Voci dall'Islam /2. Nei suoi principi essenziali la legge religiosa islamica non si fonda sull'esperienza storica di una società o di una comunità ma procede direttamente dal cielo. Ciò la mette al riparo dall'arbitrio umano, dalle passioni e dagli interessi particolari.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:50:52

La Legge religiosa islamica, la shari'a, nei suoi principi essenziali non si fonda sull'esperienza storica di una società o comunità, ma è di origine divina. Tale fatto la pone al riparo dall'arbitrio umano, dalle passioni e dai desideri, non essendo il prodotto di uno scontro tra l'interesse del singolo e della società. La legge religiosa islamica, di origine celeste, corrisponde alla natura umana. I suoi fondamenti si basano infatti su quanto richiede la natura immutabile comune a tutti gli uomini. In particolare essa risponde all'esigenza di giustizia. Tuttavia, all'interno di questi principi fissi e norme stabilite si trova quanto basta ad assicurarne lo sviluppo. La legge infatti è fissa nei suoi fondamenti (usul), ma in evoluzione nelle sue declinazioni pratiche (furu'), proprio perché essa non ignora quelle situazioni sempre nuove su cui il procedere e l'evolversi della vita richiedono che si emetta un giudizio legale. Ciò significa che la legge religiosa si collega con quello che possiamo chiamare "il diritto allo sforzo interpretativo (ijtihad) sharaitico", un principio che permette di rispondere agli interessi della comunità religiosa; tale principio esprime una viva esigenza razionale oltre che religiosa. L'odierno dibattito sui diritti umani, sul loro fondamento e sulla loro applicazione, costituisce un campo privilegiato in cui esercitare tale sforzo interpretativo in vista dell'utilità (maslaha) della comunità religiosa, utilità che, come è noto, rappresenta una delle fonti della legislazione islamica. Il dott. Hamid Rabi', nel suo studio inedito l'Esperienza islamica e la teoria dei diritti dell'uomo: indicazioni metodologiche, ha stigmatizzato l'assunzione acritica delle categorie occidentali. «Occorre egli afferma riprendere in considerazione il concetto di diritti umani, non perché esso sia errato, ma perché non è assoluto». Il dott. Rabi' solleva al riguardo alcune questioni metodologiche, quali la questione dell'utilizzo o del non utilizzo di concetti correnti nell'epoca contemporanea e la questione dell'universalità dei diritti umani e del loro legame con la cultura occidentale. Il campo d'indagine è complicato dal fatto che non si tratta di un'analisi teorica, accademica. In essa occorre porre attenzione a non applicare immediatamente il modello occidentale. Ad esempio, invece di chiedersi se in una data cultura esiste il concetto di diritti umani, occorre cercare di vedere come alcune aspirazioni universali sono tradotte concretamente nelle diverse culture. In caso contrario si rischia di cadere in una di queste quattro posizioni, tutte frutto della mancata esplicitazione dei fondamenti teorici sottostanti all'utilizzo del termine diritti umani: 1. la posizione che nega in modo deciso l'esistenza a livello teoretico del concetto di diritti umani nell'Islam e li collega all'influsso occidentale. Questa corrente osserva in particolare che il termine "diritti umani" è molto recente, dimenticandosi di cercare espressioni analoghe o simili nella tradizione islamica. 2. La posizione che nega l'esistenza dei diritti umani nella storia concreta dell'Islam, scegliendo periodi di particolare autoritarismo per sostenere una tesi che, a ben vedere, appare estremamente parziale. 3. La posizione che afferma l'esistenza di un concetto di diritti umani nell'Islam, ma limitato e incompleto. Questa posizione non distingue bene i piani ideale e pratico e lascia inspiegata la domanda circa l'origine di questa carenza. È una carenza contenuta nei testi rivelati o nelle loro applicazioni? 