La tradizione islamica /2. In trent’anni il paesaggio religioso è stato profondamente scosso nelle abitudini, nei costumi e persino in certe convinzioni dogmatiche. Le consuetudini della vita comune vengono contestate e accusate di avere deformato l’ortodossia primitiva.

 

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:36:58

Da una trentina d’anni, una lettura islamista della vita dei musulmani ha ampiamente penetrato la società algerina. Tale lettura si è espressa in forma violenta nel corso della crisi islamista, dal 1992 al 2000. La resistenza popolare agli eccessi di quel momento e la reazione delle forze di sicurezza hanno avuto ampiamente ragione di quelle violenze, anche se atti isolati continuano a fare vittime ogni settimana. Ma il problema dell’islamismo violento non è l’unica questione posta alla coscienza degli algerini.

 Durante questi ultimi trent’anni, il paesaggio religioso è stato profondamente modificato, e questa trasformazione delle abitudini, dei costumi, e persino di certe convinzioni dogmatiche, è oggi oggetto di un dibattito molto vivace in numerosi ambiti della società algerina. La vita tradizionale dei musulmani algerini viene rimessa in discussione in nome, si dice, della tradizione delle origini. Ci sforzeremo di capire e di situare questo dibattito, col rammarico di doverci limitare alla società algerina, non potendo allo stesso tempo affrontare le evoluzioni simili e insieme diverse delle altre società islamiche del Maghreb, in Libia, Tunisia, Marocco e Mauritania.

La tradizione dell’Islam popolare algerino è contestata da nuovi comportamenti che si affermano come un ritorno all’Islam delle origini e che intendono superare un Islam popolare considerato come progressivamente deformato da derive contrarie all’ortodossia primitiva. Questo movimento ha subito un’accelerazione dopo gli anni ’80 sotto l’influenza di correnti provenienti dal Medio Oriente. Ma, di fatto, lo scontro tra l’Islam popolare in Algeria e l’Islam degli ‘ulamâ’ risale agli anni ’20 del secolo scorso. È dunque necessario evocare questo doppio movimento “di ritorno alle origini”, quello dagli anni ’20 agli anni ’50 e quello della fine del secolo scorso.

Il primo di questi movimenti è noto: si è designato esso stesso come il movimento degli ‘ulamâ’ (Jâm‘iyat al-‘Ulamâ’). Pensato sin dal 1925, fu infine costituito in associazione all’inizio degli anni ’30. Esso si è fondato sui grandi nomi dell’Islam algerino riformista, oggi conosciuti da tutta la popolazione attraverso i media, i nomi delle strade, le commemorazioni: Abdelhamid Ben Badis (1889-1940), Bachir Brahimi (1889-1965), Larbi Tebessi (1891-1956), Moubarak al-Mili (1898-1945), Tawfik Al-Madani ecc. Il movimento si diede allora un duplice obiettivo: innanzitutto quello di restituire al popolo algerino la conoscenza della lingua araba letteraria attraverso la creazione di scuole primarie e di collèges. Poi quello di ostacolare l’Islam popolare considerato corrotto per colpa delle confraternite religiose e delle azioni dei loro rappresentanti, chiamati marabouts (marabutti). Questo movimento, detto “riformista”, doveva essere recepito e continuato dal nuovo potere nato dall’indipendenza nel 1962.

In effetti, l’insegnamento degli ‘ulamâ’ forniva una prima base teorica al personale incaricato di rappresentare l’Islam ufficiale sia nell’insegnamento pubblico, sia nelle moschee o nei media. Con questa corrente riformista assistiamo già a un primo confronto tra l’Islam delle tradizioni popolari e il riformismo. Ma, a partire dagli anni ’80, l’Islam algerino subisce l’influenza di un secondo movimento, gravido di conseguenze, con l’intrusione di nuove correnti di pensiero provenienti dal Medio Oriente. Esse veicolano in Algeria visioni dell’Islam largamente ispirate ai Fratelli musulmani e alle nuove tendenze dell’Islam egiziano, o direttamente riprese dall’Islam wahabita dell’Arabia Saudita.

 

 

Cassette e Predicazioni

Le nuove correnti degli anni ’80 in Algeria hanno profondamente modificato i comportamenti tradizionali dell’Islam algerino. Per rendersene conto basta osservare le nuove abitudini nel vestiario delle donne (che abbandonano il tradizionale hâik) o di molti uomini, che portano la barba lunga e la kamîs con lo zucchetto. Ma questi cambiamenti di comportamenti esteriori riflettono evoluzioni interiori più importanti. Viene proposta una nuova visione dell’Islam, innanzitutto sulla base delle convinzioni di Sayyed Qutb e del suo movimento, veicolate dalle cassette dell’Imam Kish, egiziano, o dalle predicazioni dello Shaykh Ghozali, dottore in Islam proposto dai media algerini ufficiali durante gli anni ’80.

