Lo studio delle prime traduzioni della Bibbia in arabo permette di misurare il bisogno dei cristiani di “adattarsi” alla situazione creata delle conquiste islamiche per non perdere le proprie radici

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Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:57:17

Biblia arabica. Una rassegna dei primi brani della Bibbia in arabo mostra la ricchezza delle diverse tradizioni cristiane, ebraiche e samaritane, che hanno assecondato il bisogno emergente di una traduzione della Scrittura nella lingua parlata dalle comunità. Un caso di fecondazione transculturale nel Medioevo.

 

Molte delle più importanti traduzioni della Bibbia prodotte dall’antichità ai tempi moderni sono il frutto del bisogno di ebrei e cristiani di disporre di versioni più accessibili delle Scritture. Gran parte di queste comunità parlavano o avevano ricevuto un’istruzione nelle lingue franche o dialettali dell’epoca e non capivano più i testi della Bibbia ebraica e cristiana nella loro lingua originale (ebraico, aramaico e greco). Così la versione dei Settanta, prodotta ad Alessandria intorno al terzo secolo a.C., rispondeva in origine al bisogno degli ebrei ellenizzati di possedere una versione greca comprensibile della Bibbia ebraica e di alcuni altri libri. In una fase successiva essa divenne per i cristiani la versione canonica di quello che per loro è l’Antico Testamento mentre la Vulgata latina dotava il clero cattolico dell’Europa medievale di una versione più accessibile dei Testi Sacri. Altri esempi celebri, anche se successivi, sono la traduzione tedesca realizzata da Martin Lutero nel sedicesimo secolo, o la Bibbia di Re Giacomo prodotta intorno allo stesso periodo in Inghilterra, entrambe pensate per rendere la Bibbia cristiana accessibile al popolo nella sua lingua parlata.

 

Anche nel Medio Oriente preislamico si registrarono diverse tradizioni di traduzione della Bibbia: gli ebrei di lingua aramaica produssero una vasta gamma di traduzioni aramaiche, mentre i cristiani di lingua aramaica produssero varie versioni in siriaco della loro Bibbia, spesso utilizzate insieme alla versione dei Settanta. Con la diffusione dell’Islam, l’arabo divenne la nuova lingua comune e il segno distintivo delle élite colte passate sotto il dominio islamico. Era il caso non solo del sempre più consistente gruppo di convertiti all’Islam, ma anche di coloro che il Corano chiama “Genti del Libro” (ahl al-kitâb), cioè gli ebrei e i cristiani, il cui patrimonio di scritture garantì loro l’autonomia religiosa in tutti i possedimenti islamici. A partire dall’ottavo secolo i cristiani e gli ebrei cominciarono a utilizzare l’arabo non solo come lingua orale ma anche come lingua scritta per scopi religiosi, letterari e scientifici. Accanto all’uso ininterrotto di scritti letterari e liturgici culturalmente distintivi in ebraico, greco, aramaico, siriaco e copto, essi iniziarono a comporre e utilizzare in misura sempre maggiore opere in arabo. Le più antiche versioni arabe della Bibbia giunte fino a noi risalgono a questa prima fase del processo di arabizzazione di tali gruppi. Per essi la traduzione delle scritture era il mezzo iniziale per riformare la propria identità comunitaria e adattarla a un mondo nuovo in un momento di profondi cambiamenti politici e culturali.

 

1. Frammento greco-arabo ridimensionato.jpgFrammento bilingue greco-arabo del Salmo 78,20-31 e 51-61. La colonna di sinistra di ogni pagina contiene il testo della Settanta, mentre sulla destra appare la traduzione araba trascritta in caratteri greci. MR Or. Sim. 6, Staatsbibliotek di Berlino

 

Apripista melkiti

Sembra che le comunità cristiane melkite, che a livello regionale erano collegate con i monasteri di Siria, Palestina e della penisola del Sinai, abbiano fatto da apripista traducendo le proprie scritture dal greco e dal siriaco in arabo. Il fatto che esse abbiano adottato l’arabo come lingua ecclesiastica in una fase relativamente precoce è riconducibile al loro sostanziale isolamento da Bisanzio in seguito alle conquiste musulmane. Ecco perché la prima traduzione esistente a noi nota è un frammento bilingue in greco e arabo dei Salmi 78,20-31 e 51-61 che gli studiosi fanno risalire all’ottavo secolo.