4. La posizione che afferma una totale consonanza tra l'Islam e i diritti umani, per cui non resterebbe altro da fare che abbellire l'enunciazione dei diritti umani con versetti coranici e detti del profeta. Quest'ultima posizione, benché animata da buone intenzioni, ha il difetto di non affrontare la questione all'interno di un quadro teoretico e filosofico specifico. Al massimo si limita a sottolineare le somiglianze tra la visione occidentale e quella islamica. In realtà, se vi sono analogie, vi sono anche differenze (aborto, omosessualità, ecc.) e, anzi, alcuni Stati arabi e musulmani adducono a pretesto del loro mancato impegno nel campo dei diritti umani proprio la differenza tra l'Occidente e la visione islamica nel campo dei diritti umani. È dunque necessario, a nostro avviso, inserire il discorso sui diritti umani in un quadro metodologico islamico. Il fondamento dei diritti umani nell'Islam è la dignità dell'uomo in quanto vicario di Dio sulla terra. Nel Corano Dio afferma: «Ecco, io porrò sulla terra un mio Vicario» (II, 30). Non v'è dubbio che tale nomina a vicario di Dio sulla terra manifesta al più alto grado la dignità umana. Dio ha dato all'uomo la retta via, gli elementi che lo aiutano a eseguire il compito affidatogli e, tra questi, la ragione da cui dipende l'assunzione degli obblighi legali. Il contratto di "vicariato" si fonda sull'osservanza del diritto del singolo e degli altri: l'uomo infatti viene al mondo con l'incarico di essere un vicario in vista della civiltà e della conservazione della vita: «È Lui che v'ha fatto nascere dalla terra e sulla terra v'ha dato dimora» [XI, 61]. Un secondo punto fondamentale della visione islamica dei diritti umani è che Iddio è la sorgente che stabilisce diritti e doveri. Chi crede in un Dio unico gli riconosce una grandezza ed esaltazione senza pari. Una volta ammesso questo, tutte le genti risultano simili, essendo tutte creature e servi di Dio. La lotta per l'uguaglianza e la giustizia ricevono dunque una migliore e più sicura fondazione nel ricondurle a Dio. Stabilire che i diritti vengono da Dio non significa narcotizzare i sentimenti umani o giustificare la sottomissione, la rassegnazione e l'abbandono, ma al contrario significa elevare lo statuto dei diritti umani, collegandoli alla fede e rendendo quest'ultima guardiana, protettrice e promotrice dei diritti umani. Il Corano condanna il razzismo, afferma la libertà di opinione e non combatte l'esistenza di altre religioni, ma solo eventuali attacchi che da queste vengano diretti all'Islam. L'Islam non conosce una classe di sacerdoti che esercitino l'autorità sulla gente. La religione esorta continuamente a non accontentarsi di compiere il giusto, ma a cercare di crescere sempre in generosità e bene. Doveri Connessi Il concetto di diritto implica sempre per l'uomo anche quello di dovere: dovere di conoscerlo, dovere di praticarlo, dovere di difenderlo. Diritti e doveri sono dunque intimamente connessi. I doveri sono personali o sociali, ma i doveri sociali diventano personali e vincolanti per il singolo nel caso in cui siano minacciati. Gli studiosi musulmani di fondamenti del diritto hanno distinto in passato tra "diritti di Dio", vale a dire ciò che si collega all'utilità generale, e "diritti del servo [di Dio]", cioè quanto si collega all'utilità particolare e privata. I diritti di Dio e del servo designano quindi i diritti della società e dell'individuo [Cfr. 'Abd al-Raziq al-Sanhouri, Masadir al-haqq fi al-fiqh al-islami - Le fonti del diritto nella giurisprudenza islamica, Jami'at ad-Duwal al-'Arabiyya, 1954, I, pp. 14 e segg.]. A questo proposito, nella visione islamica della società la preminenza è data al valore della giustizia, cui si subordinano l'uguaglianza e la libertà, che invece rispettivamente il Marxismo e il liberalismo pongono come fini supremi della società. Il concetto di diritto può essere utilmente illuminato dal metodo dei fini generali della legge. Che cosa s'intende con esso? L'Imam Abu Ishaq al-Shatibi (m. 790/1389) afferma che l'intera legge divina si prefigge alcuni fini, divisi in tre categorie: (1) necessari, (2) utili, (3) opzionali. I fini necessari che la legge si prefigge sono cinque: preservazione della religione, della persona, della stirpe, della ragione e dei beni. Questi fini riguardano il singolo e la società. Sono tra loro collegati e ruotano tutti intorno ai diritti di Dio. A questi principi si ricollegano alcune norme generali che