Perché le correnti jihadiste non soltanto si oppongono al sufismo ma dissacrano i suoi monumenti

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 08:55:17

Se si visita un sito web salafita, il ramo dell’Islam sunnita i cui membri sostengono di imitare le prime tre generazioni di musulmani (al-salaf al-salih, “i pii predecessori”) il più attentamente possibile e in quanti più aspetti della vita possibile, è facile imbattersi in una lunga lista di firaq (sette) a cui i salafiti si oppongono[1]. Una “setta” da includere in tali elenchi è sicuramente il sufismo.

 

Una relazione complicata

L’evidente ostilità manifestata dai salafiti verso il sufismo potrebbe indurre a pensare che anche i teologi pre-moderni ai quali essi si rifanno fossero ostili ai sufi. Tuttavia, questo non è del tutto vero. Alcuni hanno fatto notare, per esempio, che il giurista e teologo hanbalita Ahmad ibn Taymiyya (1263-1328), oggi una delle principali fonti di ispirazione per i salafiti, era egli stesso un sufi[2]. Altri hanno dimostrato come il sufismo, almeno nella misura in cui concorreva alla visione teologica di Ibn Taymiyya, fosse senz’altro presente nel circolo dei suoi discepoli, incluso Ibn Qayyim al-Jawziyya (1292-1350), altro punto di riferimento dei salafiti[3].

Considerata l’opposizione al sufismo da parte dei salafiti, non stupisce che alcuni di loro trovino tutto questo difficile da accettare e vogliano che si faccia chiarezza sulla questione[4]. Visioni così ambivalenti sui sufi possono essere spiegate guardando alle diverse espressioni del sufismo, che spaziano dall’ascetismo, al rispetto dei testi e all’osservanza della tradizione scolastica, a rituali e pratiche meno radicate nelle fonti scritturali. In realtà ciò che i salafiti davvero contestano al sufismo è soltanto quest’ultimo punto, alla luce del quale spiegano anche il complicato rapporto che uomini come Ibn Taymiyya avevano con il sufismo[5].

 

Obiezioni dottrinali

Chiaramente ci sono aspetti dottrinali del sufismo che i salafiti contestano con forza, come emerge dalle visioni di quello che è probabilmente il più importante teologo salafita del XX secolo, il siriano Muhammad Nāsir al-Dīn al-Albānī (1914-1999). Una delle nozioni associate al sufismo e criticate da al-Albānī è la “wahdat al-wujūd” (l’unità dell’essere), idea sviluppata nel dettaglio dal maestro sufi Ibn al-‘Arabī (1165-1240). Tale nozione esprime l’idea che Dio e il creato siano una cosa sola, dal momento che tutto ciò che Dio ha creato deve essere esistito nella Sua conoscenza prima della creazione e, alla fine, a Lui tornerà. Al-Albānī ascrive tali idee ai «sufi estremisti» (ghulāt al-sūfiyya) che «non distinguono tra Creatore e creato» e le rifiuta ritenendole «un errore» (dalal), e antitetiche all’unità di Dio (tawhīd)[6]. Al-Albānī sconfessa inoltre le nozioni di ‘ilm al-ghayb (conoscenza dell’invisibile) e du‘ā’ al-amwāt (invocazioni dei defunti).

La prima si riferisce a quella che al-Albānī descrive come la convinzione di «alcuni sufi» che esistano persone in grado di conoscere l’invisibile. Egli la rifiuta citando il versetto coranico 72,26-27 – «Ei che conosce il Mistero e a niuno il Suo Mistero manifesta, salvo che a quel Messaggero di cui si compiaccia»[7]. Du‘ā’ al-amwāt si riferisce alla pratica di chiedere favori o aiuto ai defunti «oltre a Dio» (min dūn Allah). Al-Albānī confuta questa nozione citando il versetto 35,22 – «e in verità Iddio fa udire chi vuole, e tu non potrai far udire quei che son nelle tombe» e la definisce una pratica politeista[8]. Per ragioni simili, al-Albānī ha messo in guardia dal chiedere l’intercessione (tawassul) dei defunti e pregare in moschee costruite sulle tombe dei cosiddetti santi (awliyā’)[9].

 

Obiezioni politiche

Oltre alle questioni dottrinali, i salafiti pongono ai sufi anche obiezioni politiche, legate all’usanza degli Stati di utilizzare i sufi come antidoto “moderato” ai salafiti jihadisti[10], che manifestano idee radicali e spesso sostengono il terrorismo. Per il loro quietismo politico e la loro “moderazione” a livello dottrinale, i sufi sono considerati dai regimi arabi partner esenti da rischi, con cui collaborare per arginare l’islamismo radicale. Sebbene questi tentativi non sempre abbiano avuto successo[11], questa pratica deve aver consolidato l’idea tra i salafiti-jihadisti che gli shaykh sufi e i loro seguaci siano lacchè dei regimi arabi[12]. Paradossalmente i salafiti politicamente quietisti, che sono la maggioranza, hanno talvolta ragioni politiche opposte per non gradire i sufi. Il salafita giordano ‘Alī al-Halabī non soltanto sostiene che il salafismo, anziché il sufismo, abbia antiche e consolidate radici nel regno hashemita[13], ma anche che il sufismo sia in realtà una minaccia per i suoi presunti legami con l’Islam sciita[14].

