L'arcivescovo palestinese partecipa in Giordania all'incontro tra capi e rappresentanti delle Chiese d'Oriente. Il fondamentalismo e la persecuzione dei cristiani, la crisi israelo-palestinese mai davvero affrontata. E i venti di guerra in Siria, con il rischio di un post-conflitto ancor più esplosivo

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:38:58

"Stiamo andando contro corrente. È una fatica costante, ma lo richiede la ricerca della verità". Mons. Fouad Twal, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, è ad Amman per l'incontro tra i capi e i rappresentanti delle Chiese d'Oriente, convocato dal re di Giordania per riflettere sulle sfide che i cristiani arabi affrontano oggi e che sono motivo di grave preoccupazione anche per Abdullah II. "L'emergenza è correggere il discorso religioso di tanti imam che dalle moschee chiamano alla violenza contro i non musulmani. Poi occorre modificare le Costituzioni di alcuni Paesi che non riconoscono ai cristiani gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini". Intanto il Medio Oriente si svuota dei cristiani, che emigrano continuamente. "Noi cristiani siamo un po' viziati: al primo rischio facilmente prepariamo le valigie perché sappiamo che troveremo accoglienza nei Paesi occidentali. E certo ci incoraggia il fatto che altri cristiani siano riusciti economicamente nella diaspora. Ma io ribadisco che se questa terra del Medio Oriente ci è davvero cara, lo deve essere nel bene e nel male". Come vede da Gerusalemme il conflitto interno ai musulmani che dilania il Medio Oriente? "È un dolore grande. Siamo drammaticamente preoccupati per la minaccia americana di bombardare la Siria. I vescovi siriani sottolineano tutti come la persecuzione dei cristiani da parte dei ribelli sia un fatto. Ma a questo dolore se ne aggiunge per me un altro. Il focus dell'attenzione si è spostato. Non c'è più nessuno che parli dell'occupazione militare israeliana, del muro, della mancata libertà di accesso ai luoghi santi. Eppure la nostra situazione non è migliorata, semplicemente da eccezionale è diventata normale". In questi ultimi mesi il segretario di Stato americano ha cercato di avviare nuovamente i colloqui di pace. Ma su cosa si vuol fondare questo dialogo e un'eventuale intesa? "Poco tempo fa ho incontrato il re Abdullah ed era ottimista. Ritiene che se non si raggiungerà l'accordo durante questo mandato di Obama, non ci sarà mai più. Vorrei ribadire però che il dialogo non è uno scopo in se stesso, ma un mezzo per avviare una soluzione". La soluzione dei due Stati, che la Santa Sede ha sempre sostenuto, sembra divenuta impossibile a causa dei nuovi insediamenti. Alcuni perciò propongono piuttosto un unico stato. Che ne pensa? "Non direi che l'ipotesi dei due Stati sia superata. Diciamo a Israele: se volete due stati, date lo spazio per farli. Altrimenti facciamo un unico Stato democratico. Certo, con il rischio che nel giro di qualche anno il presidente sia un palestinese. Ma a me sembra che il governo israeliano preferisca gestire il conflitto più che risolverlo". La situazione in Siria può fare esplodere questa "gestione" di Israele? "Gli israeliani hanno paura di Assad, ma hanno più paura di quello che viene dopo. Sono sicuro". Per la vicina Siria, quali scenari vede? "È un'illusione pensare che il programma americano di attacchi mirati funzioni chirurgicamente. La guerra darà più forza ai mercenari jihadisti e salafiti. Quindi ripeto il mio "no alla guerra" ma sì a una soluzione politica. Nei Paesi arabi quello che fa cadere un governo non sono di solito i ribelli, ma l'esercito. Finora ci sono stati 100.000 morti, senza contare le migliaia di rifugiati, per cambiare un capo che è ancora in buona salute". Gerusalemme resta sempre il cuore della vicenda storica. "La Gerusalemme che conosco è ora una Gerusalemme che unisce tutti i credenti del mondo e al tempo stesso li divide. È una città di contraddizione. Ma la pace la vedrà forse il mio successore. Non io". Intervista pubblicata su Repubblica.