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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:52:22

Autore: Rafiq Zakaria Titolo: Indian Muslims. Where have they gone wrong? Editore: Popular Prakashan and Bharatiya Vidya Bhavan L'autore di questo libro, Rafiq Zakaria, recentemente scomparso, scelse come musulmano di restare in India. Desiderando che il Paese restasse unito dopo la partenza degli inglesi nel qual caso i musulmani costituirebbero oggi il 33% della popolazione , si oppose alla teoria secondo la quale gli indù ed i musulmani avrebbero costituito due nazioni. Rafiq ed altri musulmani nel 1947 non riuscirono a mantenere unita l'India: nel subcontinente fu ritagliato il Pakistan, con una parte occidentale ed una orientale che, separata da più di mille chilometri di India, divenne più tardi (nel 1971) la repubblica indipendente del Bangladesh. Gli indù in India reagirono negativamente alla spartizione e, come Rafiq ed altri musulmani rimasti avevano anticipato, i musulmani avvertirono (e fino ad oggi avvertono) l'ostilità degli indù, pur non essendo colpevoli della spartizione. Oggi poi la tradizionale tolleranza indù è stata messa in crisi da piccoli gruppi violenti e rumorosi che insegnano l'odio, l'intolleranza e la persecuzione dei musulmani. Organizzazioni come Hindu Mahasabha, Rashtriya, Swayamsevak, Sangh (RSS), Shiv Sena, Vishwa Hindu Parishad e Banjarang Dal sono cresciute negli anni con le loro istanze antimusulmane, mentre il Bharatuya Janata Party (BJP) si mostra indulgente verso queste formazioni militanti indù. Che cosa dunque dovrebbero fare i musulmani in India, dal momento che non sono riusciti a mantenere unito il Paese? Rafiq pensa che non debbano cercare di rispondere alle provocazioni; invita piuttosto al dialogo con gli indù per cancellare alcune concezioni errate che andrebbero corrette. Rafiq propone un elenco di queste letture erronee: 1. L'Islam incoraggia la distruzione degli idoli 2. Il Corano permette la distruzione dei luoghi di culto 3. L'Islam non concede libertà di culto 4. L'Islam crede unicamente nella fratellanza tra musulmani, non nella fratellanza universale 5. Il Corano non riconosce i grandi sapienti nati in India 6. L'Islam non incoraggia i musulmani alla fedeltà nei confronti di un paese in cui siano numericamente in minoranza 7. L'Islam tratta gli indù come kafir (infedeli) 8. L'Islam impone ai musulmani di condurre guerra perpetua (jihad) contro i kafir. 9. Secondo l'Islam, musulmani e nonmusulmani non vanno trattati in maniera uguale dallo Stato, come prova l'esempio del testatico (jizya) 10. L'Islam permette la poligamia Il problema è alquanto complesso perché, anche se Rafiq cita versetti coranici contro tutte e dieci le concezioni appena citate, esistono altri musulmani (dentro e fuori dell'India) che sarebbero in grado di citare altri versetti coranici a favore di queste "concezioni errate". Pertanto Rafiq è costretto a difendere il suo punto di vista affermando due cose: primo, che quei versetti coranici che sembrano sostenere le nozioni sopracitate non vanno letti da soli, ma alla luce degli insegnamenti fondamentali dell'Islam. Secondo, che i precetti radicati in uno specifico contesto storico e sociale non possono essere applicati ciecamente alla realtà attuale. Rafiq ritiene che queste "cattive interpretazioni", tramandate come eredità dell'Islam storico, siano la risultante delle azioni ed omissioni di alcuni governanti musulmani e in quanto tali non godano di alcun carattere sacro. Rafiq rifiuta il terrorismo come anti-islamico e mostra quanto i musulmani indiani abbiano a soffrire dall'identificazione della loro religione con il terrorismo. Riguardo alla vexata quaestio del Kashmir, egli lo sente come una parte dell'India ed alle Nazioni Unite difese con foga questa posizione, tanto da spingere