 

Mentre le prime traduzioni arabe furono realizzate molto probabilmente all’interno delle comunità melkite, seguite in questo dalla chiesa siro-orientale dell’area irachena, il processo di arabizzazione delle comunità siro-occidentali (la Chiesa siro-ortodossa, nella zona di Tikrit) e copte è stato molto più lento. Queste ultime insistettero a lungo nel mantenimento delle Scritture nella propria lingua sacra e alla fine integrarono varie tradizioni di traduzioni arabe precedenti nelle loro Bibbie arabe prodotte nel nono e decimo secolo. Nella stessa epoca anche i cristiani arabofoni di Spagna (mozarabi) tradussero le proprie scritture in arabo. Essi consultavano spesso versioni latine della Bibbia, ma utilizzavano allo stesso tempo anche traduzioni parziali di provenienza orientale. Nonostante l’abbondanza e le varietà di versioni arabo-cristiane della Bibbia (o di parti di essa), nessuna traduzione fu mai canonizzata e l’arabo non raggiunse mai lo status di lingua ecclesiastica.

 

La monumentale Geschichte der christlichen arabischen Literatur (1944-1949) di Georg Graf è tuttora il principale riferimento per le versioni arabe cristiane della Bibbia, anche se al tempo della sua redazione non erano ancora accessibili le importanti collezioni di manoscritti del monastero di Santa Caterina nel Sinai. Questa e altre opere necessitano perciò di un’ampia revisione e di integrazioni alla luce delle recenti ricerche sul patrimonio di questo e altri monasteri e di biblioteche pubbliche e private.

 

Dall’ebraico all’arabo

Gli ebrei iniziarono a produrre traduzioni scritte della loro Bibbia in arabo circa un secolo più tardi dei cristiani, verso la metà del nono secolo. In tal modo gli ebrei rispondevano alla stessa dinamica socio-linguistica che aveva generato il crescente bisogno di traduzione della Scrittura. Anche gli ebrei sembrano essere passati da contesti di traduzione orale della Scrittura a sporadiche liste di parole per arrivare a traduzioni complete. Tra queste la versione del Pentateuco di Saadia Gaon pare aver raggiunto lo status di quasi-canonica nella seconda metà del decimo secolo. Nelle sole collezioni della Geniza[1] del Cairo sono presenti oltre 2.000 frammenti di parti della Bibbia in arabo.

 

La maggior parte dei frammenti è scritta in caratteri ebraici, ma altri sono in caratteri arabi. A parte le collezioni conosciute come Geniza del Cairo, altre versioni in arabo prodotte dagli ebrei, rabbaniti e caraiti[2], sono conservate in migliaia di fonti manoscritte provenienti dal Medio Oriente e oggi custodite principalmente nelle biblioteche nazionali di San Pietroburgo, Londra e Parigi. Esse sono di solito parte di opere tripartite sulla Bibbia ebraica in cui il testo originale in ebraico è seguito dalla traduzione araba e da un lungo commento in arabo.

 

Rispetto alla Bibbia arabo-cristiana, lo studio accademico della Bibbia arabo-ebraica è più avanzato. Ciò è in parte dovuto alle dimensioni più ridotte delle comunità ebraiche medievali e alla produzione manoscritta più contenuta. Tuttavia gli studiosi si sono finora concentrati soprattutto sui materiali della Geniza del Cairo mentre altre collezioni, e in particolare le Collezioni Abraham Firkovitch (San Pietroburgo), sono state esaminate solo parzialmente.

 

Anche la comunità samaritana di Palestina produsse versioni arabe del suo Pentateuco. Secondo l’opinione più diffusa, ciò avvenne nel corso dell’undicesimo secolo dopo un lungo periodo di bilinguismo. In alcuni casi i samaritani adattarono le versioni del Pentateuco di Saadia Gaon così come alcune versioni caraite. In altri casi essi produssero versioni originali che presentano caratteristiche comuni alle prime traduzioni cristiane ed ebraiche. La varietà dei manoscritti indica che tra i samaritani non emerse alcun textus receptus arabo del Pentateuco.

