L’attentato di ieri a Nizza solleva molte questioni, ma il nodo principale è un’immagine distorta di Dio

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 10:02:24

Inutile girarci intorno, sull’attacco all’arma bianca alla cattedrale di Nizza. La motivazione è religiosa, la risposta dev’essere religiosa. Non che non servano le precisazioni sociologiche sull’attentatore, Brahim Aouissaoui, di cui ancora così poco si sa, il probabile disagio giovanile, il percorso di radicalizzazione, l’approdo a Lampedusa… Ma non è lì il punto. Importante anche situare l’odioso crimine nella cronaca di questi giorni: il discorso di Macron sul separatismo islamista, la nuova polemica intorno alle vignette satiriche contro il profeta dell’Islam, l’uccisione del professor Samuel Paty, la crisi diplomatica.

 

E dopo Nizza, a differenza delle vignette, le condanne di quasi tutto il mondo islamico, a partire dai musulmani francesi, sono senza sì e senza ma, anche da Erdoǧan, che fino a un attimo prima aveva soffiato sul fuoco. Perché un versetto coranico, 22,40 dichiara la sacralità di tutti i luoghi di preghiera e perché, evidentemente, le tre persone uccise non hanno nulla a che vedere con le famose vignette. Anzi, la posizione della Chiesa francese sul tema, come sull’intera questione del separatismo islamista, è stata molto equilibrata e attenta alla sensibilità dei credenti musulmani.

 

Ma tutto questo è secondario. Il punto è che un giovane di 21 anni entra in una chiesa e massacra tre persone convinto di fare la volontà di Dio. E allora bisogna rispondere su questo, dicendo forte e chiaro che il suo è prima di tutto un atto di idolatria. Perché di idolatria? Di questo peccato, il più grave secondo il Corano che lo chiama shirk, molti musulmani  si fanno di solito un’idea caricaturale, grosso modo le tribù di qualche sperduta foresta che ancora si prostrano davanti alle statue degli antenati. È arrivato il momento di riflettere su un’idolatria molto più pericolosa, l’idolatria della propria immagine di Dio, che lo degrada a uno strumento per sfogare il proprio risentimento.

 

Nel Corano c’è una storia molto interessante, raccontata a più riprese. È quella di Iblīs, uno degli angeli (o dei jinn, secondo un’altra versione). Un giorno, all’alba del tempo, riceve da Dio un ordine impossibile. Si deve prostrare non di fronte al suo Signore – cosa che fa da tutta l’eternità, con instancabile e feroce devozione – ma di fronte ad Adamo, che Dio ha appena modellato dalla terra. Ci dev’essere un errore, pensa Iblīs, «io sono migliore di lui». Così rifiuta l’ordine, non si prostra e per questo finisce cacciato fuori dal paradiso. È nato il diavolo.

 

Che cosa insegna questa storia? Che si può amare la propria immagine di Dio più di Dio stesso e in nome di quella immagine ignorare il comando divino, perché non rientra nel proprio schema. Alcuni mistici hanno cercato di riabilitare Iblīs come il vero monoteista – l’unico della storia – perché disposto a tutto pur di non adorare nulla al di fuori di Dio. No, non è il vero monoteista, è invece l’ultimo idolatra, il più sottile, quello che trasforma Dio in un oggetto della propria volontà. Come ha scritto Adrian Candiard nell’ultimo numero di Vita e Pensiero, «più sono vicino a Dio, più il rischio di idolatria è maggiore. […] Il fanatismo è una malattia della vita spirituale».

 

Ecco, questo è il crimine di Brahim Aouissaoui e di chi lo ha armato. Che possano ravvedersi.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Oasiscenter
Abbiamo bisogno di te

Dal 2004 lavoriamo per favorire la conoscenza reciproca tra cristiani e musulmani e studiamo il modo in cui essi vivono e interpretano le grandi sfide del mondo contemporaneo.

Chiediamo il contributo di chi, come te, ha a cuore la nostra missione, condivide i nostri valori e cerca approfondimenti seri ma accessibili sul mondo islamico e sui suoi rapporti con l’Occidente.

Il tuo aiuto è prezioso per garantire la continuità, la qualità e l’indipendenza del nostro lavoro. Grazie!

sostienici