Intervista a ‘Azzâzî ‘Alî ‘Azzâzî, professore universitario, già governatore del distretto di ash-Sharqiyya, dirigente della Corrente Popolare.
(28 novembre 2012)

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:40:11

Prima di tutto vorremmo sapere qual è la situazione in Piazza Tahrîr in particolare e più in generale in Egitto. Lei è in Piazza, giusto? Sì. Cosa vogliono i manifestanti e quanti sono? La posizione di oggi della Piazza può essere considerata un’estensione di quanto è avvenuto ieri e durante tutta la settimana scorsa dopo la dichiarazione costituzionale. Si tratta di un’occupazione quotidiana da parte di diverse migliaia di manifestanti e rivoluzionari che rappresentano tutte le correnti dell’azione politica in Egitto, con l’eccezione naturalmente dei Fratelli e delle formazioni dell’Islam politico. Ma il valore di quanto sta succedendo oggi ed è successo ieri con la manifestazione da un milione di persone è che gli egiziani hanno recuperato lo spirito della rivoluzione di gennaio, con tutta la volontà di opporsi e sfidare il metodo autoritario e autoreferenziale con cui i Fratelli musulmani guidano l’Egitto. Penso che siamo di fronte a una scena da fine regime, non da inizio regime. Tutti i regimi nel mondo iniziano rispondendo in qualche modo alle richieste del popolo, realizzando gli interessi nazionali e insistono sul fatto che sono dalla parte della maggioranza. Invece qui sta succedendo l’opposto. Quindi il popolo ritiene che il governo non stia realizzando le sue richieste? Quando i regimi diventano autoritari, dittatoriali e liberticidi, sono arrivati alla fine, non all’inizio. Siamo di fronte a un epilogo, non a un prologo. Il grande popolo egiziano si è reso conto degli errori commessi nella rivoluzione di gennaio quando ha lasciato la Piazza consegnando i frutti della rivoluzione nelle mani dell’organizzazione più abile a manovrare e più capace a stringere alleanze dentro e fuori l’Egitto. Questo è stato il primo errore della rivoluzione di gennaio. Ma se ne possono ricordare altri? Sì. C’è stato l’errore della mancata unificazione politica, e le differenze tra l’elite e i rivoluzionari, che hanno fatto del male allo Stato e alla rivoluzione insieme. Ora posso dire che le decisioni di Mursi e i provvedimenti e le dichiarazioni dei Fratelli musulmani hanno unificato tutti gli egiziani, e hanno riunito tutti i gruppi contro Mursi e la sua compagine. Che cosa ha detto il presidente Mursi a fronte delle proteste? Ha fatto parzialmente marcia indietro rispetto al suo progetto o continua a sostenerlo? Il presidente Mursi insiste ancora con la dichiarazione costituzionale che gli dà diritti divini. Il suo gruppo ripete lo slogan “Nessun passo indietro e nessuna resa”. Invece la società egiziana in tutte le sue comunità, la società civile, le forze politiche e le istituzioni si oppongono alla dichiarazione. È questo fatto ad aver scatenato una condizione di disobbedienza civile in diverse parti del Paese. Ma non c’è il pericolo che questa lotta arrivi al confronto armato e alla violenza? Oppure è ancora possibile una soluzione politica? La richiesta dei rivoluzionari e il loro orientamento è sempre quello di manifestare pacificamente. Tra tutti gli egiziani che partecipano alla protesta pubblica non se ne trova nessuno che abbia rapporti con la violenza o sia stato addestrato a compiere azioni violente o a parteciparvi. Ma si sa che storicamente, politicamente e sul piano organizzativo le formazioni dell’Islam politico, e in primo luogo i Fratelli, sono formazioni che avevano adottato la violenza armata in alcune fasi della loro vita. E adesso? Adesso tra i rivoluzionari si registra una semplice reazione alla repressione della polizia o alle aggressioni di settori dell’Islam politico. Come guardate alla posizione del governo americano e alla decisione del Fondo Monetario Internazionale di concedere aiuti all’Egitto malgrado l’attuale situazione politica? Non è strana questa decisione? Noi naturalmente non siamo mai stati schierati con gli americani, né prima della rivoluzione né dopo. Attualmente gli Stati Uniti stanno alla finestra. Hanno adottato la posizione per cui quanto sta avvenendo in Egitto sarebbe una pura questione interna; in questo senso si è espressa l’ultima dichiarazione del ministero degli esteri americano. È una posizione di chi in apparenza osserva come spettatore neutrale, ma nella sostanza sostiene i fratelli musulmani. E questo conferma la natura della nostra costante divergenza con la visione americana, che sostiene Israele da un lato e dall’altro i regimi autoritari, ciò che condanna al fallimento la sua strategia nella regione. Speravamo che uscisse una dichiarazione o un comunicato a sostegno dei manifestanti che sono scesi in piazza a milioni nelle piazze della libertà in Egitto, se appunto l’America fa sul serio quando appoggia la democrazia e le libertà dei popoli. Ma così non è stato. Non ancora. Ha detto che nella manifestazione sono rappresentati tutti i partiti politici a parte i Fratelli e le formazioni islamiste. Precisamente chi c’è in piazza? La Corrente Popolare, il Partito Democratico Egiziano, il Partito della Rivoluzione Continua, la Coalizione Socialista, il Partito della Dignità, il Partito Nasserista, la Formazione del 6 aprile, i socialisti, il Movimento Kifâya (Basta), l’Unione dei Sindacati Indipendenti. Ieri c’era in piazza anche la corrente della destra liberale, cioè il Partito Wafd, e il Partito della Nazione e il Partito della Costituzione di al-Baradei. E ʿAbd al-Muʿim Abû l-Futûh, il candidato dei Fratelli che è uscito dal movimento? Non c’era. Ha emesso un comunicato in cui approva il testo della Dichiarazione costituzionale e plaude all’Egitto libero… ma non era presente. Il governo non pensa a una via d’uscita? Alcuni consiglieri di Mursi che l’hanno impantanato in questa questione della dichiarazione cercano di trovargli una via d’uscita, ma ogni volta falliscono per la loro scarsa capacità tecnica da un lato e per il loro desiderio, dall’altro, di dotare il presidente di poteri assoluti. Ogni volta devono fare marcia indietro. Se la richiesta principale era di rimuovere la dichiarazione costituzionale, ieri la Piazza ha puntato più in alto e ha richiesto di rimuovere il presidente. Il terreno è maturo per una disobbedienza civile generale come protesta per i poteri assoluti che il presidente si è attribuito. In passato in Tunisia, e penso anche in Egitto, c’è stata una divisione tra l’élite, l’avanguardia, e il popolo, la gente comune. Il popolo, che soffre la difficile condizione economica, si interessa davvero di queste questioni politiche o è troppo assorbito dalla difficoltà della vita quotidiana? Questo valeva nel periodo precedente alla caduta di Mubarak. Ma adesso la partecipazione popolare in Egitto è cresciuta. La volontà degli egiziani, come popolo, di partecipare al processo di decisione politica è diventato il motore quotidiano della rivolta. La questione della libertà occupa il primo piano in Egitto, più di quella del pane. È un fatto nuovo nella logica politica dell’Egitto attuale.