 

Traduzioni divergenti

Come si può facilmente comprendere alla luce dei casi fin qui considerati, le tradizioni circa il modo di tradurre in arabo la Bibbia differivano notevolmente da comunità non musulmana a comunità. A parte i libri della Bibbia conservati interamente, sono sopravvissuti migliaia di frammenti e codici contenenti porzioni di queste traduzioni e commentari; pur con qualche eccezione, solo pochi di essi sono stati finora studiati approfonditamente. Essi rivelano una grande varietà di approcci stilistici, di vocabolario, di alfabeti (ad esempio greco, ebraico o siriaco), d’ideologie (ad esempio da versioni pedissequamente letterali legate alle fonti testuali ebraiche o greche, a versioni per nulla letterali e teologicamente ispirate, orientate ai valori estetici e culturali dei testi arabi di arrivo e di un pubblico completamente arabizzato), e didattici (versioni esplicative, glossografie per la traduzione). Si registrano inoltre estratti di varie versioni nei molti altri generi letterari e liturgici che circolavano all’interno delle diverse comunità, come i lezionari e gli scritti apologetici. Inoltre le differenti versioni erano abbastanza mobili, fondendosi le une con le altre sia all’interno che oltre i confini confessionali, ecclesiastici e geografici. Le versioni di Saadia, per esempio, originariamente prodotte per un pubblico ebraico (sia in caratteri ebraici che arabi) sono attestate in manoscritti di provenienza samaritana e cristiana, oltre che in adattamenti siriaci e copti di alcune parti della traduzione del Pentateuco. Alcune delle versioni siriaco-orientali del Pentateuco furono successivamente impiegate tra i mozarabi di Spagna. La versione caraita del Pentateuco di Yeshu‘a ben Yehuda è attestata in manoscritti samaritani (in cui è trascritta in caratteri samaritani). Altri fenomeni comuni che restano da indagare sono la revisione secondaria e l’adattamento delle rispettive versioni. La semplice quantità di materiale disperso in numerose biblioteche di tutto il mondo, le differenti tradizioni di traduzione e le diverse versioni, molte delle quali hanno subito considerevoli modifiche attraverso il tempo e lo spazio, e i numerosi amalgami di traduzione rendono questo campo di ricerca una vera terra incognita il cui terreno va dissodato non solo in termini di dati da elaborare, ma anche di implicazioni interreligiose e interculturali.

 

3. Traduzione Saadia.jpgTraduzione di Saadia di Deuteronomio 34,8-12. Biblioteca dell'Università di Cambridge, T-S Ar. 1a.55.

 

L’interesse dei dotti musulmani

Quando le traduzioni arabe divennero facilmente reperibili, anche i musulmani iniziarono a nutrire un maggiore interesse per le scritture ebraiche e cristiane, che presentavano molti personaggi ed episodi menzionati nel Corano e nelle quali i musulmani credevano fosse annunciato il profeta Muhammad e predetto l’avvento dell’Islam. Inoltre, i dotti musulmani erano particolarmente interessati alla grande varietà di traduzioni bibliche correnti nelle diverse comunità del Libro, un fatto senza paragone rispetto al Corano, la cui miracolosa inimitabilità e intraducibilità è uno dei dogmi centrali nell’Islam. Tale varietà era perciò utilizzata dai musulmani come argomento contro l’autenticità del testo biblico. Un’antica fonte bio-bibliografica, il Fihrist di Ibn Nadîm, cita vari progetti musulmani di traduzione (tarjama) in un’ampia sezione dedicata ai libri della Bibbia e ai loro interpreti. Non vi è alcuna conferma indipendente di tali resoconti ed è improbabile che si riferiscano a veri e propri tentativi di traduzione. Le due opere musulmane più antiche tuttora esistenti e che contengono liste complete delle predizioni bibliche del profeta Muhammad tratte dalla Bibbia ebraica e dal Nuovo Testamento sono il Kitâb al-Dîn wa-l-Dawla del cristiano convertito all’Islam ‘Alî Ibn Rabban al-Tabarî (m. 865) e l’A‘lâm al-nubuwwa di Ibn Qutayba (m. 889). Nonostante le loro fonti debbano essere ancora in parte individuate, non vi è dubbio che esse si siano rifatte a tradizioni più antiche di provenienza cristiana. Innumerevoli testi musulmani contenenti abbondante materiale biblico attendono ancora di essere analizzati. Se studiati in parallelo ai manoscritti delle varie traduzioni cristiane ed ebraiche, tali materiali potrebbero aiutare a stabilire la cronologia di queste ultime, soprattutto se si considera la sostanziale assenza, nelle prime traduzioni cristiane, di colophon che permetterebbero di stabilire una datazione esatta. Inoltre nella letteratura islamica primitiva e in particolare nell’esegesi coranica, nella storiografia e negli hadîth, materiali biblici canonici ed extra-canonici profondamente islamizzati spiccano come fonti grezze dei racconti della storia universale, in cui le vite dei primi profeti e patriarchi costituiscono spesso una parte sostanziale, per esempio nella Târîkh [Storia] di al-Ya‘qûbî (morto nel o dopo il 905). L’indagine accademica è ancora ben lungi dall’aver individuato quali fra le varie tradizioni di traduzione fossero accessibili ai dotti musulmani nelle diverse zone e periodi o come venissero trasmesse.

