Nel 2001 ebbi l'occasione di essere ospite delle autorità religiose dell'Iran. Tra le altre cose tenni una conferenza all'Università islamica Imam Sadiq di Teheran. Fu durante "l'anno...

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:44:25

Lettera da Vienna Nel 2001 ebbi l'occasione di essere ospitedelle autorità religiose dell'Iran. Tra le altre cose tenni una conferenza all'Università islamica Imam Sadiq di Teheran. Fu durante "l'anno del Dialogo delle culture", un'iniziativa dell'ONU appoggiata dal presidente Khatami. Anch'io presi questo tema del dialogo a soggetto della mia conferenza. Cominciai proprio con la domanda più difficile, che desidero porre anche oggi, all'inizio di questo mio piccolo contributo. Può darsi un dialogo tra religioni missionarie? Il dialogo è spesso visto come opposto della missione: o missione o dialogo. Ora, sia il Cristianesimo sia l'Islam sono religioni chiaramente missionarie. Lo dimostra tutta la loro storia, il loro presente e soprattutto la storia delle loro origini. Siccome non sono né un politico né un diplomatico, credo di dover affrontare questo tema, che è sicuramente tra i più spinosi, ma che appartiene al cuore dell'autocomprensione delle nostre rispettive religioni. Nella Bibbia cristiana alla fine del Vangelo di Matteo si trova l'incarico missionario universale che Gesù, prima della Sua Ascensione, diede agli Apostoli e quindi ai cristiani. Gesù dice: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole [...], insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28, 18-20). Ed infatti i cristiani hanno cercato fin dall'inizio di adempiere a questo compito affidato da Gesù; lo continuano a fare anche oggi e se non lo facessero sarebbero infedeli al mandato del loro fondatore. Ma anche l'Islam si comprende come una religione missionaria: nella rivelazione del Corano sostengono i musulmani sarebbe indicata la via che Dio ha destinato per tutti gli uomini. Tutti gli uomini la devono conoscere e dunque devono potersi decidere per la vera via. In effetti anche l'Islam è stato fin dal primo istante missionario e lo è anche oggi. E se non lo fosse, tradirebbe se stesso. Come dunque può crescere un dialogo tra le nostre religioni? Non sarà sempre soltanto una mossa strategica in vista della missione mondiale? Il dialogo non sarà sempre visto dai rappresentanti zelanti di entrambe le religioni solo come "soluzione soft" e perciò disprezzata? Non ci sarà sempre, anche tra i rappresentanti più aperti delle nostre due religioni, la segreta aspirazione a convincere l'altro? Questo dialogo non celerà sempre la speranza segreta o esplicitamente dichiarata che alla fine gli uomini, o per lo meno molti di essi, riconoscano la bellezza, la verità, la bontà della propria religione e perciò si convertano all'Islam o al Cristianesimo? È così stupefacente assumere da parte nostra che la nostra rispettiva religione rappresenti la definitiva rivelazione del volere di Dio agli uomini e dunque abbia valore per tutti? In effetti la questione della missione gioca un ruolo spesso inconfessato, ma decisivo e che non può essere assente anche in questa conferenza. Come accostare questa delicata ed essenziale domanda? Possibilmente in modo realistico. Perché il realismo è una buona base per il dialogo. Né il Cristianesimo né l'Islam sono monoliti. La Cristianità vive, come l'Islam, in una molteplicità di direzioni, che talora si sono combattute violentemente e che continuano sempre a combattersi. Tutti sono concordi nella convinzione di fondo che la missione sia parte della propria religione. Le differenze concernono da una parte e dall'altra il metodo, la via della missione. Se la missione possa percorrere solo la via della persuasione personale dell'altro o se si possa servire anche di strumenti di pressione politica, militare ed economica; su questo il Cristianesimo e l'Islam, nella loro storia così ricca di conflitti, ma anche di contatti, hanno dato risposte molto differenti. Non abbiamo molto da rimproverare all'altro, se ci confrontiamo davvero con la nostra rispettiva storia missionaria. In verità essa non è sempre stata la quintessenza della tolleranza e del dialogo. Oggi le cose andranno diversamente? Ritengo che la domanda circa la missione rappresenti anche oggi una delle domande chiave per il dialogo delle religioni. Sarà possibile coniugare la dinamica missionaria, che appartiene all'essenza delle nostre religioni, con i principi di fondo del rispetto