Pur segnati da tendenze e valutazioni diverse, gli hadīth mantengono anche nell’Islam contemporaneo un ruolo di primo piano.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:08:16

Pur segnati da tendenze e valutazioni diverse, gli hadīth mantengono anche nell’Islam contemporaneo un ruolo di primo piano. Gli episodi più famosi della vita di Maometto godono di una fama equiparabile a quella di passi coranici e sono citati e utilizzati in ogni ambito. La loro conoscenza continua così a giocare un ruolo di primo piano nella definizione dell’identità del musulmano.

Accanto al Corano, l’Islam sunnita riserva un ruolo particolare alla testimonianza di ciò che Maometto ha fatto e ha detto. Si tratta di quelli che sono definiti hadīth, da un termine arabo che significa “racconto” o “storia”: nel corso dei primi secoli dell’Islam si affermò come termine tecnico per designare le tradizioni che riferivano detti o fatti del Profeta. L’insieme dei detti di Maometto costituisce nel suo complesso la cosiddetta Sunna, altro termine arabo che significa “consuetudine” o “condotta”, da cui il concetto di “sunniti”, che deriva proprio dallo statuto riservato alla Sunna di Maometto come modello ispiratore dei credenti.

L’origine, l’autenticità e la diffusione degli hadīth (plurale ahādīth) è oggetto di diverse valutazioni sia da parte dei musulmani sia degli studiosi occidentali, che partono tuttavia da un dato iniziale comune, ovvero l’assenza di testimonianze coeve del tempo di Maometto (570-632) e le difficoltà di orientarsi in una letteratura sconfinata che raccoglie le tradizioni profetiche in numero consistente soltanto a partire dalla fine del II secolo dell’egira (800 ca.), cioè quasi due secoli dopo la morte di Maometto. Questa distanza temporale e l’assenza di opere conservate che risalgano alle prime generazioni musulmane hanno generato varie discussioni e considerazioni sull’accettabilità e sulla storicità di questi dati, e soprattutto sulle ragioni per cui le parole attribuite a Maometto assunsero, accanto alla parola coranica, un ruolo così importante nella costruzione della tradizione islamica in senso lato.

 

La memoria del Profeta

La prima ragione dell’origine e dello sviluppo degli hadīth va attribuita al ruolo stesso del Profeta Maometto, guida religiosa e politica costantemente evocata in ogni questione riguardante la comunità. La coltivazione del ricordo del fondatore attraverso la registrazione di logia e di parole a lui attribuite non è un caso ristretto all'Islam, ma la realtà in rapida mutazione del nascente impero islamico, con tutte le sollecitazioni che ciò determinava, rese fin dalle prime generazioni il ricordo di Maometto un aspetto caratterizzante dell’essere musulmani. Quasi certamente, questo ricordo si basò essenzialmente sulle testimonianze di chi aveva assistito a suoi pronunciamenti e che li ha tramandati, perpetuando la fama delle gesta e degli atti del Profeta fondatore. Le figure più impegnate in tale direzione non furono necessariamente le personalità storiche più significative che vissero a stretto contatto con Maometto, ma quelle più interessate, decenni dopo la sua morte, a preservarne la memoria e a trasmetterla ad altri: svilupparono ben presto un’attenzione particolare per la trasmissione dei segni della sua autorità religiosa in un’età che vedeva la comunità occupata dalle conquiste, mentre califfi e autorità politiche (tra la dinastia umayyade, 661-750, e gli inizi di quella abbaside, 750 sgg.) erano in genere poco interessate alle questioni strettamente religiose a meno che queste non riguardassero direttamente l’esercizio del loro potere.

 

L'oralità della tradizione

La circolazione e la trasmissione della memoria di Maometto avvenne nelle prime fasi sicuramente per via orale, così come per l’apprendimento del Corano si privilegiava la via mnemonica. Fattori di vario tipo, quali il costo dei supporti in pergamena, la grafia araba difettiva o poco chiara e anche consuetudini pre-islamiche ebbero il loro peso in questa realtà. Fu probabilmente la vicinanza del ricordo del Profeta a rendere in un primo momento superflua la trascrizione delle parole e degli atti di una figura che a lungo visse nella memoria dei numerosi compagni e di coloro che li seguirono, i cosiddetti successori.

