I cattolici in Kuwait rappresentano una viva minoranza, che deve confrontarsi con un governo solo in parte disponibile

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:45:40

I cattolici in Kuwait sono una comunità in crescita di quasi 250.000 persone, composta per la stragrande maggioranza da stranieri immigrati nel terzo paese più ricco del mondo alla ricerca di un lavoro. Vengono dall'India, dalle Filippine, dallo Sri Lanka, dal Pakistan e da altri paesi di Asia centrale e orientale.

Ci sono anche, e non sono pochi, alcuni cattolici arabi provenienti da Egitto, Siria, Libano, Giordania e Iraq, che per etnia e lingua si sentono più al loro agio in Kuwait che altrove.

A questi due gruppi si aggiunge un'esigua minoranza di cattolici con cittadinanza kuwaitiana, un fatto più unico che raro nella penisola arabica. Purtroppo però, questa minoranza, anche a causa di una bassa natalità che ormai colpisce i cristiani arabi di tutta l'area mediorientale, è in via di estinzione.

Le condizioni economiche degli immigrati non sono rosee, specialmente per quelli senza qualifica professionale, che quindi svolgono i lavori più umili nell'estrazione petrolifera, nelle imprese di pulizia pubblica, nell'edilizia. Il loro stipendio medio si aggira attorno ai 100 dollari americani mensili, più vitto e alloggio, per sei giorni lavorativi alla settimana.

Se a chi vive in un paese sviluppato queste circostanze appaiono insopportabili, per chi è fuggito da situazioni di miseria e guerra, una simile condizione viene percepita con serenità.

I cattolici del Kuwait non rivendicano i propri diritti civili, ma sono un ceto pacifico, sopportano con rassegnazione la propria situazione, certi che "la vita nella propria patria è molto più difficile". Il Kuwait è per loro un luogo duro ma tranquillo, dove vivono in pace e risparmiano il più possibile per poter mandare alle loro famiglie il necessario per sopravvivere.

La variegata provenienza dei fedeli, da più di ventitre paesi diversi, rende il volto della Chiesa cattolica in Kuwait un vero intreccio culturale. Il semplice elenco delle messe del venerdì (il giorno di riposo nazionale e quindi anche il giorno del precetto domenicale) fa scoprire un arcobaleno di nazioni e di popoli.

C'è inoltre un altro fattore di ricchezza e differenziazione: qui sono presenti tutti i tredici riti orientali quali i maroniti, copti, siriaci, siro-malankar, ecc.

La situazione sociale e politica rende più urgente l'unità pastorale delle comunità e perciò la Santa Sede ha deciso di fare un'eccezione alle regole multisecolari della dipendenza rituale ed ha nominato il vescovo latino, il comboniano veneto Mons. Camillo Ballin, Superiore di tutti i riti presenti nel vicariato apostolico del Kuwait. Se questo esperimento - non facile - dimostrasse la sua efficacia, non è escluso che possa venire applicato anche ad altre zone per le quali la molteplicità rituale non ha sempre reso facile la cura pastorale del popolo cristiano.

Libertà di culto ma non di conversione

Come in quasi tutti i Paesi della penisola arabica, i cattolici in Kuwait godono di una certa forma di libertà di culto, intesa cioè come la possibilità di riunirsi e di celebrare la liturgia cristiana nei luoghi autorizzati dalle autorità governative.

Ci sono tre chiese cattoliche in Kuwait: due parrocchie e la Cattedrale della Sacra Famiglia, nel centro della capitale, un tempio costruito in un terreno ceduto nel 1967 dal primo emiro del Kuwait sei anni dopo l'indipendenza del Paese. In questi luoghi, i cattolici hanno piena libertà e le autorità non interferiscono affatto nelle attività di preghiera, catechesi per i bambini, corsi di studi biblici ecc., mostrano una grande vitalità, che rallegra il cuore anche dell'imprenditore occidentale capitato da queste parti per fare business e che trova una comunità più attiva che in molte parrocchie di "paesi cattolici".

Ma per arrivare alla piena libertà religiosa c'è ancora molta strada da percorrere. In primo luogo, servono più chiese: non solo mancano gli spazi, ma anche per molti cattolici che vivono in quartieri periferici, diventa impossibile andare in chiesa, anche per la scarsità dei mezzi pubblici di venerdì. Non è strano che tanti cattolici che abitano nei tre distretti oggi senza una chiesa di riferimento, in assenza di un luogo cattolico dove pregare, vadano a pregare nelle chiese protestanti o pentecostali. Addirittura così finiscano per abbandonare la chiesa in cui sono nati e cresciuti, non tanto per convinzione, quanto per una semplice vicinanza geografica.

