo stesso vale per me: anch’io non provengo da un ambiente ortodosso, anche se al tempo del comunismo non sapevamo molto della religione. Avevo 22 anni quando il regime è crollato. Mi sono sempre sentito attratto dal Cristianesimo e dalla vita monastica, perciò ho iniziato a frequentare la chiesa fin dall’inizio. Questo era molto comune a quell’epoca: c’era molta curiosità e voglia di conoscere la religione, per noi tutto era nuovo. Per certi versi, questo vale anche per i giovani d’oggi, che sono alla ricerca e sentono il bisogno di conoscere di più. Dall’altro lato vi è ancora la necessità d’istruzione e informazione religiosa visto che alle vecchie generazioni è stato impedito di imparare e praticare la religione. Venticinque anni dopo la caduta del comunismo la mentalità e il modo di pensare non sono granché cambiati. C’è ancora molto lavoro da fare specialmente con le giovani generazioni che si trovano di fronte molte sfide e devono essere preparati per poterle affrontare nel modo giusto e con il giusto spirito. In che situazione si trovava la Chiesa ortodossa quando il regime è caduto? La situazione era disperata. Tutti i nostri vescovi erano morti e solo uno sparuto gruppo di preti era sopravvissuto. Alcuni di questi non erano nelle condizioni di far fronte alla grande quantità di bisogni che si presentavano a quell’epoca. L’unica speranza veniva dall’estero, soprattutto dal Patriarcato ecumenico, la nostra Chiesa madre dalla quale ci siamo resi indipendenti (autocefalia). A quel tempo, nel ’91-’92, il Patriarcato di Costantinopoli inviò in qualità di Esarca Sua Grazia il Metropolita di Eliopoli e Theira, Anastasio, attuale Arcivescovo, per vedere com’era la situazione e iniziare a organizzare la Chiesa. Una delle prime cose che fece Anastasio fu aprire il seminario ortodosso per istruire e preparare la nuova generazione del clero. Ma siccome il regime comunista non aveva risparmiato nessuna struttura, abbiamo dovuto prendere in affitto un vecchio hotel sulla spiaggia fino al momento in cui abbiamo avuto il nostro complesso a Shen Vlash, vicino a Durazzo. Il fatto che l’Esarca fosse di origine greca destò sospetti tra alcune persone a causa dei conflitti intercorsi tra i due Paesi in passato, sospetti che purtroppo si sono rivelati difficili da superare e hanno creato inutili tensioni anche all’interno della Chiesa. Ma per fortuna queste persone sono una minoranza. Nel giugno 1992 Anastasios fu eletto dal Patriarcato di Costantinopoli Arcivescovo di Tirana e di tutta l’Albania; nel 1998 avevamo già costituito un Sinodo e poco dopo furono ordinati altri vescovi. Oggi siamo otto vescovi, di cui quattro albanesi. In questi 24 anni, sotto la leadership dell’Arcivescovo Anastasio e del Santo Sinodo abbiamo conseguito molti risultati. Sono stati formati e ordinati circa 150 nuovi preti albanesi, che prestano servizio in tutto il Paese in 400 parrocchie. Nelle maggiori città sono state costruite diverse nuove cattedrali e chiese, circa 168. Sono stati ristrutturati 70 monasteri e chiese e 160 sono state ricostruite. La Chiesa ortodossa oggi è molto viva e offre il suo contributo nell’ambito della sanità, dell’istruzione, dello sviluppo agricolo e delle iniziative culturali. L’esperienza di ricostruire una chiesa quasi dal nulla potrebbe avere un impatto anche sull’ecclesiologia, la tradizionale pietra d’inciampo tra cattolici e ortodossi. La Chiesa in Albania è autocefala, ma quando la persecuzione è finita ha dovuto rivolgersi a un’istanza esterna per ricostruirsi visto che non era sopravvissuto nessun Vescovo. I cattolici si sono rivolti a Roma e Giovanni Paolo II ha ordinato i primi vescovi nel 1993 durante la sua visita. Gli ortodossi hanno chiesto aiuto a Costantinopoli. Questo non significa forse che una Chiesa locale, riunita attorno al suo Vescovo, non può sussistere senza avere una realtà superiore di riferimento? Nella concezione ecclesiastica noi siamo una sola Chiesa, non una confederazione di Chiese separate. Nel Credo non diciamo «credo la chiesa, una, santa cattolica e apostolica»? È vero che in alcune Chiese ortodosse locali c’è la tendenza ad assumere un punto di vista ristretto. Ma questa non è la nostra esperienza