Per reggere l’urto degli avvenimenti che stanno scuotendo il Medio Oriente, il Libano è chiamato a riformare le proprie istituzioni, abbandonando la logica confessionale su cui esse si fondano e ripensando il patto di convivenza tra le diverse comunità che lo compongono.

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:38:15

Gli ultimi sviluppi intervenuti sulla scena libanese (enorme difficoltà nella formazione del nuovo governo, problemi dei rifugiati siriani, aggravarsi della crisi sociale ed economica, insicurezza endemica, frattura tra musulmani sunniti e sciiti, consistente coinvolgimento di Hezbollah in Siria) non sono un fatto accidentale ma dipendono dalla crisi senza fine dello stesso sistema politico confessionale. Essi mostrano con la loro incidenza che i libanesi devono trovare al più presto un’uscita da una crisi politica prodotta dalla combinazione di due fattori: un sistema in cui prevale una logica confessionale tra le diverse comunità libanesi, che sono ostaggio di politici di ogni provenienza con la complicità di alcuni dignitari religiosi, e le sollecitazioni esplicite di intervento rivolte a forze esterne generalmente antagoniste, ciò che non fa che esacerbare i contrasti e le accuse reciproche tra le parti libanesi.

L’àncora di salvezza non può essere che una reinvenzione dell’identità libanese, o meglio della famosa libanesità, concetto coniato da Choukri Ghanem, celebre letterato dell’inizio del XX secolo (1861-1930). Oggi, tale identità non è niente meno che “un’Arca di Noè” al di fuori della quale i libanesi sarebbero probabilmente travolti dal diluvio che imperversa nella regione e che comincia lasciare le tracce sia sul futuro delle anime che sull’insieme delle relazioni sociali. Tuttavia l’adesione al Libano e l’integrazione dell’identità libanese all’interno di ogni comunità esige un’inversione di rotta da parte di tutte le forze politiche esistenti. Occorre che i componenti dell’8 Marzo, soprattutto i partiti sciiti, accettino di essere integrati allo Stato e di concedere la propria fiducia alle forze di sicurezza, che negli ultimi tempi hanno messo a segno punti decisivi, formulando una posizione chiara rispetto al futuro dei propri gruppi militari e delle loro richieste politiche. La volontà politica di negoziare in buona fede è necessaria a questo livello. Non bisogna ripetere l’esempio della dichiarazione di Baabda, che, pubblicata l’11 giugno 2012 dai partecipanti al tavolo del dialogo tra libanesi, aveva posto le basi di una nuova intesa politica e di una roadmap condivisa, ma è stata rinnegata dopo aver ottenuto l’avallo di tutti.

Diventa perciò inevitabile che il 14 Marzo, soprattutto nelle sue componenti sunnite, accetti una riforma profonda delle istituzioni dello Stato, che includa anche una riconfigurazione più razionale del potere, oltre gli accordi di Taef, superando così il modello che è stato applicato sotto la tutela siriana e che faceva del sistema politico libanese un semplice ostaggio tra le mani di un grande fratello o di una grande sorella. Non basta più proclamare l’obbligo di adesione e di appartenenza allo Stato, occorre presentare la visione di uno Stato capace di funzionare e di realizzare gli interessi dei libanesi.

 

Il ruolo dei cristiani

I cristiani sono chiamati a dare un “contenuto aperto al futuro e d’avanguardia” alle loro scelte storiche, perché non possono riposare sugli allori facendo valere il merito di aver fondato il Libano moderno. L’incrollabile attaccamento dei cristiani al Libano, patria del presente, dovrà tradursi nell’elaborazione di un progetto per il futuro. Quest’ultimo dovrà ruotare intorno a una scelta, lucida e coraggiosa, sul fondamento della legittimità del potere, superando l’attaccamento a ogni costo alla divisione confessionale del potere e optando per la cittadinanza consensuale che sta al cuore delle rivendicazioni delle rivoluzioni arabe, nonostante le derive più infelici. La ferma volontà dei cristiani, verso tutti e contro tutto, di fondare il potere sulla sola adesione di tutti a un insieme di valori sociali e politici condivisi farà della loro scelta un sfida per tutti. I cristiani sono riusciti, nonostante le regressioni, a incarnare il principio di un potere fondato sul consenso e a continuare a proporlo a tutti i loro concittadini.

È una scelta che ha dovuto opporsi per molto tempo all’opzione del potere minoritario e totalitario: canti stridenti di sirene che hanno assordato a lungo la nostra regione, in nome di cause in cui il fittizio e il legittimo si confondono. Il dramma siriano è la prova tragica dei pericoli di tale scelta e dei loro orizzonti sinistri. Le implicazioni dello strazio siriano per il Libano e in Libano devono spingere le forze politiche a ripensare le proprie scelte. Il coinvolgimento dei libanesi in Siria non può che avvenire ad opera dello Stato, ed essere perciò non partigiano. Deve essere incentrato sulla mediazione e dunque esortare alla riconciliazione e al risanamento dello Stato vicino. Le forze politiche dovrebbero abbandonare la chimera di una vittoria di uno dei due campi della guerra civile siriana, fondata sull’idea che tale vittoria potrebbe costituire una risorsa da far valere nel nostro gioco politico interno.

Indipendentemente dall’impatto che potrebbe avere l’intervento di un gruppo di libanesi in questa carneficina, è meglio che i siriani ricordino, sia nel futuro prossimo che in quello lontano, che i loro vicini hanno agito solo per risparmiare loro questa spaventosa discesa all’inferno. Il Libano ha tutto l’interesse ad agire in questo modo per far diminuire il peso dei rifugiati siriani sul suo territorio e per aiutarli a tornare il più presto possibile nelle loro città e villaggi. Che cosa diventerebbe il Libano se l’ondata di rifugiati siriani si insediasse stabilmente in Libano, quando il Libano non è mai riuscito a farsi carico della presenza dei rifugiati palestinesi? Il Libano ha una missione storica alla quale deve restare fedele: essere un Paese portatore dei valori di convivenza, rispetto della diversità, e dei diritti di ciascuno e di ogni comunità.

È importante aiutare i libanesi a spianare la strada che essi dovranno attraversare e che porterà le istituzioni dello Stato dalla fase confessionale in cui si trovano al traguardo di un moderno Stato di diritto. È un percorso complesso, che comporta una sicura dimensione educativa e che ha un aspetto sociale, al livello dell’evoluzione dei costumi e del comportamento politico, soprattutto nelle giovani generazioni. Occorrerà anche assicurare che le comunità libanesi, senza eccezioni, godano delle garanzie politiche e costituzionali relative ai loro diritti e al loro futuro. Ancora il Libano, sì! Perché il suo ruolo è più che mai determinante per la regione e per la necessità di uscire dalla guerra e dalle violenze. Per questo dovrà fare un passo verso una nuova primavera.