Verso l’assemblea dei vescovi per il Medio Oriente. Il tema scelto indica il problema fondamentale della Chiesa in una regione caratterizzata da un aspro e profondo conflitto. Da un lato le divisioni, dall’altro l’emigrazione: è in gioco la presenza stessa dei cristiani nella loro patria d’origine.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:40

L'iniziativa di un Sinodo speciale per il Medio Oriente è venuta dal Vescovo iracheno di Kirkuk dei Caldei, Louis Sako. È stato lui a contattare gli altri Vescovi della regione cercando il loro appoggio. Nel gennaio 2009 Mons. Sako ha presentato la richiesta al Santo Padre. Il 19 settembre del 2009 Papa Benedetto XVI ha incontrato i Patriarchi cattolici a Castel Gandolfo e ha dato il seguente annuncio: «Colgo pertanto l’occasione per dare l’annuncio dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente, da me convocata e che si terrà dal 10 al 24 ottobre 2010, sul tema “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza: ‘La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola’ (At 4,32)”». Immediatamente dopo l’annuncio è stato creato un Consiglio presinodale. Il suo secondo incontro si è tenuto a Roma il 24 e 25 novembre 2009. Successivamente è stata preparata la versione finale dei lineamenta. Il comunicato dell’Ufficio Stampa della Santa Sede emesso in quell’occasione recitava:  «I partecipanti all’incontro hanno prestato molta attenzione al tema dell’approfondimento della comunione nella Chiesa cattolica e, in particolare, nelle e tra le Chiese patriarcali e il Patriarcato latino di Gerusalemme, come pure nelle Conferenze episcopali dei Paesi del Medio Oriente. È estremamente importante favorire sempre più la comunione, reale sebbene ancora non piena, con le altre Chiese e comunità ecclesiali». Alla fine i Lineamenta sono stati ufficialmente presentati il 19 gennaio 2010 in arabo, francese, inglese e italiano. Nonostante la nozione di “Medio Oriente” non sia mai stata chiaramente definita, attraverso di essa facciamo normalmente riferimento ai paesi della “Mezzaluna Fertile” (Palestina, Israele, Libano, Giordania, Siria, Iraq), della penisola arabica (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Yemen) e a Egitto, Cipro e Iran. Spesso vi si include anche la Turchia. La complessità della Chiesa Cattolica nella regione risulta evidente se si osserva la composizione del Consiglio presinodale, composto di sette Patriarchi, che rappresentano le sei Chiese Patriarcali e il Patriarcato Latino di Gerusalemme, e da due Presidenti di Conferenze episcopali. I sei Patriarcati (non-latini) sono quello Copto, Greco-Melchita, Maronita, Siriaco, Armeno e Caldeo.  Il tema del Sinodo “Comunione e Testimonianza” indica indirettamente il problema fondamentale della regione: la comunione e la testimonianza della Chiesa sono messe a dura prova in un ambiente di profondo conflitto sociale, politico e religioso. Infatti, il primo capitolo dei Lineamenta, intitolato “la Chiesa Cattolica in Medio Oriente” parla apertamente dei problemi che i cristiani della regione devono affrontare e per i quali non possono semplicemente attribuire la responsabilità ad altri. Le divisioni e i conflitti tra i cristiani per lungo tempo sono stati tutto tranne che una prova di “comunione e testimonianza” e possono essere considerati una delle ragioni che spiegano perché l’Islam si sia diffuso così potentemente in regioni in precedenza quasi esclusivamente cristiane. In tempi più recenti, per ragioni legate a problemi economici e a discriminazioni politiche e religiose, in molti paesi del Medio Oriente i cristiani hanno avuto la tendenza a emigrare. Ciò significa che a essere finalmente in gioco è la presenza dei cristiani nella loro patria d’origine. Ovviamente tali sviluppi riguardano la Chiesa nel suo complesso e diventano un’autentica preoccupazione per le autorità della regione.  