in Albania, forse a causa della nostra storia recente. La missione è stata la principale preoccupazione dell’Arcivescovo fin dall’inizio della sua formazione in Grecia. Dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1964, ha lasciato il Paese e ha trascorso molti anni in Africa orientale, Kenya, Uganda e Tanzania. L’Arcivescovo ha insistito sul fatto che le Chiese ortodosse non devono dimenticare l’ultimo comandamento di Cristo: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli». In Africa ha cercato d’istituire una Chiesa locale con responsabili locali, poi dall’Africa è stato chiamato in Albania. Anche ora non ha perso il senso missionario e ha stabilito che il 10% delle entrate della nostra Chiesa siano distribuiti tra le Chiese ortodosse più in difficoltà al mondo. È stato anche molto chiaro sul fatto che la Chiesa ortodossa in Albania è una. Oltre ai fedeli di origine albanese, abbiamo alcune comunità di tradizione greca e slava. Pur essendo autorizzate a celebrare nella propria lingua, sono parte della Chiesa albanese e non fanno riferimento ad Atene o a Belgrado. Nell’ecumenismo si assiste spesso a una sorta di paradosso. I rapporti tra i rappresentanti delle Chiese sono generalmente molto buoni a livello personale, ma questo non corrisponde ancora a un reale progresso nel dialogo teologico. Per noi è importante e prioritaria una buona amicizia a livello personale. Non è sufficiente essere coinvolti nelle discussioni teologiche ed etiche. D’altra parte, a causa dei molti problemi creati dal regime precedente e per via delle esigenze che ogni comunità religiosa ha qui in Albania, ci siamo concentrati maggiormente sulle nostre situazioni e sulle nostre difficoltà. Questo è stato reso possibile dal clima religioso buono che si respira nel Paese, dove le persone si rispettano le une le altre pur avendo credenze diverse. Per questa ragione non c’era veramente motivo di confrontarci sul piano interreligioso e ci siamo concentrati maggiormente sui bisogni spirituali dei nostri fedeli. Ciononostante, come Chiesa, siamo molto impegnati anche a livello internazionale. L’Arcivescovo è Presidente onorario di Religions for Peace ed è stato anche Presidente del World Council of Churches. Partecipiamo anche alle varie conferenze interreligiose come quella organizzata da Sant’Egidio. Che cosa pensa della visita di Papa Francesco? È stato un fatto che ha riguardato solo la Chiesa cattolica? Assolutamente no. Papa Francesco ha fatto sentire la gente rispettata e valorizzata, mentre di solito gli albanesi si percepiscono ai margini dell’Europa. C’era una bella atmosfera. Per noi ortodossi è stato un motivo di gioia il fatto che la visita del Papa sia giunta dopo l’inaugurazione della nostra nuova Cattedrale di Tirana e le visite di molti Primati ortodossi. In un certo senso, Tirana e l’Albania sono diventate, almeno per due giorni, il centro sia per gli ortodossi sia per i cattolici. Eppure la dimensione esatta della Chiesa ortodossa è controversa. Il censimento del 2011 è una questione disputata e noi abbiamo mostrato molto chiaramente come i numeri usciti da quel censimento non riflettano la realtà. Secondo il censimento gli ortodossi in Albania sarebbero solo il 6,7%, mentre secondo le stime precedenti, risalenti al periodo italiano e anche a prima, erano oltre il 20%. Lo stesso vale per i Bektashi che sono stati grandemente sottostimati: dal 14% del censimento italiano, ora sono dichiarati intorno al 2%. L’atmosfera prima del censimento era molto tesa a causa di alcuni partiti nazionalisti estremisti che erano contrari alla dichiarazione di appartenenza religiosa e, più precisamente, a quella ortodossa. Ciò ha provocato una forma di boicottaggio di massa da parte degli ortodossi. Durante il censimento ci sono state anche molte irregolarità che noi abbiamo potuto provare chiaramente con il nostro questionario, dal quale emerge che oltre il 60% dei nostri fedeli non sono stati interpellati dagli incaricati del censimento. Secondo la nostra stima gli ortodossi in Albania sono circa il 22-25% della popolazione. Abbiamo rilasciato una dichiarazione sul “genocidio di numeri” e speriamo che questo grave errore sia corretto in futuro.