Alcuni studi sottolineano come una prima fase di diffusione scritta ebbe inizio soltanto nell’VIII secolo, quando emersero le prime figure di esperti nella conoscenza dei detti di Maometto e, attorno a questi, gruppi di allievi cominciarono a raccogliere appunti e a realizzare raccolte di tradizioni e detti secondo quanto insegnato da quelle figure eminenti. Tutto ciò avvenne su base regionale, dalla penisola araba ai primi centri toccati dall’espansione musulmana in Nordafrica, Iran e Asia centrale, dove con gli eserciti di conquista si spostarono anche personalità note per la loro conoscenza del Corano e della vita di Maometto. Nel corso dell’VIII secolo, e dunque con le generazioni successive, queste prime pratiche di scrittura portarono progressivamente alla realizzazione, sotto l’autorità di personalità eminenti, delle prime raccolte di quanto si tramandava su Maometto.

Nei primi secoli, la coltivazione del ricordo del Profeta attraverso la fedele preservazione delle sue parole non aveva una natura solamente spirituale, ma rispondeva anche a logiche di natura politica e serviva a determinare i confini dell’autorità religiosa. La conoscenza degli hadīth, oltre a quella del Corano e della tradizione interpretativa, ben presto divenne infatti il criterio per valutare lo status religioso di quanti ambivano alla carica di giudici o ad altri ruoli presso la corte califfale. Accanto a ciò, si andò ben presto affermando un ruolo particolare per coloro che detenevano questo sapere (‘ilm) religioso, in un processo che avrebbe poi portato all’emergere della categoria degli ulema (‘ulamā’), dando avvio a quel particolare connubio tra la coltivazione della tradizione profetica e le figure che incarnano questo sapere, in un modo che si autoalimenterà e determinerà la centralità del tradizionalismo nel sunnismo e poi anche nello sciismo imamita.

 

La trascrizione letteraria

L’affermazione degli hadīth nella concezione religiosa che poi si chiamerà sunnismo è legata anche ad alcune figure e vicende storiche particolari. L’equiparazione di fatto tra il Corano e la Sunna quali fonti della rivelazione fu teorizzata e affermata per la prima volta in modo compiuto da al-Shāfi‘ī (m. 820), l’eponimo fondatore della scuola giuridica sciafiita. Ma il trionfo definitivo di questa visione nel sunnismo avviene nel corso del IX secolo, quando il tentativo da parte dei califfi abbasidi di imporre come dottrina ufficiale la teologia mu‘tazilita di stampo razionalista è sconfitto, aprendo la via ai tradizionalisti più convinti, guidati da chi, come Ahmad Ibn Hanbal (m. 855) sosteneva il primato degli hadīth in ogni ambito della vita dei credenti e della comunità. Fino a quel momento, quelli che erano definiti la “gente degli hadīth” (ahl al-hadīth) erano soltanto una delle varie correnti presenti nel mondo islamico, e spesso si trovavano su posizioni opposte rispetto alla “gente dell’opinione personale” (ahl al-ra’y), molto più critica verso l’autorità riconosciuta alle parole di Maometto. L’evoluzione del IX secolo, lo scontro accesso tra le varie fazioni e la vittoria finale dei sostenitori dell’autorità degli hadīth determinarono la definizione del sunnismo così come oggi lo conosciamo, al termine di un’aspra contesa con le visioni di stampo razionalista o influenzate dal sapere greco.

Non direttamente originata da questa evoluzione, ma strettamente connessa alla centralità degli hadīth, fu, sempre nel corso del IX secolo, la nascita e lo sviluppo definitivo della trascrizione letteraria dei detti di Maometto e della loro organizzazione in opere di vario tipo. Accanto a quelle ordinate in base ai nomi dei compagni del Profeta che li trasmisero, che prendevano il titolo di Musnad (connesso al termine isnād che indica la catena di trasmettitori), furono compilate anche opere enciclopediche che raccoglievano, ordinandoli per argomento, detti di Maometto e altre tradizioni attribuite ai suoi compagni o successori. Alcune di esse, come i Musannaf di ‘Abd al-Razzāq (m. 827) e Ibn Abī Shayba (m. 849) includevano più di 20.000 singole tradizioni. Nello stesso periodo si affinarono i metodi, in genere basati sulle catene dei trasmettitori, per stabilire l’autenticità degli hadīth, in un processo che avrebbe poi portato alla redazione delle due opere destinate a diventare le raccolte canoniche per eccellenza: i Sahīh di al-Bukhārī (m. 870) e Muslim (m. 875), anch’essi ordinati in base agli argomenti e contenenti, nel numero di qualche migliaia, soltanto detti di Maometto.

