Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:11:37

Se una Costituzione deve fondarsi sul consenso delle forze della nazione, la dichiarazione costituzionale provvisoria adottata dal presidente egiziano ad interim Adly Mansour l’8 luglio 2013 riflette certamente un accordo unanime, ma a favore del suo rifiuto. Questo testo di 33 articoli regola la gestione del potere durante il periodo di transizione dopo la sospensione della costituzione del 2012, prevede un processo di revisione costituzionale e stabilisce il calendario elettorale per le legislative e quindi per le presidenziali. La coalizione Tamarrud, all’origine della petizione anti-Morsi e della manifestazione del 30 giugno, così come diversi partiti liberali e di sinistra, lamentano di non essere stati coinvolti nella stesura di questo testo, di cui si ignora la provenienza. Criticano anche la concentrazione del potere esecutivo e legislativo nelle mani del presidente e la posizione subordinata che il primo ministro occupa. Altre formazioni politiche che sostengono la transizione chiedono la revisione dell’articolo 1, secondo il quale l’Islam è la religione di Stato e i principi della sharîʻa islamica sono la fonte principale della legislazione, e che riprende la definizione dei «principi della sharîʻa islamica» adottata dalla costituzione del 2012. Quest’articolo, che fa riferimento a nozioni tecniche e complesse del fiqh classico, era stato oggetto di critiche particolarmente virulente da parte dell’opposizione dell’epoca, che temeva il rafforzamento del ruolo della legge islamica. La sua presenza è una concessione verso i partiti salafiti e permette di presentare la dichiarazione costituzionale come un testo di compromesso capace di unire al di là dello schieramento rivoluzionario. La disposizione che garantisce la libertà di fede e la libertà di culto, limitandole tuttavia alle sole religioni del libro, ripresa anch’essa dalla costituzione del 2012, ha lo stesso obiettivo di compiacere i partiti islamisti. Quanto al gruppo “No military Trials”, esso rimprovera alla dichiarazione di autorizzare i processi ai civili da parte della giustizia militare, così come faceva la costituzione del 2012. Si nota inoltre che l’esercito è presente attraverso il riferimento al discorso del generale Sîsî del 3 luglio come fondamento della legittimità della dichiarazione costituzionale. I Fratelli Musulmani, da parte loro, rifiutano il testo affermando che proviene da un presidente illegittimo. I salafiti criticano invece il processo di revisione costituzionale previsto da questo testo. Un comitato di 10 giuristi (6 giudici e 4 professori di diritto costituzionale), nominati dalle rispettive istituzioni, è infatti incaricato di preparare in 30 giorni un progetto di revisione della costituzione del 2012. E i salafiti ritengono che la revisione avrebbe dovuto essere affidata ad un’assemblea eletta e non a degli esperti nominati. Il progetto di emendamento dovrà poi essere sottoposto a una commissione di 50 rappresentanti di differenti componenti della società, che avrà a disposizione 60 giorni per esaminarlo e per preparare un testo definitivo, che sarà sottoposto a referendum. Questa procedura di revisione è inedita nella storia costituzionale egiziana ed è un po’ sorprendente: ci si sarebbe aspettati che i politici si mettessero d’accordo sulle disposizioni da emendare prima di affidare ai giuristi l’incarico di dar forma alle loro raccomandazioni. Peraltro la dichiarazione prevede che i 50 membri siano designati dalle istituzioni di appartenenza, senza precisare il numero dei rappresentanti di cui disporrà ciascuna di queste componenti, né la maniera in cui saranno ripartiti i seggi al loro interno. La sua applicazione rischia dunque di provocare nuove fratture in seno alla società e di condurre a una designazione più o meno autoritaria dei suoi rappresentanti. Tra l’altro, agli esperti non è stata data alcuna indicazione in merito agli articoli da revisionare e alla maggioranza con la quale dovranno essere adottate le revisioni. La tabella di marcia è diversa da quella del 2011/2012: gli emendamenti costituzionali precederanno l’organizzazione delle legislative e poi delle presidenziali, mentre in precedenza le legislative avevano preceduto le presidenziali prima che fosse adottata la Costituzione. Questo permette alla coalizione anti-Morsi di mantenere il controllo della revisione costituzionale. Il processo di revisione dovrebbe durare al massimo 4 mesi e mezzo ed essere seguito, all’inizio del 2014, dalle elezioni legislative e poi dalle presidenziali. Ma il calendario sembra ambizioso e le scadenze poco realiste lasciano molto poco tempo alla negoziazione e alla ricerca del consenso (Cfr. Zaid Al-Ali su Foreign Policy). Le divisioni in seno alla coalizione al potere sottolineano le difficoltà che attendono il nuovo schieramento quando si tratterà di elaborare gli emendamenti costituzionali e di organizzare le elezioni legislative e presidenziali. Come riuscirà ad elaborare una politica comune quando non riesce neanche ad accordarsi sulle regole del gioco? Inoltre questa alleanza è veramente pronta a fare spazio ai partiti islamisti? Come reintegrare i Fratelli Musulmani nel processo, dopo la destituzione del loro leader e la repressione violenta di cui sono stati bersaglio? Come fa notare Nathan Brown sul New Republic, questa dichiarazione garantisce che si ripetano pressoché tutti gli errori del 2011, ma questa volta in assenza dei Fratelli Musulmani.