Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:40:57

«Le rivoluzioni arabe che nel 2011 hanno infiammato il mondo arabo rappresentano una svolta epocale e gli storici del futuro guarderanno al 2011 come un anno spartiacque. Naturalmente è un’evoluzione che non è ancora terminata e non terminerà fintanto che le forze armate controlleranno il sistema politico, ciò di cui sta facendo esperienza il popolo egiziano. Osservando le rivoluzioni in una prospettiva storica, si vede come siano sempre dei fenomeni complessi, basti pensare alle rivoluzioni in Russia e in Francia e a quanto è durata la loro fase d’instabilità. Non dobbiamo aspettarci che nel mondo arabo le cose procedano più velocemente di quanto sia avvenuto in passato». Questa è la convinzione del professore Eugene Rogan, direttore del Centro per gli Studi sul Medio Oriente di Oxford e professore di Storia moderna presso il St. Antony College, che Oasis ha incontrato a margine di una conferenza pubblica intitolata “Reflections on Year 1 of the Arab Revolutions”, tenuta a Venezia a fine marzo. Quanto sta avvenendo per Rogan riguarda anche l’Occidente, che si trova a dover operare delle scelte nell’ambito della politica estera: «Le rivoluzioni arabe pongono i governanti dei Paesi occidentali di fronte alla tensione tra i loro interessi materiali e i loro valori. Essi saranno chiamati a scegliere se sostenere i leader locali che hanno il consenso del loro popolo o dei satrapi affidabili ma dispotici. Probabilmente, a lungo temine, avere dei leader che godono del consenso della popolazione porterà a una maggiore stabilità della zona mediorientale». Sulla convinzione di chi ritiene che il vento della Primavera araba possa investire anche altre zone del mondo, per esempio l’Africa o la Cina, Rogan ha espresso le sue riserve portando l’esempio della Polonia alla fine degli anni Ottanta. Sebbene la Primavera polacca si fosse ben presto estesa a tutta l’Europa orientale, essa non raggiunse i paesi di altre regioni geografiche che, in quella stessa epoca, erano dominati da una dittatura: «In quel periodo - ha rilevato Rogan - il mondo arabo guardava ciò che stava accadendo in Polonia ma, in realtà se consideriamo le ricadute concrete di quei fatti sui regimi mediorientali, è come se gli eventi fossero accaduti su un altro pianeta». Sul futuro di Tunisia ed Egitto, dove gli islamisti hanno vinto le elezioni suscitando in alcuni occidentali il timore che possano nascere degli Stati islamici sul modello dell’Iran o dell’Arabia Saudita, il professore ha risposto pronosticando che gli islamisti sapranno adattarsi alle nuove regole del gioco imposte da una società molto diversa da quella degli anni ‘60-’70. Una società che invece oggi chiede dignità, diritti e democrazia: «Il messaggio che gli islamisti stanno cercando di lanciare al loro popolo e alla comunità internazionale è il loro impegno a rispettare le nuove regole del gioco e a proteggere i diritti delle minoranze». Il professore spiega questo nuovo impegno degli islamisti come l’esito di anni di esclusione dal potere politico che hanno dovuto sperimentare in numerosi paesi. In Egitto, per esempio, i Fratelli Musulmani, perseguitati per molti anni, oggi si preoccupano di preservare la loro posizione attraverso il consenso nazionale. In questo senso Rogan è ottimista: per lui gli islamisti saranno capaci di trovare una via mediana tra la democrazia intesa in senso occidentale e la dittatura che ha dominato in questi Paesi negli ultimi 50 anni. Allo stesso tempo, tuttavia, Rogan mette in guardia l’Occidente dalla tendenza alquanto diffusa di applicare le nostre categorie politiche al mondo arabo: «Gli arabi non amano la parola democrazia, un termine straniero che sottintende molte associazioni tipicamente occidentali. Ciò che essi stanno negoziando sono i diritti e le libertà che noi consideriamo parte integrante della democrazia. L’Occidente si domanda se essi avranno una democrazia così come la intendiamo noi. La democrazia che emergerà in Egitto rifletterà i valori egiziani, così come la democrazia italiana riflette i valori dell’Italia. L’Occidente continua a parlare di democrazia come se ne esistesse un tipo solo. Ma si pensi a quanti tipi di democrazia esistono in Europa, ognuno dei quali riflette le particolari condizioni storiche del Paese in cui nasce. Anche in Egitto, la democrazia che nascerà sarà il riflesso dell’esperienza storica locale».