 

La costruzione del tradizionalismo

Il problema dell’autenticità della tradizione profetica unisce e divide allo stesso tempo la critica musulmana e quella occidentale. Come affermano gli stessi autori musulmani medievali, la redazione delle raccolte di hadīth fu condotta selezionando tra centinaia di migliaia di detti attribuiti a Maometto sui temi più disparati che circolavano in tutto il mondo islamico. Le testimonianze storiche islamiche ci dicono infatti che ogni contesa politica o dottrinale era espressa attraverso parole attribuite al profeta, molte delle quali erano, di conseguenza, false. Gli esperti selezionavano i detti valutando la plausibilità del loro contenuto ma soprattutto l’attendibilità delle catene di trasmettitori. La critica occidentale ha invece sempre avuto dubbi sulla possibilità che gli hadīth raccolti a partire dal IX secolo potessero riflettere parole effettivamente pronunciate da Maometto e ha generalmente analizzato l’emergere e il diffondersi di determinati hadīth e altre tradizioni come il riflesso dell’evoluzione del discorso religioso e politico tra le prime generazioni di musulmani, di cui la circolazione di certi hadīth sarebbe il prodotto diretto e non viceversa. Di recente, metodi di analisi che combinino variantistica del contenuto e catene dei trasmettitori sono giunti a ricostruire il passaggio dalla trasmissione orale alle prime redazioni scritte teorizzando la possibilità di risalire almeno fino all’VIII secolo ca. nella datazione di alcuni hadīth.

Negli anni successivi alla fine del IX secolo si continuarono a compilare raccolte di hadīth di vario genere, accanto a commentari su quelle più antiche e allo sviluppo di generi paralleli, come quello dedicato alla “scienza degli uomini”, cioè alle biografie dei compagni del Profeta Maometto e dei trasmettitori, oppure alla segnalazione degli hadīth deboli e quindi da rigettare, inventando una minuziosa terminologia tecnica per definirne le tipologie e particolarità formali. Alcuni hadīth vennero a costituire, accanto ai versetti coranici, il veicolo e il riferimento di speculazioni teologiche e mistiche o di analisi di tipo giuridico, dando corpo a biblioteche di ogni genere.

Tale evoluzione e peculiare “costruzione” del tradizionalismo è costitutiva del sunnismo, ma ha avuto una certa influenza anche sullo sciismo imamita. A partire dal X secolo anche gli sciiti redassero le loro principali raccolte di detti di Maometto e degli imam suoi successori con la stessa metodologia basata sulla catena dei trasmettitori, anche se secondo criteri ovviamente diversi nella scelta delle persone da quelli usati dai rivali sunniti. In realtà molti di questi hadīth sciiti sono uguali o simili a quelli sunniti, così come simile è la centralità del riferimento ideale al Profeta e alla generazione dei compagni.

Nel corso della storia medievale dell’Islam il ruolo degli hadīth si consolida e si definisce un corpus di testi particolarmente autorevoli. Alle opere di Bukhārī e Muslim si aggiungeranno quelle di Ibn Maja (m. 887), Abu Dawūd (m. 889), al-Tirmidhī (m. 892) e al-Nasa’ī (m. 915), a formare le sei raccolte di hadīth considerate canoniche. Accanto a queste furono scritte molte altre opere in cui si dibatteva continuamente su tutte le tradizioni escluse o utilizzate in sede di discussione giuridica, dando corpo a una biblioteca sconfinata di commentari, glosse e analisi di ogni tipo sulle varie discipline della scienza degli hadīth. Tale situazione si protrae sostanzialmente fino all’età moderna, quando nel mondo musulmano si aprono linee di riforma e di ridiscussione della propria tradizione.