completano la retta comprensione di questi fini e forniscono loro un limite, come "nessun danno reciproco" o "rispettare i diritti propri e altrui". Legislatore Divino Come già ricordato, il concetto di "utilità" della comunità (maslaha) è fondamentale nella legge religiosa. Alcuni studiosi parlano di questo concetto con vergogna e imbarazzo, quasi fosse una giustificazione per ogni deviazione dalla legge. Tuttavia, rettamente compresa, l'utilità (maslaha) comprende i due elementi della riforma (islah) e della convenienza (salahiyya). Essa coincide con ciò che il Legislatore divino ha inteso per i suoi servi: preservazione della fede, delle persone, delle menti, delle stirpi e dei beni. Proprio per questo l'idea dell'interesse (maslaha) nel suo vivo intreccio e nella sua interazione essenziale con l'idea dei fini della legge, se presa sul serio, consegue risultati speculativi, metodologici e di ricerca di grande valore. È il metodo di ragionamento finalistico, che permette di dedurre norme sharaitiche specifiche alla luce dei principi generali della legge, fondando meglio categorie ambigue come l'usanza e la tradizione e lo stato di necessità, tutte fonti sussidiarie del diritto islamico. Due sono i limiti entro cui opera il concetto di utilità (maslaha): 1) non deve contrastare con le fonti, cioè il Corano, la tradizione del Profeta e la retta analogia. 2) deve collegarsi con i fini generali della legge nell'ordine stabilito. L'utilità (maslaha) non gode infatti dello stesso statuto di Corano, tradizione e analogia. Non è una fonte su cui si possano costruire dei giudizi legali, ma rappresenta il significato totale ricavato da un insieme di giudizi particolari desunti dalle fonti sharaitiche. Il significato totale è indicato appunto dagli obiettivi generali della legge, mentre i giudizi particolari su cui si costruisce sono tratti dalle fonti sharaitiche. Alcune precisazioni s'impongono: 1. i cinque obbiettivi generali della legge precedentemente elencati vanno intesi in ordine gerarchico. A essi seguono gli elementi utili e opzionali. In caso di conflitto si preferiscono dunque gli elementi necessari su quelli utili e in assoluto tra tutti i fini la preservazione della fede. 2. Il generale precede il particolare. Per questo è lecito preservare le menti delle persone dalla deviazione dalla fede a scapito della libertà di opinione del singolo. Infatti il danno derivante dal non preservare le persone dalla deviazione è maggiore di quello derivante dal trascurare la libertà di espressione, benché entrambi questi elementi rientrino nell'ambito delle cose utili. 3. Occorre considerare l'effetto stimato dell'azione nell'ambito esterno, se immediato o nel futuro. Applicando questi principi si ricava un modo per classificare i diritti fondamentali in una prospettiva islamica, costituendo una "bilancia dell'utilità". La premessa teorica esposta permette di fondare adeguatamente i diritti umani sia sul piano teorico che pratico. Che incidenza ha tale metodo a livello dei rapporti internazionali? Esso in quanto regola generale non eccettua alcun campo, anche i rapporti internazionali e quelli con i non-musulmani. Questa visione infatti è collegata con la comunità religiosa islamica e con la sua missione culturale, il suo ruolo dogmatico e morale. La correlazione tra diritti e doveri dell'uomo per realizzare i fini generali e totali (nei diversi campi e livelli) assicura il rispetto dei diritti propri, altrui e della comunità e permette di attuare i diritti umani, che trovano il proprio centro nella professione di monoteismo. Alcuni diritti umani rientrano nei fini necessari della legge religiosa (es. la vita), altri in quelli utili. Collegare le libertà generali e i diritti dell'uomo con i fini della legislazione generale significa estendere questi diritti a tutto ciò che è materiale e morale, a ogni aspetto della vita umana abbracciandone la diversificazione politica, economica, sociale e culturale. Sono solo brevi indicazioni che testimoniano delle possibilità che il modello dei fini offre per giustificare teoreticamente i diritti umani in una prospettiva islamica.

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