Abitudini secolari saranno rimesse in discussione sulla base di alcuni vecchi hadîth rivalorizzati da questi nuovi maestri dell’Islam. È così, per esempio, che il digiuno del mese di Ramadan viene prolungato con una settimana supplementare, dopo l’aid[1]. Simili estensioni del digiuno avvengono in occasione della ‘âshûrâ’[2]. Ciò che è importante non è l’appello a una maggiore generosità lanciata in questo modo a partire dal Medio Oriente, ma la capacità di questi maestri orientali di introdurre nuovi comportamenti.

Al di là dei comportamenti relativi al culto, ci sono evidentemente tutte le conseguenze del “ritorno alla tradizione” nei comportamenti sociali. Nella vita quotidiana femminile il velo è un simbolo molto visibile dell’evoluzione delle mentalità. Un’indagine del Centre d’Information et de Documentation sur les Droits de l’Enfant et de la Femme (C.I.D.D.E.F.) di Algeri all’inizio 2009 offriva, presentate da Imane Nayef Ighilariz, le seguenti osservazioni (El Watan, 8 marzo 2009): «Le ragazze che si vestono con abbigliamento moderno e portano il foulard rappresentano il 38% della popolazione femminile, seguite da quelle che preferiscono lo hijâb multazim (rigoroso) con il 34% e da quelle che restano legate all’abbigliamento tradizionale (solo il 2%). Esse hanno abbandonato lo hâik o la m’lâya durante gli anni ’80 e ’90 per passare direttamente a vestire la jallâba o la gandura con un foulard. È una tendenza recente perché la generazione delle donne che hanno ora 50 anni ha conosciuto gli anni ’70 e ’80, durante i quali si vedevano per strada donne vestite sia con lo hâik sia con vestiti moderni».

Ma la stessa indagine lasciava trasparire un dibattito tra tradizione e modernità su altri temi, per esempio su quello dell’eredità: «La società ha fatto un grande passo in avanti: la metà degli algerini pensa che fratelli e sorelle debbano aver diritto a una pari eredità. È la realtà della vita quotidiana ad aver generato questo cambiamento. Gli algerini che approvano la parità nella spartizione dell’eredità si confrontano quotidianamente con una realtà del XXI secolo in cui le famiglie vivono drammi ai quali occorre trovare soluzioni. Riflettono in rapporto al loro vissuto».

Infine, per prendere un terzo esempio, la stessa indagine affronta in questi termini il tema della parità tra uomini e donne e constata anche in questo ambito delle evoluzioni regressive: «Nel 2008 due algerini su dieci si dichiaravano favorevoli ai valori di uguaglianza. D’altro canto, ci sono anche altri due algerini su dieci che hanno espresso un parere contrario all’uguaglianza tra i sessi. Nel mezzo si trova una massa divisa in due sotto-gruppi con le stesse proporzioni, una più prossima ai favorevoli e l’altra piuttosto incline ai contrari. Si è verificata qui un’oscillazione di una parte della popolazione, situata nel 2000 nella categoria dei favorevoli, verso quella dei né per né contro».

Le recenti evoluzioni dell’Islam algerino sono state segnalate dal sociologo algerino Abderrahman Moussaoui in una conferenza tenuta al CEMA (Centre d’Études maghrébins en Algérie) di Orano. Eccone un passaggio significativo: «in Algeria, il malikismo, principale fonte in materia di fiqh (diritto religioso), sarà scosso dall’ondata della sahwa, il risveglio islamico che si è abbattuto sul paese negli anni ’80. Con la salafiyya assistiamo – rileva l’antropologo - a una rifondazione dell’“interpretazione del periodo iniziale”». «Al di fuori dei fondamenti (al-usûl) tutto viene considerato come puramente storico», nota l’autore facendo eco a una regola cara a questa corrente. Riandando al percorso iniziatico del wahabismo, egli si dilunga sull’opera di al-Albânî, la vulgata per eccellenza dei salafiti. I suoi adepti si riferiscono esclusivamente al Kitâb (il Corano) e alla Sunna (la tradizione del Profeta) facendo piazza pulita in un sol colpo di tutta la produzione esegetica e giurisprudenziale delle grandi scuole teologiche. Abderrahmane Moussaoui parlerà in seguito abbondantemente del ruolo di internet e dei siti dei muftî nella vita dei musulmani contemporanei. Gli shuyûkh “high tech” sembrano avere colto la misura dell’efficacia delle reti internet nell’azione della da‘wa; si sono precipitati nella battaglia tecnologica senza alcun complesso, così come hanno fatto con i bouquet satellitari lanciandosi nel “fiqh digitale”. «Oggi si può entrare in contatto con il muftî di propria scelta attraverso internet e avere un Islam à la carte. Con la globalizzazione, siamo nell’era del villaggio globale», ha affermato Moussaoui. (Revue de Presse, n°515, gennaio-febbraio, 24, 25).

