"God bless America" /2. Dopo l'attacco è risuonata la famosa domanda di Churchill: «Che tipo di persone pensano che siamo?». Ma, fatto ancora più importante, molti americani si stanno chiedendo: «Che tipo di persone stiamo diventando dopo l'11 settembre?». I cattolici hanno cercato la risposta volgendo lo sguardo al Papa.

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:51:21

Il corpo del tenente Daniel O'Callaghan è stato identificato, in parte, grazie al rosario che è stato trovato ancora stretto tra le sue mani. Come più di quattrocento suoi colleghi pompieri e agenti della polizia, Danny è entrato nel World Trade Center l'11 settembre. Con quel passo, è anche entrato nel cuore di una generazione di americani. Come molti suoi colleghi nel dipartimento dei vigili del fuoco, Danny era cattolico, attivo in organizzazioni cattoliche di servizio caritativo. Nei giorni immediatamente successivi agli attacchi terroristici alle Torri Gemelle, quando le bandiere americane sembravano sventolare ovunque e noi americani non potevamo cantare God bless America senza che dagli occhi scendessero lacrime, abbiamo avuto un prezioso momento nazionale per esaminare come dovevamo andare avanti lungo una via che non solo mantenesse fede all'eredità lasciata dagli uomini e donne che hanno dato la propria vita l'11 settembre, ma che fosse anche edificata su quel sacrificio. Abbiamo risposto, naturalmente, con la richiesta di giustizia e l'insistita domanda che quelli che pianificano, supportano e portano a termine atti di terrorismo siano impossibilitati a continuare tali atrocità. Ma quando l'azione militare dall'Afghanistan si è allargata all'Iraq, le discussioni su chi fossimo come nazione hanno cominciato a essere viste sempre più attraverso la prospettiva di come si giudicava una guerra ogni giorno più impopolare e l'esercizio del potere militare degli Stati Uniti. Subito dopo l'attacco giapponese del 7 dicembre 1941 alla flotta americana a Pearl Harbour, alle Hawaii, il Presidente Franklin Roosevelt definì l'accaduto «un giorno di infamia». Sentendo queste parole oggi molti americani penserebbero prima di tutto all'attacco terroristico dell'11 settembre. Subito dopo che l'America dichiarò guerra al Giappone in risposta al bombardamento di Pearl Harbour, sir Wiston Churchill, il Primo Ministro inglese, pronunciò un discorso davanti al Congresso americano in sessione plenaria. Dopo aver richiamato l'attacco e le successive aggressioni giapponesi contro il popolo inglese, filippino e americano in vari posti del Pacifico azioni che Churchill dichiarò degli «oltraggi» che non potevano essere perdonati con il «buon senso» arrivò a chiedersi: «Che tipo di persone pensano che siamo?». Le atrocità commesse l'11 settembre hanno portato molti americani a farsi di nuovo la domanda di Churchill: «Che tipo di persone pensano che siamo?». E, fatto forse ancora più importante, molti americani si stanno chiedendo: «Che tipo di persone stiamo diventando dopo l'11 settembre?» Quasi sessantacinque anni dopo il bombardamento di Pearl Harbour la nazione americana e quella giapponese sono fedeli alleati e i loro popoli sono sempre più legati tra loro culturalmente, economicamente e socialmente, anche se rimangono largamente diversi nelle rispettive tradizioni religiose. Nei mesi successivi all'11 settembre, i cattolici americani hanno cercato sempre più la guida morale e spirituale di Giovanni Paolo II per rispondere alla domanda: «Che tipo di persone stiamo diventando dopo gli eventi dell'11 settembre?». Una decina di giorni prima di quella data, Giovanni Paolo II aveva scritto: «È unendo le proprie sofferenze per amore della verità e della libertà alle sofferenze di Cristo sulla Croce che l'uomo può compiere il miracolo della pace ed è in grado di trovare la strada spesso stretta che sta tra la viltà che si arrende al male e la violenza che, con l'illusione di combattere il male, lo rende solo maggiore».1 Il Papa descriveva lo "spirito" del movimento di riforma polacco Solidarnosc, che portò al "miracolo" del 1989 e al collasso della dittatura sovietica in Europa. Dal momento che gli Stati Uniti si sforzano analogamente di discernere la "strada stretta" a proposito del Medio Oriente, le parole del Papa rappresentano una profonda sfida per i cristiani. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno risposto a questa sfida in diverse forme. Si può considerare l'intera missione di Giovanni Paolo II come uno sforzo nell'affrontare questa sfida, promuovendo uno straordinario rinnovamento di fede a partire dalla sua prima Enciclica Redemptor Hominis: «Cristo Redentore rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso» (n.10). Con la pubblicazione della prima Enciclica di Benedetto XVI, Deus Caritas Est, è apparso chiaro come anch'egli voglia portare avanti questo sforzo. Entrambi i Papi si sono poggiati sui fondamenti del Concilio Vaticano II, in particolare sull'affermazione contenuta nella Gaudium et Spes che solo attraverso il mistero di Cristo si può capire il mistero dell'uomo. Qual è il valore attuale di questo mistero nel mondo di oggi e in quale misura sia limitato ai credenti o sia applicabile universalmente è più che mai una domanda fondamentale nell'America del dopo 11 settembre, una nazione in cui nove persone su dieci professano di credere in Dio. Mahler e Mickiewicz Il tenente O'Callaghan aveva l'abitudine di lasciare brevi messaggi a sua moglie e ai suoi figli su bigliettini di carta prima di uscire la mattina per raggiungere i pompieri della Compagnia Ladder 4. Molte volte scriveva semplicemente «Ti amo». Come pompiere, Danny O'Callaghan era impegnato a salvare vite. Possiamo dire che con il loro lavoro lui e i suoi colleghi hanno dedicato le proprie vite a costruire una "cultura della vita". Egli ha inoltre capito che costruire una cultura della vita dipende da qualcosa di ancora più importante: l'impegno a costruire una cultura dell'"amore". Il 17 gennaio 2004 ebbe luogo in Vaticano un concerto unico nella storia, alla presenza di Giovanni Paolo II insieme al Rabbino Capo e all'Imam di Roma. L'Orchestra sinfonica di Pittsburgh era giunta dagli Stati Uniti per eseguire la magnifica seconda Sinfonia in Do minore di Gustav Mahler, Risurrezione. Il concerto radunò musicisti da Germania, Inghilterra, Polonia, Turchia e Stati Uniti di fronte a un pubblico di tutti i continenti, da quasi ogni nazione e fede. Il compositore boemo, Gustav Mahler, si era ispirato per la sua opera a Dziady, l'epica storia del grande poeta e commediografo polacco Adam Mickiewicz, per creare uno dei lavori di maggior valore spirituale della fine del XIX secolo. Mentre ascoltavamo il coro e i solisti che cantavano: «Con ali per cui ho lottato, nella fervente lotta dell'amore, volerò via verso quella luce che occhio non scorse mai», aspettavamo con grande attesa che cosa avrebbe detto il Santo Padre alla fine del concerto. Giovanni Paolo II non parlò solo del ruolo della musica nel promuovere una reciproca conoscenza tra persone di culture e religioni differenti, ma anche della necessità del "coraggio" nella ricerca di pace. Concluse con alcune parole dirette al cuore di ciascun presente: «l'amore vince tutto». Forse qualcuno potrebbe sminuire questa parole considerandole una reazione poetica di un poeta polacco alle parole adattate in musica di un altro poeta polacco prima di lui. Ma in quella serata Giovanni Paolo II non ha semplicemente detto una bella frase; è stato concreto come lui sapeva essere. Per lui, quelle tre parole non erano poesia, ma realpolitik. Se il vero significato e la dignità di ciascuna persona può essere capita adeguatamente solo all'interno