davanti alla coscienza dell'altro, davanti alla libertà religiosa ed alla tolleranza? Vorrei richiamare alcuni esempi che risvegliano la nostra ansia e preoccupazione, su diversi fronti, e fanno emergere i dubbi circa il successo del dialogo. I possenti progressi della missione islamica in Africa sono visti da molti cristiani con preoccupazione. In India la radicalizzazione di alcuni gruppi induisti in forte crescita preoccupa molti musulmani ed anche cristiani. I buddisti (ed anche i cristiani) in Sri Lanka sono preoccupati del progresso della missione islamica. Gli esempi si potrebbero aumentare a piacere. A questo si aggiungono le preoccupazioni circa le attività missionarie di certi gruppi all'interno delle nostre comunità religiose. Nell'America Latina la Chiesa Cattolica è fortemente preoccupata dei rapidi progressi dei gruppi cristiani in parte fondamentalisti, soprattutto di provenienza statunitense, che guadagnano a sé milioni di cattolici, con conseguenze anche politiche. Penso che analoghe preoccupazioni siano presenti anche all'interno dell'Islam, in cui i cosiddetti fondamentalisti modificano e radicalizzano la situazione religiosa e sociale. Queste poche indicazioni bastano a ricordare che la questione missionaria, sia all'interno delle nostre comunità religiose che tra di esse, dovrebbe figurare ai primi posti dell'agenda del nostro dialogo. La missione è segno della vitalità delle religioni, ma cela anche un grande potenziale di conflitto. Che cosa possiamo fare per trattare il mandato missionario inerente alle nostre religioni in un modo tale da un lato da non essere infedeli ad esso, ma nello stesso tempo tale da mostrarne e promuoverne la compatibilità con le istanze di una società pluralistica e democratica? Per questa importante agenda vorrei formulare tre compiti: 1. abbiamo bisogno, all'interno del Cristianesimo e dell'Islam (e di altre comunità religiose) di un dialogo illuminante circa la domanda sul significato del nostro costitutivo compito missionario. Che cos'è la missione secondo Gesù, secondo il Corano? Come deve, come può esserci missione? Come si colloca rispetto alla libertà di coscienza e religione? Come si colloca rispetto alle richieste di un mondo plurale? 2. all'interno delle nostre rispettive comunità religiose, c'è un urgente bisogno di dialogo e chiarificazione intorno alla questione del "proselitismo". Cristiani rimproverano ad altri cristiani che si "missionerebbero" reciprocamente e cercherebbero di sottrarre fedeli gli uni agli altri. È un tema ricorrente tra Chiesa Ortodossa e Cattolica. Penso sia un grande tema nella società islamica mondiale. Pochi mesi fa mi è stato confermato ciò che ho sentito di persona da responsabili musulmani in Indonesia all'inizio del 2005: la preoccupazione circa il "proselitismo" di gruppi radicali o fondamentalisti nell'Islam indonesiano; 3. abbiamo bisogno di un dialogo interreligioso circa la questione della missione, un dialogo che consideri la nostra storia (le nostre storie) di missione (la quale grazie a Dio non ha solo pagine buie, ma anche pagine grandiose, creative e ricche di effetti positivi), che metta sul tappeto apertamente le nostre preoccupazioni reciproche, che citi palesemente i pericoli dell'intolleranza, degli attentati alla libertà religiosa e che li faccia oggetto di comuni sforzi di correzione. Questi tre punti appartengono all'agenda dei prossimi anni, urgente ed indilazionabile. Ma c'è un quarto punto, che probabilmente ci può aiutare meglio di tutto il resto in questa agenda: come religioni con un mandato missionario, siamo ne sono convito responsabili davanti a Dio e davanti al mondo di cercare i punti in comune dei nostri mandati missionari e di praticarli insieme: l'Onnipotente non ha forse dato a noi tutti attraverso la rivelazione e la voce della coscienza il compito santo di adoperarci ovunque per la giustizia, alleviare la miseria, combattere la povertà, promuovere l'educazione, rafforzare le virtù del vivere insieme e così contribuire ad un mondo più umano? Un giorno saremo chiamati davanti a Dio a dar conto se abbiamo adempiuto insieme alla nostra missione. E saremo chiamati a dar conto se abbiamo dato ai molti uomini che non sanno credere a Dio una testimonianza credibile della fede in Dio o se attraverso i nostri conflitti abbiamo aumentato l'ateismo. Che il nostro dialogo ci renda consapevoli di questa responsabilità!

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