 

4. Ibn Qutayba.jpgIbn Qutayba, l' A'lâm al-nubbuwa. MS Dâr al-Kutub al-Zâhiriyya (Damasco).

 

Un nuovo modello di ricerca

Come si può dedurre da questa breve rassegna, parlare della Bibbia araba non è più corretto di quanto non lo sia parlare della Bibbia greca o della Bibbia inglese. La storia della traduzione araba della Bibbia è simile alla storia delle altre versioni della Bibbia. Nelle fonti superstiti si riflettono molte varietà e amalgami. Di fatto, se paragonate con altre tradizioni di traduzione della Bibbia prodotte nel corso della storia, le versioni arabe sono le più abbondanti in termini di quantità di manoscritti e opere a stampa superstiti e, naturalmente, di varianti. Questo fatto attesta di per sé la ricchezza e la varietà della storia testuale della traduzione araba della Bibbia nelle varie denominazioni cristiane, ebree e samaritane, oltre che nelle citazioni e negli adattamenti dei musulmani. Eppure solo una minima parte di questo immenso territorio è stato adeguatamente esplorato. Soltanto in tempi recenti la storia della ricezione della Bibbia, ebraica e cristiana, compresa la sua traduzione e interpretazione, ha iniziato a essere vista come parte integrante degli studi biblici. Non è inoltre meno significativo il fatto che la ricezione dei materiali biblici da parte dei musulmani attraverso la controversistica, l’apologetica e gli adattamenti venga progressivamente interpretata come un mezzo fondamentale di fecondazione transculturale e interculturale tra ebrei, cristiani e musulmani nel Medioevo.

 

L’obiettivo finale del recente progetto di ricerca internazionale “Biblia arabica: la Bibbia in arabo tra ebrei, cristiani e musulmani”, portato avanti congiuntamente da ricercatori dell’Università di Tel Aviv e della Freie Universität di Berlino, è tracciare, descrivere e analizzare le tradizioni di traduzione della Bibbia in arabo così come esse emergono dalle fonti cristiane, ebraiche, samaritane e islamiche. Le fonti manoscritte e le versioni a stampa delle collezioni ebraiche, samaritane, cristiane e islamiche, ancora in gran parte inedite, costituiranno la base per lo sviluppo di un nuovo modello di ricerca sui nessi fondamentali tra le religioni abramitiche e sul ruolo svolto dai traduttori e dagli ambienti in cui questi erano immersi nel formare tale nessi. Solo attraverso quest’analisi, che nella fase iniziale sarà perlopiù filologica, si potrà raggiungere una più piena comprensione di un periodo formativo nella storia dei contatti fra le tre religioni e delle loro ripercussioni fino al periodo moderno.

 

(Questo articolo è stato redatto nell’ambito del progetto DFG-DIP: “Biblia Arabica: la Bibbia in arabo tra ebrei, cristiani e musulmani”)

 

 

Bibliografia

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[1] La Geniza è un deposito sito presso la Sinagoga di Ben Ezra a Fustat (Cairo Vecchia) dove la locale comunità ebraica accumulò, in particolare tra il 950 e il 1250, più di 300.000 frammenti manoscritti. A partire dall’Ottocento tali testi furono progressivamente riesumati e studiati, mentre venivano dispersi in varie collezioni. Le ricerche, ancora in corso, offrono un quadro unico della vita quotidiana della società del tempo a livello di classi medie e non soltanto delle élites (N.d.R.).

[2] I rabbaniti sono gli ebrei che ammettono l’autorità della tradizione orale raccolta nella Mishna e nel Talmud, in opposizione ai caraiti, oggi poche migliaia che si rifacevano alla sola Bibbia ebraica (N.d.R.).

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