Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:12

Come vicario provinciale per i Domenicani del Medio Oriente da ormai 15 anni visito annualmente l’Iraq. Dopo gli ultimi sviluppi parlo con i miei confratelli quasi ogni giorno e da loro mi viene un continuo appello: «noi adesso non possiamo parlare, ma voi avete l’obbligo di denunciare la situazione in cui viviamo, drammaticamente peggiorata negli ultimi mesi». Oggi, molti cristiani hanno la tentazione di fuggire, e si capisce bene perché. Molti di loro sono già in Giordania, Siria o Turchia. La nostra presenza in Iraq, come domenicani, iniziata 250 anni fa, ora è estremamente a rischio. C’è una sfida molto importante: rimanere sul posto, come Chiese orientali, che hanno radici antiche e costituiscono una ricchezza per la chiesa universale. Ora la Chiesa si interroga su dove andare, se muoversi verso il Kurdistan, dove pare ci sia più tranquillità, ma con il rischio di finire sotto il controllo dei curdi. Certo è che non bisogna cadere nella trappola del pessimismo. La sopravvivenza è un problema anche per gli iracheni musulmani che vogliono una società aperta, tollerante, pluralista. Non è solo un problema per i cristiani. Dobbiamo continuare a pensare ai fratelli iracheni, senza perdere la volontà di analizzare con lucidità la situazione e cercare soluzioni nel realismo della speranza. Quella speranza che viene per esempio da esperienze come quella che viviamo all’IDEO (Institut Dominicain d’Etudes Orientales http://www.ideo-cairo.org ) al Cairo: giungono qui ricercatori quasi tutti musulmani, nella maggioranza dei casi molto tradizionalisti. Nel loro modo di lavorare, porre domande e fare ricerca riscontro il vivo desiderio di cambiare le cose nella loro società, come è stato all’inizio della modernità in Occidente; studiano Hobbes e diversi autori per capire qual è stato il nostro percorso. Per noi è un lavoro molto interessante accompagnare questi ricercatori, lasciarci interrogare e sorprendere dalla loro curiosità, ma sempre rispettando la loro libertà. Rilancio una formula nota: «Cerchiamo di muovere le frontiere». Il nostro confratello Anawati usava dire che nel campo del dialogo interreligioso ci vuole una “pazienza geologica”. Con questa pazienza e speranza, messo da parte il pessimismo, possiamo compiere piccoli passi avanti.