Inoltre i cattolici vorrebbero che la loro religione fosse insegnata ai loro figli a scuola, come accade per l'insegnamento della religione islamica per i ragazzi e le ragazze musulmane. Ma questo non è possibile, neanche nelle scuole cristiane o nei licei stranieri: quando i musulmani seguono le lezioni sulla loro religione, gli altri studenti partecipano a lezioni di "valori". Qualsiasi insegnamento religioso non islamico è rigorosamente vietato fuori dalle chiese: una violazione di questa legge porterebbe alla chiusura immediata della scuola.

In terzo luogo, la Chiesa non può avere proprietà e ci sono delle limitazioni all'importazione di materiale religioso (libri e pubblicazioni, imagine sacre, ecc.), problemi con i visti dei sacerdoti e un lungo elenco di difficoltà burocratiche che non sono così drammatiche da far clamore anche sui media, ma che costituiscono ostacoli reali per la vita e l'azione pastorale di tutti i giorni. Infine, non è possibile predicare il Vangelo a chi non sia straniero non musulmano. Certamente le chiese sono aperte e chiunque può entrare e ascoltare. Ma come negli altri paesi dell'area, il musulmano che si convertisse al Cristianesimo sarebbe condannato alla pena di morte. Se un musulmano si reca in una chiesa e chiede di diventare cristiano, la risposta che riceve è: "Noi dobbiamo rispettare le leggi dello Stato, e quindi non possiamo accoglierti, a meno che tu possa andare a vivere in un'altro Paese".

I rapporti con il governo: cordiali, ma lenti

La Costituzione del Kuwait sancisce che l'Islam è la religione di Stato e che la Shari'a è la principale fonte legislativa del Paese. Allo stesso tempo, garantisce "l'assoluta libertà" di credo e di pratica religiosa, d'accordo con le tradizioni stabilite, sempre che non entri in conflitto con la morale o con l'ordine pubblico. Ma in realtà le cose stanno diversamente.

Da parte delle autorità ci sono sempre disponibilità, buone maniere e probabilmente un sincero desiderio di soddisfare le richieste della Chiesa. Ma in fondo, il governo dell'Emiro si trova stretto tra il desiderio di omologarsi con le democrazie occidentali, e quindi di concedere gli stessi diritti di cui godono i musulmani in Europa, e la pressione degli estremisti islamici, che potrebbero creare dei problemi qualora accusassero la famiglia reale di essere tiepida nella difesa dell'Islam.

D'altra parte, non bisogna dimenticare che la libertà sociale e politica non viene interpretata in Kuwait allo stesso modo che in Occidente. Ad esempio, anche per i musulmani non sunniti è molto difficile e a volte impossibile ottenere il permesso di aprire nuovi luoghi di culto. Di conseguenza, le autorità ascoltano le richieste del vescovo cattolico e rispondono sempre con cordialità.

Con Mons. Ballin, per esempio, che parla fluentemente l'arabo, il rapporto è franco. Mons. Ballin è sinceramente apprezzato dalle autorità in materia religiosa, in special modo dalla sorella dell'Emiro, molto attiva nel dialogo interreligioso tra musulmani e cristiani. Ma ai cristiani è chiesta molta pazienza. Devono accettare anche certi compromessi, come l'apertura di luoghi di culto non autorizzati "ufficialmente", ma tollerati, a patto che le funzioni non disturbino i vicini e non diano nell'occhio. La discrezione è senz'altro la prima virtù da praticare per i cattolici in Kuwait. Inoltre, non va dimenticato che per i fedeli del Buddismo o dell'Induismo la situazione è ancora più difficile e la proibizione del culto è pressoché totale.

Il vicino ingombrante del Kuwait

La politica di piccoli passi dà i suoi frutti. Ma il Kuwait non è che piccolo Paese, per quanto ricco, nell'oceano del mondo arabo, dove le tensioni tra le diverse versioni dell'Islam sono sempre più forti e dove il confitto non risolto tra l'Occidente "cristiano" e l'Oriente "musulmano" non si scioglie.

In questo senso, in materia religiosa, il Kuwait guarda con attenzione al suo fratello vicino, l'Arabia Saudita, con cui condivide 222 chilometri di frontiera. Il regime saudita, riconosciuto come autorità morale nel mondo islamico, custode dei due luoghi loro più sacri della Mecca e di Medina, è senz'altro il più restrittivo in materia di libertà religiosa della zona e forse del mondo. Il suo esempio condiziona molto i vicini. Ma la visita del re Abdullah a Papa Benedetto XVI nel 2008 è un primo segno dei miglioramenti nella situazione di tutti i cristiani nella zona. Nel frattempo i cattolici a Kuwait vivono in pace e sperano che l'attuale libertà di culto possa presto evolversi in autentica libertà religiosa.

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis

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