Nell'occhio del ciclone /2. Siria. La lunga storia di civiltà e di convivenza di questa terra rischia di soccombere di fronte alla gravità dei fattori che hanno portato il Paese sull'orlo di un isolamento che pare irreversibile: le difficoltà del regime baathista, i pericoli del terrorismo islamico, la crisi del Libano, la guerra irachena, la stagnazione del processo di pace.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:51:51

La Siria è un paese la cui vicenda risale ai primi albori della storia dell'umanità. La sua popolazione, da millenni, vive una mescolanza di genti ed etnie diverse, che sono riuscite, nonostante le differenze, ad amalgamarsi e fondersi lungo i secoli, per formare i molteplici regni le cui dinastie hanno governato nella regione, dai tempi più antichi. Dinastie che le ricerche archeologiche e le scienze storiche hanno potuto ora identificare. Duemila anni di storia del Cristianesimo, in Siria, hanno dimostrato tanto l'apertura delle popolazioni di questa regione del mondo, quanto la loro capacità di accoglienza, di dialogo e di convivialità, e hanno permesso agli abitanti di questo paese un'evoluzione e un progresso notevoli. Nel VII secolo il paese è stato oggetto dell'invasione di conquistatori musulmani provenienti dall'Hijaz e dalla penisola araba. Sono stati integrati e hanno dominato il paese, a quel tempo quasi totalmente cristiano, per numerosi secoli. I cristiani di questo paese e i musulmani hanno potuto vivere insieme questo periodo, anche se si sono trovati a volte in situazioni contradditorie, difficili e impegnative. La scelta della Chiesa, in tutte le fasi, fu la riconciliazione e la ricerca di una coesione a volte difficile da mantenere, a causa della puntuale irruzione di un fondamentalismo settario e intollerante. È questo stesso fondamentalismo che mette attualmente in pericolo la pace sociale e la serenità del paese. Eppure la storia ci insegna che, nel passato, i cristiani del Medio Oriente sono stati all'avanguardia, tranquillamente a fianco dei musulmani più illuminati, per offrire insieme alle loro società tutto ciò che porta al progresso di una comunità umana e alla prosperità di un paese. I cristiani hanno vissuto come fratelli con i musulmani, hanno calcato insieme i sentieri della storia degli arabi, e dovrebbero ora evitare lo scoglio del fondamentalismo, per dare al loro paese l'immagine che conviene agli uomini di questo XXI secolo che inizia. Questo fondamentalismo diffuso è in parte il prodotto delle diverse problematiche sorte nella regione negli anni '40 e più esattamente, dopo la nascita dello Stato di Israele. È a partire da questo momento che violenza, terrorismo e scontri non cessano di affliggere le popolazioni arabe della regione in generale e vicino orientali in particolare. Per parlare della violenza e del terrorismo in Siria è necessario fare alcune precisazioni indispensabili. Questa violenza può essere di stampo politico, religioso o di delinquenza. Non parleremo qui della delinquenza, che rimane dunque al di fuori del nostro discorso. La violenza politica può avere come origine sia la dittatura, sia la lotta nazionale e la resistenza, sia l'aggressione contro terzi. In Siria si sono succeduti al potere regimi militari che hanno invocato nella loro azione politica repressiva ragioni strategiche, derivanti dalla guerra contro Israele, che hanno giustificato una legge marziale e hanno dato luogo ad esagerazioni e ad una dittatura che non ha sempre funzionato senza violenza e tensioni verso certe fazioni della popolazione. D'altro canto, in vista della liberazione della Palestina si è sviluppata nel paese una resistenza all'occupante a volte molto aggressiva. Questa resistenza, anche se spesso violenta, non può essere assimilata al terrorismo, nel contesto vissuto dai cittadini arabi, continuamente esposti alle intransigenze dell'occupante, alle sue ripetute incursioni che hanno avuto come risultato nel 1967 l'annessione di nuovi territori allo Stato di Israele. Ciò che da parte siriana costituiva una lotta d'indipendenza nazionale e una resistenza era considerato dagli israeliani terrorismo. Vista l'inefficacia di un confronto armato, data la dilagante supremazia militare dello Stato d'Israele, a fronte dell'insensibilità delle grandi nazioni alle rivendicazioni legittime del popolo palestinese, i gruppi più legati al nazionalismo arabo si sono visti condotti verso una strategia militare non convenzionale, che potesse essere alla loro portata; si sono anche organizzati in cellule d'intervento armate che hanno come compito quello di logorare il nemico. In che misura, ai nostri giorni, questi gruppi stanno ancora operando, a partire dalla Siria? Dio solo lo sa, ma è certo che il governo siriano si orienta ormai da qualche anno, e sempre di più, verso una soluzione pacifica di questo conflitto endemico, anche se lo fa a malincuore. Un'altra forma di terrorismo politico, e forse anche politico-religioso, ha trovato fertile terreno nei paesi della regione dopo la comparsa dell'Ayatollah Khomeini in Iran e l'inizio della guerra in Libano. In effetti, le lotte fratricide tra libanesi hanno diviso la nazione in gruppi generalmente confessionali in cui ciascuna comunità religiosa, con alla testa il proprio clero, si è trovata a confrontarsi con le altre, allo stesso tempo politicamente e militarmente, e questo fino alle peggiori aberrazioni. Milizie musulmane e cristiane si erano costituite per uccidersi reciprocamente, ciascuna per il proprio Libano. Quante vittime innocenti sono state sacrificate in nome di Dio in questa guerra assurda?! Può essere in questo frangente che la violenza del terrorismo affonda le sue radici più tenaci e le sue ripercussioni più pericolose. Morire per un paese argina la lotta armata alle