Zulfiqar Ali Bhutto, l'allora ministro degli esteri pakistano, ad abbandonare la seduta definendo Rafiq un "traditore". Come dunque possono sopravvivere i musulmani in India, nonostante Pakistan e Bangladesh abbiano sottratto due terzi dei musulmani dell'India indivisa? Rafiq ha una sola risposta: educazione. Egli mostra come ovunque ed in ogni tempo le minoranze siano sopravvissute per merito dell'educazione. Il suo esempio principale è costituito dagli ebrei, che, grazie alla loro cura nell'educazione, vantano il maggior numero di vincitori di premi Nobel. Rafiq non crede nell'utilità di mendicare dal governo favori e privilegi. Le promesse dei politici (anche musulmani indiani) raramente sono mantenute. Persino le relazioni della commissione governativa, pensate come raccomandazioni per un miglioramento della condizione dei musulmani, non sono state attuate. L'ultimo capitolo del libro (sezione dodici) cita il famoso editto dell'imperatore buddista Ashoka che governò dal 273 al 232 a.C. (editti sulla roccia 7 e 8): «Il re Priyadarsi (Ashoka), il prediletto degli dei, desidera che tutte le sette religiose vivano armoniosamente in ogni parte dei suoi domini. Esse aspirano tutte a raggiungere il controllo di sé e la purezza di pensiero. Tuttavia gli uomini hanno diverse inclinazioni e diverse passioni e così compiono tutti i loro doveri o solo una parte di essi. Nondimeno, se una persona pratica grande generosità ma non possiede controllo di sé, purezza di pensiero, gratitudine ed una ferma devozione, costui è di ben scarso valore. Il re Priyadarsi, il prediletto degli dei, onora gli uomini di tutte le comunità religiose con doni ed omaggi di vario tipo, senza badare alla loro condizione, se siano asceti o capifamiglia. Ma il prediletto degli dei né le offerte di doni né gli omaggi delle persone valuta quanto la crescita degli elementi essenziali del dharma tra gli uomini di tutte le sette. Questa crescita degli elementi essenziali del dharma è possibile in vari modi, ma la radice si trova nel controllo della parola, il che significa che non si dovrebbe esaltare la propria setta o sminuire le altre in occasioni sconvenienti. Al contrario, le altre sette dovrebbero essere onorate secondo quanto s'addice, in ogni modo, in ogni occasione. Se uno agisce in questa maniera, non solo promuove la propria setta, ma reca beneficio anche alle altre. Ma se agisce altrimenti, non solo nuoce alla propria setta, ma reca danno anche alle altre. In verità, se uno esalta la propria setta o sminuisce le altre con lo scopo di glorificare la propria, principalmente a causa del suo attaccamento ad essa, con il suo agire egli nuoce gravemente ad essa. Pertanto saper controllare la parola è raccomandabile e le persone dovrebbero apprendere e rispettare il nucleo fondamentale del dharma altrui. Questo dunque è il desiderio del prediletto degli dei, che persone di tutte le sette si istruiscano nelle dottrine delle differenti religioni ed acquisiscano conoscenza pura. E coloro che sono legati alle loro rispettive sette siano informati come segue: "Il prediletto degli dei né le offerte di doni né gli omaggi delle persone valuta quanto la crescita degli elementi essenziali del dharma tra gli uomini di tutte le sette"». Grazie a questa Magna Charta della tolleranza, Ashoka riuscì ad unire quasi tutta l'India. Rafiq lamenta che l'intolleranza l'abbia smembrata in diverse parti, con religioni, sette, caste e classi ulteriormente divise tra loro. Cita poeti e capi religiosi indiani - indù e musulmani - che propugnano unità ed armonia. Benché la conflittuale situazione presente faccia suonare questi auspici come un sogno, Rafiq si adopera per renderli realtà ed incoraggia altri (indù e musulmani) ad operare insieme per raggiungere questo obiettivo.

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