Il racconto della presentazione a Beirut del libro Rabbi, ‘allimnâ an nusallî (Signore, insegnaci a pregare).

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:40:33

Un “allargamento della ragione” che permette di affrontare meglio le sfide di ogni giorno, fino a comprendere quelle economiche, sociali e politiche. Non una fuga dalla realtà, ma una via per starci dentro in modo più autentico e aperto. Perché guardare a Dio è espressione di una dipendenza che costituisce l’uomo, come scrisse Pascal: “Condizione dell’uomo: dipendenza, desiderio d’indipendenza, bisogno”. Questa è l’idea di preghiera, anzi più che un’idea, l’esperienza attorno alla quale, in terra libanese, si sono confrontate personalità di appartenenza diversa, invitate a presentare il nuovo libro promosso dalla Fondazione Internazionale Oasis, presieduta dal card. Angelo Scola, che raccoglie le catechesi di Benedetto XVI tradotte in arabo. Presso l’Università Saint Joseph, in una Beirut in fermento e alla presenza del nunzio S.E. Mons. Gabriele Caccia, hanno dibattuto sul libro Rabbî, ‘allimnâ an nusallî (Signore insegnaci a pregare) l’arcivescovo di Beirut dei maroniti, S.E. Mons. Paul Matar, il ministro dell’agricoltura libanese, S.E. Hussein Hajj Hassan, il presidente dell’università islamica Makassed, prof. Hisham Nashabe, e p. Gabriel Hachem, professore di teologia all’Università Kaslik. Appena uscito in coedizione Librairie Pauliste di Jounieh-Marcianum Press di Venezia, il piccolo volume, voluto come già il precedente (dedicato alle catechesi su San Paolo) per promuovere la conoscenza del magistero papale nella lingua dei cristiani del Medio Oriente, si è proposto già al suo primo lancio come uno strumento capace di favorire l’incontro tra cristiani e musulmani a partire da ciò che per entrambi è un valore irrinunciabile. Nella sua introduzione l’arcivescovo Matar ha situato la presentazione del volume di Benedetto XVI nel quadro della sua visita in Medio Oriente, ripercorrendone l’insegnamento e l’instancabile impegno a mostrare la ragionevolezza della fede: “Il Papa insegna che la preghiera è un modo di riconoscere l’importanza della presenza di Dio nella vita quotidiana. La vita senza il riferimento supremo è priva di senso, mentre il rapporto con Dio innalza l’uomo”. “Un detto islamico dice di non temere quelli che temono Dio. Perché solo quando gli uomini hanno un dialogo diretto, intimo, con Dio possono aprirsi agli altri in modo autentico – ha poi sottolineato il ministro Hussein, che senza esitazione ha ribadito la grande opportunità che rappresenta per il Libano accogliere una personalità come il Papa che sa spronare “all’uso della ragione contro ogni ricorso alla violenza” e che può portare un importante messaggio di pace. Gli ha fatto eco il professore Nashabe che, citando in modo dettagliato le pagine scritte da Benedetto XVI, ha dichiarato: “La preghiera non è un’azione tra le altre perché, come afferma San Paolo, è l’azione di Dio in noi. Questa sola ci permette di intraprendere un cammino di dialogo. Leggendo queste pagine sono stato arricchito io come musulmano: l’esperienza degli uni in questo campo illumina gli altri. Per questo noi abbiamo bisogno dei cristiani in Medio Oriente”. Con i suoi rilievi Nashabe, ha manifestato, come chi lo ha preceduto, la sua personale reazione di fronte alle catechesi e ha messo in luce un tema che appare decisivo oggi in Medio Oriente, ma anche in Occidente: la consapevolezza della reciproca rilevanza dei cristiani per i musulmani e viceversa. Un punto cruciale confermato anche dalla veglia di preghiera che si è svolta due giorni prima dell’arrivo del Santo Padre: lungo le vie della capitale hanno sfilato e si sono riuniti intorno alla figura di Maria numerosi cristiani e musulmani per pregare per la riuscita della visita e per la pace. Se la conoscenza reciproca è la prima condizione necessaria a impostare un vero incontro, i relatori cristiani e musulmani, che hanno accettato di chinarsi insieme sul valore della preghiera a partire dall’insegnamento del Papa, hanno compiuto un passo in più e indicato una nuova pista da intraprendere: hanno espresso la misura in cui l’uno può illuminare l’altro come fondamento per edificare una vita buona comune. Una pista che in Libano di fatto, nonostante le contraddizioni e gli equilibri fragili tra comunità diverse, appare ancora oggi percorribile. Nonostante qui la memoria della guerra civile sia ancora fresca, al punto che chi l’ha combattuta fatica a raccontarla ai propri figli, nel gesto di chi si è seduto attorno al tavolo della Saint Joseph si è colto un frammento della densità dell’esperienza religiosa, della speranza presente nella complessità mediorientale e un anticipo della rilevanza della visita di Benedetto XVI per queste terre e oltre.