frontiere di questo paese, ma morire per una religione conquistatrice può portare ad una lotta di religione e ad una violenza che supera le frontiere, per scoppiare dappertutto, in un mondo sempre più intrecciato nelle sue componenti multi-confessionali. Morire per Dio è una scelta assoluta e incontrollabile finché un fondamentalismo militante anima gli spiriti. L'Ayatollah Khomeini distribuiva le chiavi del Paradiso che i giovani kamikaze si mettevano al collo per andare ad uccidere e farsi ammazzare nella sua guerra, che considerava santa, alla stregua di ogni guerra intrapresa dai musulmani in quanto appartenenti alla nazione islamica. Molti fedeli di questa religione si trovano attualmente in Occidente e, se sono veri musulmani, secondo i mullah integralisti, devono continuare la lotta santa per insediare l'Islam nel mondo intero, il jihad della guerra santa li accompagna e si estende in ogni luogo dove si trasferiscono. È in questa ondata di fondamentalismo confessionale e militante che risiede il vero pericolo che minaccia le libertà e la democrazia. Ed è proprio questo fondamentalismo esclusivo e totalitario che compromette la pace e qualsiasi progetto di società conviviale e pluralista. In Siria a partire dall'Indipendenza dal mandato francese, per la quale musulmani e cristiani avevano lottato fianco a fianco, è nata una comunità nazionale non confessionale. Con l'inizio della seconda metà del XX secolo sono emersi, per sviluppare le strutture di una comunità nazionale non confessionale, dei movimenti sociali e politici a carattere laico e progressista, che riunivano sostenitori appartenenti a tutte le confessioni presenti nel paese. La comparsa del movimento Baath, parola araba che può voler dire tanto rinascita quanto resurrezione, ha costituito un passo importante in questo senso. Questo partito è stato fondato nel 1947 dagli intellettuali cristiani e musulmani con il fine di modernizzare la Siria ed unificare i paesi arabi divisi. Una cultura contraria al confessionalismo e aperta ad una laicità, che distingue nettamente l'impegno politico e sociale dall'appartenenza religiosa, si è sviluppata in Siria per poi propagarsi nei paesi arabi limitrofi. Questa laicità era in effetti indispensabile per la coesione delle molteplici componenti di una comunità nazionale in cui i fedeli, appartenenti ad un numero infinito di denominazioni religiose, vivevano insieme fianco a fianco. Dopo la sua salita al potere in Siria e poi in Iraq il partito Baath ha rafforzato sempre più la tendenza laica e ha saputo mobilitare le folle intorno ad obiettivi strategici che miravano all'unità dei paesi arabi e alla loro indipendenza, come anche alla creazione di una giustizia sociale in una prospettiva socialista. La scalata al potere di questo movimento è stata sostenuta da una buona risposta proveniente dai giovani, provenienti dalla piccola borghesia e dagli strati popolari meno favoriti; tuttavia la sua crescita è stata ardua e disseminata di insidie. All'interno, l'organizzazione politica e paramilitare dei Fratelli Musulmani ha condotto un'opposizione fondamentalista. All'esterno lo Stato di Israele appoggiato dall'Occidente vedeva nel movimento nazionalista del partito Baath una contestazione irriducibile della sua politica espansionistica e un pericolo permanente per la sua sicurezza nei territori conquistati. Così Israele ha fatto di tutto per indebolire questo slancio nazionalista, minando qualsiasi tentativo d'avvicinamento tra i paesi arabi. Uno dei mezzi più efficaci per distruggere questa comunità araba, che cercava i fondamenti costitutivi della sua identità nazionale al di fuori della sua appartenenza confessionale, era rafforzare e fomentare nella regione i sentimenti di fanatismo religioso. La prima guerra del Golfo, la guerra in Libano, quella in Sudan e molte altre ancora sono con il terrorismo diffuso e i moti confessionali uno dei prodotti della spinta del fondamentalismo integralista, che è stato favorito a scapito di un nazionalismo regionale arabo di stampo laico e pluralista, esaltato dai movimenti progressisti tra i quali il partito Baath, che oggigiorno è ancora al potere in Siria. È vero che il regime siriano che ne è tributario non gode di tutte le virtù della democrazia e che il dirigismo dello Stato, in questo paese, restringe i margini di libertà politica dei cittadini, ma è altrettanto vero che lasciate in balia di se stesse, dato il loro isolamento plurisecolare sotto la dominazione ottomana, la loro separazione dall'Occidente e dalla sua evoluzione culturale e democratica, le popolazioni del Medio Oriente non saprebbero al momento gestire una democrazia non confessionale e rispettosa dei diritti delle minoranze e delle libertà fondamentali. Libertà di culto, libertà d'espressione, uguaglianza dei diritti tra uomini e donne e tra musulmani e non musulmani, ecc. Nonostante tutto oggigiorno in Siria un cristiano ha gli stessi diritti di un musulmano, può accedere, come anche le donne, a tutte le cariche pubbliche e alle più alte responsabilità politiche. La chiesa è rispettata come la moschea e il culto è indistintamente sostenuto. In questo paese che cerca la laicità, non ci si distingue per la propria appartenenza confessionale, ma per il proprio senso civico e per la devozione alla nazione. Nel contesto di una società che si vuole civile e unita, buone relazioni umane uniscono i cittadini, indipendentemente dalla loro diversità religiosa. Alla fine dei conti bisognerebbe chiedersi seriamente se i paesi occidentali, che si ostinano attualmente a soffocare il nazionalismo arabo di linea laica e non confessionale, non stiano demolendo l'edificio, pieno di speranze, di un nuovo mondo arabo in piena costruzione.

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