 

Generazione di Ricercatori

Già nel 1990 Rédha Malek, importante uomo politico algerino (già negoziatore a Évian, ex-primo ministro, ecc.) stigmatizzava, in un’opera che avrebbe meritato di ricevere più attenzione in Algeria e altrove, «concezioni aberranti in cui l’Islam tende a ridursi a portare il vestito tradizionale e a lasciarsi crescere la barba, a scandalizzarsi per il progresso moderno, a compiacersi delle sopravvivenze malsane del feudalesimo e dello spirito patriarcale»[3]. «Essere autentici è altra cosa che riposarsi nell’identico, tratto tipico delle civiltà sclerotizzate. Significa fare uno sforzo su di sé per integrare il diverso» [4]. «L’adulazione pretenziosa del passato è un’invenzione degli oscurantisti. Essa è la loro unica risposta alle sfide della modernità: è con la negazione arrogante del nuovo che muoiono le civiltà. L’umiltà, in questo caso, lungi dal costituire un abbassamento, è un segno di superiorità ed è attraverso di essa che lo spirito progredisce nella storia»[5]. Tale reazione da parte di un intellettuale musulmano che è allo stesso tempo un uomo politico non ha avuto, va detto, l’influenza che avrebbe meritato.

D’altra parte avviene lo stesso in Tunisia – a titolo d’esempio – dove i notevoli sforzi di una nuova generazione di ricercatori non riescono a uscire dagli ambienti universitari. Penso ad esempio a Abdelmajid Charfi [L’Islam entre le message et l’histoire, Albin Michel, 2004], Mohamed Charfi [Islam et liberté. Le malentendu historique, Albin Michel, 1998], Abdelwahab Meddeb [La maladie de l’Islam, Seuil, 2002 - trad. it. La malattia dell’Islam, Bollati Boringhieri, Torino 2003], Hamadi Redissi [L’exception islamique, Seuil, 2004], Youssef Seddik [Nous n’avons jamais lu le Coran, l’Aube, 2004] o ancora Mohamed-Chérif Ferdjani [Islamisme, laïcité et droits de l’homme, L’Harmattan, 1991]. Posizioni simili si trovano in Marocco, per esempio con Abdou Filali-Ansary [Réformer l’Islam? Une introduction aux debats contemporains, La Découverte, 2002] o Fatima Mernissi [Le Harem politique, le Prophète et les femmes, Albin Michel, 1987]. Il franco-marocchino Rachid Benzine ha cercato di presentare queste nuove correnti nel libro Les nouveaux penseurs de l’Islam [Albin Michel, 2004 - trad. it. I nuovi pensatori dell’Islam, Pisani, Napoli 2004].

Bisognerebbe aggiungere a questa reazione di personaggi musulmani contemporanei - spesso, va riconosciuto, francofoni di formazione - un’altra tendenza che affronta oggi in Algeria gli irrigidimenti delle correnti tradizionaliste o fondamentaliste. Mi riferisco alla corrente ancorata nella tradizione spirituale musulmana, il sufismo. In Algeria, dopo un periodo di negazione del diritto all’esistenza di queste tendenze (prima da parte dello Stato FLN, poi a opera degli islamisti) una nuova libertà viene oggi concessa a questi movimenti. Sarebbe necessario uno studio specifico per mettere in evidenza il posto che questo movimento occupa nel rinnovamento attuale dell’Islam in Algeria, come altrove nel Maghreb. Il ritorno alla tradizione, quale viene interpretata dai fondamentalisti, si trova battuta in breccia da quest’altra corrente tradizionale, il sufismo. Le lotte degli ‘ulamâ’ all’inizio dell’ultimo secolo contro le confraternite e le nuove lotte del fondamentalismo si scontrano ormai coi bisogni spirituali espressi e fatti propri dai movimenti delle confraternite.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

 

(1) La festa della rottura del digiuno di Ramadan (N.d.T.)

(2) La commemorazione dell’assassinio di Husein, nipote del Profeta dell’Islam (N.d.T.).

(3) Rédha Malek, Tradition et Révolution, le véritable enjeu, Bouchène, Alger 1991, 40.

(4) Ibi, 38.

(5) Ibi, 35.

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Henri Teissier, Originale contro Popolare: il Caso dell’Algeria, «Oasis», anno V, n. 9, luglio 2009, pp. 41-43.

 

Riferimento al formato digitale:

Henri Teissier, Originale contro Popolare: il Caso dell’Algeria, «Oasis»[online], pubblicato il 1 luglio 2009, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/originale-contro-popolare-il-caso-dell-algeria.

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