Alla luce dello scetticismo che regna in Giordania (e nel resto del mondo arabo) nei confronti dell’Iran sciita, questo è da interpretarsi come un tentativo di diffamazione nei confronti dei sufi. Al-Halabī enfatizza tutto ciò sottolineando come, a differenza dei salafiti quietisti, i sufi abbiano fatto poco per combattere le idee salafite jihadiste e quindi siano piuttosto inutili nella lotta contro il terrorismo[15]. Quindi, se i salafiti jihadisti non gradiscono i sufi per la loro vicinanza al regime, al-Halabī vorrebbe che i salafiti quietisti prendessero il loro posto come gruppo di musulmani preferito dal regime giordano[16].

 

Distruzione dei santuari sufi

Per quanto la distruzione dei santuari sufi in Paesi come la Libia e il Mali sia sempre stata opera di salafiti-jihadisti, e non quietisti, le argomentazioni dottrinali utilizzate contro i sufi sono condivise da entrambe le branche del salafismo. Spesso i salafiti definiscono i sufi “adoratori di tombe” per il loro presunto politeismo che si manifesta nel loro desiderio di visitare e venerare le tombe dei cosiddetti santi. Il fatto che tali pratiche tocchino il concetto di tawhīd, estremamente importante per i salafiti, spesso rende le moschee sufi delle mostruosità dottrinali ai loro occhi. Tuttavia, occorre stare attenti a non conferire un ruolo troppo importante alla religione.

Non solo i salafiti hanno ragioni anche politiche per opporsi al sufismo, ma gli attacchi contro i santuari sufi avvengono più spesso in contesti in cui il conflitto e la violenza sono comunque presenti, suggerendo come questo possa avere anche a che fare con il potere politico e l’influenza in società in transizione[17]. Possiamo concludere che sebbene i salafiti abbiano da tempo convinzioni anti-sufi consolidate e diffuse, fondate su visioni politiche e dottrinali, è il contesto specifico in cui si trovano a decidere quale di queste prevalga e se diventino o meno violente.

Testo tradotto dall'inglese

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Note

[1] Si veda, per esempio, http://bit.ly/2qKc9dE e http://bit.ly/2rIXC73, accesso effettuata il 10 marzo 2017.

[2] Si veda George Makdisi, Ibn Taymiyya: A Sufi of the Qadiriya Order, «The American Journal of Arabic Studies» 1 (1973), pp. 118-129.

[3] Arjan Post, A Glimpse of Sufism from the Circle of Ibn Taymiyya, «Journal of Sufi Studies» 5 (2016), pp.157-163.

[4] Si veda, per esempio, http://bit.ly/2qEI6oH, accesso effettuato il 10 marzo 2017.

[5] Si veda, per esempio, http://bit.ly/2qERXuu, accesso effettuato il 17 marzo 2017.

[6] Abū ‘Abd al-Rahmān Muhammad b. Surūr Sha‘bān, Al-shaykh al-Albānī wa-manhajuhu fī taqrīr masā’il al-i‘tiqād, Dār al-Kiyān, Riyādh 2007, p. 726.

[7] Ivi, pp.728-729.

[8] Ivi, p. 735.

[9] Muhammad Nāsir al-Dīn al-Albānī, Al-Tawassul: anwā‘uhu wa ahkāmuhu, Bayrūt-Dimashq 1977 (1975); idem, Tahdhīr al-sajid min ittikhādh al-qubūr masājid, Al-maktab al-islāmī, Bayrūt-Dimashq 1978 (1957/1958).

[10] Sulle diverse tipologie di salafiti si veda Joas Wagemakers, Revisiting Wiktorowicz: Categorising and Defining the Branches of Salafism, in Francesco Cavatorta e Fabio Merone (a cura di), Salafism After the Arab Awakening: Contending with People’s Power, Hurst & Co., London 2016, pp. 7-24.

[11] Mark Sedwick, Sufis as ‘Good Muslims’: Sufism in the Battle against Jihadi Salafism, in Lloyd Ridgeon (a cura di), Sufis and Salafis in the Contemporary Age, Bloomsbury, London 2015, pp. 105-117.

[12] I salafiti jihadisti condividono anche le obiezioni dottrinali al sufismo. Si veda, per esempio, Abū Anas al-Shāmī, Al-Sūfiyya, http://bit.ly/2rIJU3Z, accesso effettuato il 4 marzo 2014, s.d.

[13] ‘Alī b. Hasan b. ‘Alī b. ‘Abd al-Hamīd al-Halabī al-Atharī, Al-Da‘wa al-salāfiyya bayna l-turuq al-sūfiyya wa-l-da‘awa al-sahafiyya wa-kashf al-sila bayna l-tasawwuf wa-l-afkār al-shī‘iyya, Al-dār al-athariyya, ‘Ammān 2009, pp. 12-24.

[14] Ivi, pp. 35-70.

[15] Ivi, pp. 71-76.

[16] Si veda anche Joas Wagemakers, Salafism in Jordan: Political Islam in a Quietist Community, Cambridge University Press, Cambridge 2016, pp. 144-156.

[17] Per una panoramica dei santuari sufi distrutti si veda http://bit.ly/1ua0KQc, accesso effettuato il 17 marzo 2017.

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