Cosa resta della visita del Papa in Libano: un primo bilancio.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:40:30

Domenica 16 settembre Beirut si è risvegliata invasa dai canti dei pellegrini. Centinaia di migliaia di persone si sono riversate da ogni parte del Paese, ma anche dalla vicina Siria, dalla Giordania e dall’Iraq, per partecipare alla Messa con Benedetto XVI. La scena era impressionante: strade totalmente sgombre dalle auto (fatto quasi incredibile per la congestionata capitale libanese), cori e sventolio di bandiere vaticane e libanesi nel cuore del Central District, la capitale finanziaria del Paese, ricostruita completamente dopo le devastazioni della guerra. E per finire, un enorme altare a forma di cedro, tirato su a due passi dalla famosa marina. Questa visibilità dei cristiani è ciò che rende unico il Libano nella regione. In cifre assolute i cristiani sono più numerosi sia in Egitto che in Siria, ma è soltanto qui che la loro presenza pubblica può dispiegarsi in tutte le sue dimensioni. È questo il cuore del Patto nazionale, rinnovato dagli accordi di Taif dopo la fine della guerra civile: che cioè cristiani e musulmani agiscono nella vita politica su un piano di parità. Segno tangibile di questo accordo è la libertà religiosa che proprio un libanese, Charles Malik, volle inserire nella Dichiarazione dei Diritti umani del 1948 in una formulazione univoca che comprendesse la possibilità di cambiare fede. Ovviamente il sistema conosce alti e bassi e ogni comunità è sempre tentata di misurare le proprie forze rispetto alle altre: è per questo che non c’è alcun censimento recente della popolazione. Così c’era il rischio che anche la Messa sul waterfront di Beirut diventasse l’occasione per una conta. Non è stato così. I pellegrini hanno preso alla lettera lo slogan della visita: «Vi lascio la mia pace». E dai loro gesti, come anche dai commenti di questi tre intensissimi giorni, è emerso con chiarezza che questo è il desiderio della grande maggioranza dei libanesi, cristiani e musulmani. «Il Papa unisce il Libano e lo affida ai giovani» titola oggi il quotidiano an-Nahar, mentre il suo rivale as-Safir parla del fondamentalismo «che minaccia tutti». In questo senso – spiega Antoine Messarra, membro del Consiglio costituzionale libanese e da sempre impegnato nel dialogo islamo-cristiano – la visita del Papa è stata provvidenziale perché ha contribuito a dissolvere un circolo vizioso «di religioni che fanno paura e di religioni impaurite». Una visione audace quella di Messarra, visto che a un’ora di macchina da Beirut, a Tripoli, gli scontri per il film su Muhammad hanno lasciato sul terreno un morto e decine di feriti; ma quanto meno una visione che rimette in moto, liberando energie bloccate. «Godiamoci questo momento di concordia nazionale» gli fa eco Georges Corm, storico, già ministro delle finanze: «in un momento così oscuro non è poco». Anche la lettera che il mufti della repubblicana Qabbani, la più alta autorità sunnita, ha consegnato al Papa va ben oltre il gesto di cortesia: «musulmani e cristiani – così la lettera – hanno gli stessi diritti e doveri». E un caloroso benvenuto era stato rivolto al Papa anche dagli esponenti sciiti. Un successo politico su tutta la linea, dunque? Sì, ma le letture della domenica, da cui ha preso le mosse l’omelia del Papa, hanno ricordato ai fedeli presenti che non ci si può fermare a questo. Pietro riconosce in Gesù il Messia, ma non accetta la croce. «Annunciando ai suoi discepoli che dovrà soffrire, essere messo a morte prima di risuscitare, Gesù vuol far loro comprendere chi Egli è in verità. Un Messia sofferente, un Messia servo, e non un liberatore politico onnipotente». Così – ha aggiunto il Papa – «la vocazione della Chiesa e del cristiano è di servire, come il Signore stesso ha fatto, gratuitamente e per tutti, senza distinzione. Così, servire la giustizia e la pace, in un mondo dove la violenza non cessa di estendere il suo corteo di morte e di distruzione, è un’urgenza». E durante la recita dell’Angelus Benedetto XVI è tornato sulla Siria, insistendo con parole forti sul rispetto della dignità umana. «Chi vuole vedere la pace deve smettere di vedere nell’altro un male da eliminare». Poi la folla si è sciolta, ripassando nei pressi della moschea di Hariri proprio mentre risuonava l’appello alla preghiera del mezzogiorno. Salendo sui minibus che li riportavano a casa, i libanesi trovavano il tempo per scattare le ultime foto, dopo tre giorni di una visita che già tutti definiscono “storica”. Hanno ampio materiale su cui riflettere. E noi con loro.