I Lineamenta partono dalla ricca tradizione del Cristianesimo in Medio Oriente, espressa in una varietà di tradizioni. L’“unità nella diversità” tuttavia è stata e continua a essere più un pio desiderio che una realtà e poche persone potrebbero negare che spesso la diversità prevale chiaramente sull’unità. La gelosa insistenza sulle qualità individuali ha avuto e continua ad avere un costo gravoso: il tribalismo e una mentalità settaria oscurano troppo spesso la luce di una comprensione autenticamente cattolica delle nostre tradizioni. Che le Chiese del Medio Oriente siano sopravvissute nonostante le molte divisioni interne e la vittoria dell’Islam è un miracolo e ha certamente a che fare con la fede profonda e con la sofferenza di numerosi cristiani sconosciuti ma che rappresentano la continuità dell’autentica testimonianza evangelica. Il documento fornisce una diagnosi chiara dell’attuale situazione in cui i cristiani – non solo i cattolici – stanno affrontando enormi sfide. Ci sono i ben noti conflitti politici della regione, che comportano malcontento sociale e un clima di rabbia e sfiducia. Spesso i cristiani sono tra le prime vittime di rappresaglie e vendette e sono perciò propensi a lasciare il paese se la pressione diventa insostenibile. L’emigrazione indebolisce la loro presenza e rende la vita della Chiesa sempre più difficile. D’altra parte si verifica una notevole emigrazione da altre parti del mondo in direzione della regione, specialmente in quei paesi in cui la manodopera di ogni tipo è fortemente richiesta. Questo è in particolare il caso del Golfo, dove milioni di stranieri dall’Asia, da altri paesi del Medio Oriente e dal resto del mondo lavorano praticamente in ogni settore dell’economia. Tra questi milioni di persone si trovano molti cristiani provenienti da tutto il mondo e perciò cattolici  di tutte le tradizioni (“riti”). A causa dell’emigrazione da paesi con situazioni di insicurezza politica e sociale, soprattutto per i cristiani, e dell’immigrazione di cristiani da tutto il mondo verso i paesi del Golfo in rapido sviluppo ci troviamo di fronte a una situazione paradossale: da una parte, molte vecchie Chiese tradizionali – alcune in unione con il Vescovo di Roma, la maggior parte no – sullo stesso territorio lungo una striscia che va dall’Egitto all’Iraq, con sempre meno fedeli ma strutture pesanti e, dall’altra, una Chiesa giovane, vibrante, fatta di fedeli di  più di cento nazionalità con le rispettive tradizioni, ma con strutture deboli per via della limitata libertà della maggior parte dei paesi del Golfo.  Una Parte del Problema È comprensibile che le diverse Chiese, indebolite nei loro paesi di origine, mostrino un crescente interesse per i loro fedeli che sono emigrati per sempre o che lavorano temporaneamente all’estero. Tuttavia la mancanza di una piena libertà di religione e di culto rendono spesso molto difficile, se non impossibile, creare le strutture necessarie per tutte le tradizioni ecclesiastiche. Molti dei migranti si portano addosso i traumi dell’esperienza della guerra o i segni di tensioni tribali e religiose nei loro paesi d’origine. Troppo spesso anche i Vescovi cattolici delle differenti tradizioni ecclesiali non sono consapevoli del fatto, oppure lo negano, che dare la priorità alle tradizioni a scapito dell’unità è parte del problema e non la sua soluzione. È un dato di fatto che più la voce e il volto della Chiesa sono polifonici e policromi, più si indebolisce la sua testimonianza e la sua posizione nei confronti della maggioranza musulmana in cui è immersa, detentrice del potere politico, religioso, sociale ed economico. Il tema del Sinodo “Comunione e testimonianza” è veramente una sfida! Senza dubbio la Chiesa deve imparare meglio che nelle diverse antiche tradizioni delle Chiese del Medio Oriente si trovano tesori spesso trascurati o sconosciuti dalla maggior parte dei cristiani delle altre parti del mondo. Il Sinodo sarà l’occasione di far conoscere a tutta la Chiesa Cattolica le ricchezze delle diverse Chiese, con le rispettive