della vocazione della persona all'amore, allora l'unica cultura coerente con questa dignità è ciò che Giovanni Paolo II ha chiamato una «civiltà dell'amore». E l'unica strada verso una «civiltà dell'amore» è la cultura della vita. Nella sua Enciclica del 1994, Evangelium Vitae, Giovanni Paolo II esortò il popolo cattolico a essere «un popolo della vita e un popolo a favore della vita», che lavora per costruire una cultura della vita. Questa è una responsabilità per ogni cristiano, indipendentemente dalle personali capacità o situazioni in cui vive. Ogni cristiano ha la responsabilità di lavorare alla costruzione di una cultura di vita e se "di vita", anche "di amore". Questa responsabilità non è solo dei cristiani. E cosa ancor più importante nel mondo di oggi, "non può" essere "solo" dei cristiani. Durante il più di un quarto di secolo in cui Giovanni Paolo II è stato Sommo Pontefice della Chiesa Cattolica Romana, egli avrebbe potuto invocare la restaurazione di una società cristiana in Europa e altrove o la costruzione di culture cattoliche attraverso il mondo. Ma non lo ha fatto. Ha invece parlato della costruzione di una «cultura della vita», e di una civiltà dell'amore. Questa cultura e civiltà dovrebbero essere naturalmente aperte a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Se la vocazione all'amore è iscritta nel cuore di ciascuno, allora ogni persona può essere invitata a partecipare alla costruzione di una civiltà dell'amore. E in questa civiltà ci deve essere posto per tutti. Chiaramente questo non è un progetto limitato all'Occidente, forse addirittura non diretto principalmente all'Occidente, vista la rapida tendenza verso la secolarizzazione in Europa e nel Nord America. Prima della guerra in Iraq, sia la Conferenza dei Vescovi cattolici degli Stati Uniti sia il Consiglio nazionale delle chiese hanno mostrato forti perplessità rispetto all'uso della forza militare da parte degli Stati Uniti. Il dissenso dei principali leader cristiani circa la direzione della politica nazionale è stato solo l'ultima di una serie di dispute quali l'aborto, il divorzio, il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Almeno tra i cattolici, queste divergenze si sono intensificate in molte regioni del Nord America e dell'Europa. Scritti da una Mano Divina Nel 1920 l'apologista cattolico Hilaire Belloc scrisse nel suo libro L'Europa e la Fede che «l'Europa è la Fede». E per non lasciare spazio a dubbi circa quello che intendeva dire, aggiunse: «La Chiesa è l'Europa e l'Europa è la Chiesa». Studiare se questo sia mai stato vero è compito degli storici. Ovviamente, ciò non è vero oggi. Forse un giorno nel futuro prossimo si potrà dire: «L'America Latina è la Fede» o «l'Africa è la Fede». Anche se alcuni laicisti in Occidente possono ritenere che uno scontro di civiltà sia alla fine inevitabile, ci sono ancora molte persone di fede in Occidente che converrebbero con Alexander Hamilton, uno dei Padri Fondatori del sistema americano costituzionale di governo, circa il fatto che «i sacri diritti dell'umanità non devono essere ricercati in vecchie pergamene o documenti ammuffiti. Sono scritti, come con un raggio di sole, nell'intero volume della natura umana, dalla mano stessa della Divinità, e non possono essere mai cancellati o oscurati da un potere mortale». Questa comprensione dei diritti umani e della dignità umana dotata di un'origine trascendente e applicabile universalmente a ogni persona costituisce in sé un altro ponte potenziale tra le civiltà. Questa è l'unica risposta che può cominciare a offrire una soluzione autentica al problema di come evitare lo scontro di civiltà, una risposta che offre la reale possibilità di trascendere l'ostilità e la violenza. Molti cattolici americani si sono assunti la sfida di riconoscere questa realtà e di agire in questo