Paolo Gomarasca, Meticciato: convivenza o confusione?, Marcianum Press, Venezia 2009

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:49

Mai come oggi i flussi migratori sono intensissimi e le culture in condizioni favorevoli alla mescolanza; ma la politica del multiculturalismo è in grado di realizzare solo una società di coesistenti. I limiti del multiculturalismo sono, per esempio, la mera giustapposizione delle culture, la celebrazione del mero fatto della differenza e la riduzione di tutte le istituzioni a soggetti eticamente neutrali. Il risultato è che alcuni ritengono ormai che, invece di cercare un bene comune inclusivo, ognuno farebbe meglio a preoccuparsi di affermare il valore esclusivo del proprio gruppo. Paolo Gomarasca – Ricercatore in Filosofia morale alla Cattolica di Milano – nel presente testo (erudito ed insieme accessibile anche ai non specialisti), verifica piuttosto la possibilità del meticciato (una categoria su cui ha invitato a riflettere il cardinal Scola), quale riuscita e feconda mescolanza tra persone e culture. Ora, secondo l’interpretazione pervasiva di Foucalt, l’Occidente tenta, per lo meno dall’epoca della conquista del Nuovo Mondo, di inglobare il diverso e di assimilarlo violentemente. Gomarasca esamina appunto la visione foucaltiana, poi riflette sulla categoria di meticciato e sulle quelle scienze etno-antropologiche che celebrano relativisticamente il miscuglio delle differenze e la confusione delle identità; da ultimo sgancia la nozione di meticciato dalla polemica anticolonialista e la riconnette col bisogno umano più cruciale, quello di essere riconosciuti dagli altri. Come dice a ragione l’autore, l’Occidente non è per forza assimilazionista, bensì capace, almeno in certi casi, di incontrare l’altro da sé senza ridurlo a sé; anzi, il meticciato non sarebbe stato possibile senza l’affermazione dell’umanità, dignità e libertà degli indios. Questa concezione è stata promossa dalla Chiesa cattolica che insegnava a vedere nell’indio un essere ad immagine e somiglianza di Dio e – soprattutto coi Concili provinciali di Lima (1583) e México (1585) – prescriveva ai missionari di imparare le lingue locali. Ben diverso e intriso di razzismo è stato invece il colonialismo dei protestanti in America del nord ed Africa del sud. Soprattutto ispirandosi (ma anche procedendo oltre) a Hegel, Gomarasca insite sulla categoria del riconoscimento: l’essere umano ha un bisogno cruciale di stare in relazione con l’altro, di essere apprezzato, confermato nel suo valore, e la relazione è antropogena. Il primo e paradigmatico luogo del riconoscimento è la famiglia (quando è sana), dove si danno relazioni di amore, fiducia e comunione attraverso le quali il singolo matura la propria identità ed autostima. Ma anche nella società civile non è necessario che tutto segua la logica utilitarista: lo dimostra l’esistenza delle associazioni ed agenzie del “privato sociale”, che sono capaci di solidarietà. Del resto, con Habermas (lo diceva già Böckenförde) Gomarasca sostiene molto opportunamente che lo Stato vive di risorse pre-statali, di un capitale di comportamenti sociali per i quali è debitore a questi soggetti, in primis la famiglia. E, per questo capitale sociale, è decisivo il ruolo pubblico delle religioni (in particolare, del cristianesimo). Da ultimo, Gomarasca giunge a questo traguardo: si può promuovere la diversità solo se si evidenzia anche una qualche unità, perchè solo se i diversi hanno qualcosa in comune è possibile evitare la loro disseminazione caotica, senza volere nemmeno la loro omogeneizzazione. Si tratta di riprendere la figura dell’analogia, che tiene insieme identità e differenze, facendo luce sulla “parentela ontologica” di tutti gli esseri umani, che li fa tutti co-appartenere all’essere. Il frutto di un sano meticciato è eminentemente nei figli della famiglie miste, che possono riuscire a tessere insieme le due culture d’origine dei genitori, e possono operare un prezioso lavoro di mediazione e traduzione.