storie, teologie, spiritualità e tradizioni giuridiche. Molto spesso la tradizione della Chiesa occidentale è stata, e continua a essere, concentrata sulla sua storia potente e vittoriosa e inconsapevole dei valori particolari e dei diritti delle Chiese orientali sorelle. Accanto all’originalità spirituale e teologica c’è poi il deposito di una lunga esperienza con l’Islam. Essa può indubbiamente essere utile alle Chiese in altre parti del mondo per quanto inedita sia questa sfida. Le Chiese del Medio Oriente possono aiutare a superare i pregiudizi, ma anche a impedire che gli altri siano troppo naif sia nell’affrontare l’Islam sia nell’idealizzare la pluriformità delle Chiese in un ambiente molto spesso ostile. È comprensibile che l’interesse del Sinodo, e di coloro che l’osserveranno con attenzione, si concentrerà su quei paesi e quelle Chiese più impegnate nella lotta per la sopravvivenza: i cristiani in Palestina, in Iraq, in Egitto, e in altre situazioni simili. La Chiesa cattolica nel suo complesso non può rimanere indifferente di fronte al dramma in corso in queste regioni, sia che le vittime siano cattoliche, sia cristiane di altre denominazioni. Il battesimo comune le riunisce come vere figlie dello stesso Padre anche se sono in parziale dissenso su molti aspetti particolari dell’insegnamento e della disciplina delle rispettive comunità di appartenenza. “Comunione e testimonianza” sono questioni brucianti se il Cristianesimo vuole sopravvivere nella regione.  I Lineamenta parlano in due brevi paragrafi (28 e 29) dell’ “immigrazione cristiana internazionale in Medio Oriente”. Il testo sembra avere in mente soprattutto la situazione del Levante e non molto della Penisola araba in cui vivo. Scorrendo i diversi testi e dichiarazioni che hanno fatto seguito all’annuncio del Sinodo per il Medio Oriente sembra che i paesi del Golfo (con l’esclusione dell’Iraq, che ha un’antica tradizione cristiana) non saranno al centro della discussione. Tuttavia, è un fatto che nel Golfo esiste una vitalissima “Chiesa pellegrina” di migranti organizzati in due vicariati apostolici (Arabia e Kuwait). Il numero totale di cattolici è possibile che rasenti, o addirittura superi, il numero complessivo di tutti gli altri paesi del Medio Oriente. Tuttavia, a causa dell’assenza di una vera libertà religiosa e di una vera libertà di culto, e per via dell’inesistenza di una comunità cattolica locale, questa Chiesa non ha mai attirato più di tanto l’attenzione delle altre Chiese finché queste ultime non hanno capito che i migranti potevano diventare oggetto di interesse pastorale e – a volte in modo anche più importante – economico per i paesi di origine.  Al fine di mantenere l’unità dei cattolici nei paesi dei due vicariati nel Golfo (cioè Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Yemen), la Santa Sede ha deciso che su questo territorio il Vicario apostolico è l’unico titolare di giurisdizione per tutti i cattolici, a qualsiasi tradizione appartengano. I Vicari apostolici sono tenuti a garantire il personale e i mezzi affinché i fedeli delle diverse Chiese orientali possano celebrare il Sacramento secondo le rispettive tradizioni nella misura in cui ciò non sia impedito da severe restrizioni alla libertà religiosa. Il Rescriptum ex audientia approvato da Papa Giovanni Paolo II (6 marzo 2003) e confermato da Benedetto XVI (8 aprile 2006) ha messo fine ad alcuni conflitti e alla mancanza di chiarezza a tal proposito. Ciononostante, il solo fatto che i Patriarchi abbiano risollevato la questione in occasione dell’Assemblea di Castel Gandolfo (settembre 2009) mostra che la decisione della Santa Sede non ha ancora trovato l’accettazione di tutte le Chiese cattoliche orientali. Ciò che a un osservatore esterno potrebbe sembrare una lotta di potere tra Vescovi è, nella realtà del Golfo, una questione di sopravvivenza. Se in questa regione la Chiesa cattolica dovesse frammentarsi in sei, sette o più giurisdizioni sullo