Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:41:17

Il 23 ottobre i tunisini si sono recati alla urne per eleggere un’Assemblea costituente di 217 membri. Dopo le rivolte di dicembre 2010-gennaio 2011 che hanno avuto luogo nelle strade e nelle piazze della Tunisia, si tratta di una seconda rivoluzione che traduce la prima rivoluzione in termini elettorali. In un processo elettorale organizzato incredibilmente bene, basato su una legge elettorale ben progettata che assicura trasparenza e neutralità, i tunisini hanno espresso liberamente la propria scelta attraverso le urne. Rispetto alle elezioni svoltesi sotto Bourguiba e Ben Ali, nelle quali gli elettori non potevano che rimanere indifferenti in un contesto che li costringeva in vari modi a votare per il regime e in cui i risultati erano truccati, questo è veramente un punto di svolta. La posta in gioco è importante e presenta diverse sfaccettature, ci vorrà del tempo prima che le implicazioni emergano, in particolare attraverso le future alleanze politiche. Tuttavia, per il momento, possiamo offrire alcuni spunti per l’analisi. L’Assemblea Costituente dovrà redigere la costituzione della seconda repubblica e definire le funzioni delle istituzioni. I membri eleggeranno un presidente. Secondo la nuova legge elettorale, il Primo ministro proverrà dal partito politico vincitore e formerà il suo governo. L’assemblea funzionerà anche come assemblea legislativa e avrà un anno di tempo per redigere la Costituzione. È un momento fondante non esente da pericoli, in particolare l’instabilità e l’incapacità di portare a termine il compito costituzionale. La rappresentanza proporzionale ha garantito la rappresentatività e costringerà i partiti politici a formare delle coalizioni. Pertanto, nessuna formazione politica vanta un numero di seggi schiacciante: in questo senso non vi saranno grandi vincitori. L’altissimo tasso di partecipazione, più del 90% degli elettori registrati, era inaspettato. Il carattere di massa del momento elettorale ha reso impossibile all’ISIE annunciare i risultati lunedì 24 ottobre. I risultati saranno probabilmente annunciati solo due giorni dopo le elezioni. Solo allora conosceremo il numero esatto di seggi vinto da ciascuna lista (sia che rappresenti un partito, sia indipendente), come pure le differenze a livello regionale. Per il momento sembra che nel nuovo panorama politico stiano emergendo tre partiti politici. In testa ai sondaggi c’è attualmente al-Nahda, cappeggiato da Rashed al-Ghannouchi che sembra aver conquistato, a sorpresa, almeno il 40% dei seggi, mentre un mese fa i sondaggi gli attribuivano un punteggio del 20-30%. Al-Nahda sembra essere seguito da altri due partiti, l’Ettakatol (il raggruppamento) cappeggiato da Mustafa Ben Jaafar e probabilmente il Congresso per la Repubblica, guidato da Moncef Marzouki. Questi tre partiti hanno costruito le proprie strutture e le proprie idee su una posizione di dissenso nei confronti del regime precedente. Due di questi leader, Ghannouchi e Marzouki hanno vissuto in esilio in Europa, mentre il partito di Ben Jaafar è stato legalizzato nel 1994 ma non ha mai accettato compromessi. L’emergere di questi tre partiti come i più forti illustra il desiderio dei tunisini di rompere il più possibile con il passato. Bisogna inoltre considerare le personalità di questi tre personaggi: essi hanno dimostrato pragmatismo, vicinanza agli elettori e apertura a future alleanze. Al contrario, altri partiti come il Partito Democratico Progressista (Ahmed Najib Shabbi che oggi ha riconosciuto la sconfitta del suo partito) e il Qutb (Ahmed Brahim) si sono mostrati meno disponibili a formare alleanze con altre formazioni. Al-Nahda, il principale movimento islamista, dal marzo scorso è un partito legale. Il suo programma è moderato e legato ai principi della democrazia. Dichiara che non metterà in discussione le conquiste del regime di Bourguiba riguardo ai diritti delle donne e la loro educazione. Ha trasformato il suo vecchio messaggio sullo Stato islamico in un compromesso sui valori generali relativi all’identità araba e islamica della società tunisina. Questa identità araba e islamica è una parte altrettanto centrale nel programma dell’Ettakatol e del Congresso per la Repubblica che, contrariamente ad altri, non hanno basato la loro campagna elettorale sulla demonizzazione di al-Nahda, ciò che invece ha fatto il Partito Democratico Progressista. Sembra che essi abbiano messo da parte lo spettro della spaccatura tra islamisti e laici. Pertanto, il successo di questi tre partiti è il successo del “centro” dello spettro politico tunisino. Questo centro non può essere definito come la via mediana tra la “sinistra” e la “destra”. Piuttosto, riunisce i valori conservatori della tradizione e della religione con un programma per la giustizia sociale e lo sviluppo. Questa è, forse, la nuova identità politica in cui i tunisini si riconoscono. * Khadija Mohsen-Finan (Università di Parigi VIII) e Malika Zeghal (Harvard University). Tratto da http://onislamandpolitics.wordpress.com/ (Traduzione dall'inglese Fondazione Oasis - Chiara Pellegrino)