campo invitando ebrei, musulmani e altri uomini a collaborare. Essi riconoscono pure che la giustizia deve procedere di pari passo con l'impegno per la carità, come Papa Benedetto XVI ha scritto nella Deus Caritas est. Presi insieme, l'impegno per la giustizia e la carità possono permettere di edificare una civiltà dell'amore. Ma questo sforzo può procedere soltanto sulla base di un impegno per la libertà religiosa, la tolleranza e il rispetto per i membri di tutte le religioni. Per esempio, il 14 novembre 2005, alla Basilica del Santuario Nazionale dell'Immacolata Concezione a Washington, cristiani, ebrei e musulmani si sono uniti per una serata a favore dalla comprensione tra le religioni e della libertà religiosa con un concerto intitolato Rallegrati in questa terra. Il 27 aprile 2006 più di cento capi religiosi, tra cui molti cattolici e musulmani, si sono ritrovati a Washington per una conferenza internazionale di preghiera per la pace promossa dalla Comunità di Sant'Egidio, l'Università Georgetown, l'Università Cattolica d'America e l'Arcidiocesi di Washington. Dal 2004 l'Associazione caritatevole cattolica dei Cavalieri di Colombo celebra l'11 settembre come giorno speciale internazionale per la preghiera per la pace e promuove la recita di questa preghiera per la pace composta da Papa Giovanni Paolo II Con te, Madre del Redentore, l'inno dell'umile e del povero salga fino a Dio Onnipotente. Possa Egli, il Misericordioso, portare pace sulla terra, riconciliare i fratelli in inimicizia, confondere Caino, far risorgere Abele. Possa Egli portare tutta la creazione al disegno che concepì all'inizio nell'amore del Figlio, nella grazia dello Spirito Santo. Amen. Più di recente, la Conferenza episcopale degli Stati Uniti e la Società islamica del Nord America hanno pubblicato i risultati di un dialogo che è proseguito per otto anni, attraverso gli eventi dell'11 settembre. Intitolato Rivelazione: prospettive cattoliche ed islamiche, il testo fornisce non solo i risultati di un dialogo fecondo e pluriennale, ma offre anche i fondamenti per un dialogo e per progetti "futuri". Significativamente il testo conclude: «Attraverso il dialogo ed una cooperazione migliorata, musulmani e cattolici possono sviluppare una società giusta e pacifica nello spirito degli insegnamenti del Vangelo e del Corano [...]. Crediamo fermamente che Dio ci chiami a questo dialogo e benedica gli sforzi di quelli che cercano di fare la volontà di Dio». Il 13 maggio di quest'anno molti cattolici in tutto il mondo hanno ricordato il venticinquesimo anniversario del tentato assassinio di Papa Giovanni Paolo II da parte del killer turco Mehmet Ali Agca. Il Papa disse in seguito di essere sopravvissuto all'attacco perché Maria «Vergine sempre Vergine» intervenne a salvargli la vita. Giovanni Paolo II disse: «Una mano sparò contro di me ed un'altra mano guidò il proiettile». Il 13 maggio è la festa di Maria Nostra Signora di Fatima, un titolo che ricorda l'apparizione della Vergine a dei bambini portoghesi il 13 maggio 1917 nel villaggio di Fatima. Fatimah è naturalmente la figlia di Muhammad e il villaggio in Portogallo era stato così chiamato in onore di una principessa beneamata che portava questo nome. Nel Corano il nome della Beata Vergine Maria è menzionato non meno di trenta volte. Forse è soltanto una coincidenza della storia che Giovanni Paolo II abbia attribuito a Maria, con questo titolo così connesso all'Islam, il merito di averlo salvato da Mehmet Ali Agca. Se invece di una coincidenza i cattolici e i musulmani vi sapranno vedere il mistero, allora forse la mano di Maria saprà guidarci di nuovo lontani dagli effetti della violenza. --------------------------------------- 1. Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, n. 25 (1991).

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