stesso territorio, si innescherebbe una malsana competizione per accaparrarsi i pochi luoghi di culto. Si genererebbero così continue tensioni, logoranti per le energie dei sacerdoti e dei fedeli e sarebbe messa pericolosamente in ombra la testimonianza di unità e comunione in un ambiente piuttosto ostile. Libertà Sconosciute A differenza dei paesi del Levante e dell’Iraq, i cristiani del Golfo sono quasi esclusivamente stranieri senza cittadinanza. Questo vale anche per i cristiani provenienti dai paesi con antiche Chiese arabofone. Come i Lineamenta dimostrano, l’attenzione principale del Sinodo sarà rivolta alle Chiese arabofone del Medio Oriente e rifletterà quindi la varietà delle Chiese Cattoliche orientali, dal momento che quella latina è numericamente la più modesta. Nella penisola araba, invece, la grande maggioranza dei cattolici sono di rito latino. Non potendo far valere una presenza storica di lunga data nell’area, essi percepiscono ancora di più le conseguenze della situazione descritta al numero 84 dei Lineamenta: «Alcuni Paesi sono Stati islamici, ove la sharia è applicata non soltanto nella vita privata, ma anche in quella sociale, anche per i non musulmani. Ciò è sempre discriminatorio e, pertanto, contrario ai diritti dell’uomo. Quanto alla libertà religiosa e a quella di coscienza, esse sono sconosciute nella mentalità musulmana, che riconosce la libertà di culto, ma non quella di proclamare una religione diversa dall’Islam e meno ancora di abbandonare l’Islam. Inoltre, con la crescita dell’integralismo islamico, aumentano un po’ ovunque gli attacchi contro i cristiani». Anche se il prossimo Sinodo farà riferimento principalmente a un’area geografica limitata e con un numero di cristiani relativamente modesto, la sfida è enorme. Sarà essenziale che il tema principale “Comunione e Testimonianza” non scompaia a causa degli interessi particolari dei Vescovi e dei permanenti e irrisolti conflitti della regione che attireranno l’attenzione dei media.  I numeri 87 e 88 dei Lineamenta offrono una buona descrizione di queste sfide: «La nostra situazione attuale, di presenza piuttosto ridotta, è una conseguenza della storia. Ma noi, con il nostro comportamento, possiamo migliorare il nostro presente e anche il futuro. Da una parte, le politiche mondiali sono un fattore che influirà sulla nostra decisione di restare nei nostri Paesi o di emigrare. Dall’altra, l’accettazione della nostra vocazione di cristiani nelle e per le nostre società sarà un fattore principale della nostra presenza e testimonianza nei nostri Paesi. Si tratta, al tempo stesso, di una questione di politica e di una questione di fede» (87). «Per il momento, questa fede è vacillante e perplessa. I nostri atteggiamenti vanno dalla paura allo sconforto, perfino tra alcuni pastori. Questa fede deve diventare più adulta e fiduciosa mentre noi stessi dobbiamo prendere in mano il nostro avvenire. Dipenderà dalla maniera con cui sapremo trattare e stringere alleanze con gli uomini di buona volontà della nostra società. Abbiamo bisogno di una fede impegnata nella vita della società, che ricordi ai cristiani del Medio Oriente queste parole sempre attuali: “Non temere, piccolo gregge” (Lc 12,32). Tu hai una missione, tu l’adempirai e aiuterai la tua Chiesa e il tuo Paese a crescere e a svilupparsi nella pace, nella giustizia e nell’uguaglianza di tutti i suoi cittadini» (88). Le Chiese del Medio Oriente necessitano di una solidarietà fraterna con tutta la Chiesa Cattolica per uscire dal circolo vizioso delle lotte politiche da una parte e delle gelosie dall’altra. Questo le aiuterà a rinnovare una mentalità e uno stile di vita autenticamente cristiani e cattolici, che sono la miglior cura alle ferite che hanno profondamente colpito l’intera regione. Sarà una sfida per la nostra fede, una fede capace di muovere le montagne di odio e lasciare spazio alla riconciliazione e alla pace.  

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