 

Il salafismo contemporaneo

In tale quadro, ha un particolare significato la corrente che accorda un ruolo ancor più marcato agli hadīth. Questa linea ha una matrice hanbalita (scuola giuridica che fa particolare affidamento sulla tradizione e sul testo a scapito dell’interpretazione razionale, NdR) che passa per l’insegnamento di Ibn Taymiyya (m. 1328), arriva a quello di Muhammad Ibn ‘Abd al-Wahhāb (m. 1792), fondatore del cosiddetto wahhabismo, e si riverbera sul movimento di origine indiana degli Ahl-i Hadith e quindi sul salafismo contemporaneo. Secondo tale visione, le parole del profeta Maometto sono chiave interpretativa e motivo ispiratore della visione del mondo e del comportamento del vero credente e la coltivazione delle scienze che li riguardano diventa fondamentale accanto al Corano.

Tale tendenza, definita oggi salafita, e che è andata affermandosi nel corso degli ultimi decenni, presenta aspetti interessanti di rilettura e ridiscussione degli hadīth. Autori come Nāsir al-Dīn al-Albānī (m. 1999), che hanno scritto molte opere dedicate ai detti di Maometto, hanno rimeditato e riscritto analisi sulla genuinità e sul significato degli hadīth, a volte con esiti anche innovativi rispetto alla tradizione tramandata nelle opere medievali maggiori. I salafiti contemporanei, tuttavia, seguendo da vicino l’eredità hanbalita, restringono spesso alle testimonianze di questa scuola giuridica e teologica le loro valutazioni e quindi determinano una progressiva riduzione di ciò che è accettabile della testimonianza medievale nell’elaborazione del discorso religioso.

Nel corso della storia moderna e contemporanea, tuttavia, altre tendenze hanno segnato la storia della comunità islamica, con attitudini e atteggiamenti diversi verso gli hadīth, pur in un quadro in cui ai detti di Maometto è sempre accordato un ruolo centrale e fondamentale. Non sono mancate anche tendenze di segno opposto, come quella della centralità assoluta dell’autorità del Corano, i cui fautori hanno cercato già dal XIX secolo di sostenere il carattere unico e ultimativo del testo coranico e l’illegittimità del ruolo riservato storicamente agli hadīth. Tendenze dello stesso tipo, spesso isolate, sono attestate anche nel corso del XX secolo anche se hanno avuto spesso scarsa fortuna. Sulla stessa linea possono essere ricondotti ad esempio quei giudizi critici verso i contenuti, anche fantastici, di alcuni detti attribuiti al profeta Maometto anche nelle opere maggiori. Famoso in tale direzione è stato un libro (Luci sulla sunna profetica) di Abū Rayya (m. 1970), fortemente critico nei confronti di certi detti, il cui attacco è stato però piuttosto contro la genuinità di alcuni hadīth, e quindi contro i criteri che l’hanno determinata, più che contro gli hadīth in sé. Non sono mancate altre posizioni critiche, anche più sfumate, che hanno sentito la necessità di riaffrontare la questione del ruolo degli hadīth alla luce della realtà moderna e anche delle critiche orientalistiche, ma intaccando soltanto parzialmente il ruolo e il prestigio che le parole di Maometto hanno nell’immaginario religioso musulmano.

Pur segnati quindi da tendenze e valutazioni diverse, gli hadīth mantengono anche nell’Islam contemporaneo un ruolo di primo piano. I detti più famosi e conservati nelle opere medievali più prestigiose godono di una fama equiparabile a quella di alcuni passi coranici e sono citati e utilizzati in ogni ambito. Sia nella discussione dotta o nella produzione di nuovi commentari coranici quanto nella religiosità popolare, le parole di Maometto tramandate sono un riferimento imprescindibile per ogni aspetto della vita dei credenti e della comunità. Le recenti fortune del salafismo e i processi di re-islamizzazione che attraversano da decenni il mondo islamico vedono in prima fila i detti di Maometto tramandati dalle opere classiche. Ed è proprio la conoscenza dei contenuti di questi hadīth che continua a giocare, accanto al testo coranico, un ruolo identitario centrale nel definire l’essere musulmano oggi.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

Per citare questo articolo

 

Riferimento al formato cartaceo:

Roberto Tottoli, I detti del Profeta e le fortune del salafismo, «Oasis», anno XII, n. 23, giugno 2016, pp. 73-79.

 

Riferimento al formato digitale:

Roberto Tottoli, I detti del Profeta e le fortune del salafismo, «Oasis» [online], pubblicato il 21 giugno 2016, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/i-detti-del-profeta-e-le-fortune-del-salafismo.

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